Rianimazione
(v. terapia intensiva e rianimazione, App. V, v, p. 456)
Con l'espressione rianimazione cardiopolmonare si definisce l'insieme delle manovre che si eseguono per il trattamento dell'arresto cardiocircolatorio nonché di tutte le situazioni che, non trattate, ne causano rapidamente il verificarsi.
Considerato che l'arresto cardiocircolatorio costituisce la cessazione dell'attività di pompa da parte del cuore (che, a sua volta, determina un'immediata assenza della perfusione ematica sistemica), ne consegue che esso è una condizione di morte clinica destinata, in assenza di trattamento rianimatorio immediato, a evolvere in morte biologica, cioè una condizione irreversibile caratterizzata dalla cessazione di tutte le funzioni biologiche dell'organismo. Scopo della r. cardiopolmonare è quello di rendere reversibile la condizione di morte clinica in pazienti nei quali la patologia che ha condizionato l'arresto cardiocircolatorio è tale da consentire un recupero della funzione cardiorespiratoria e di una qualità di vita accettabile.
Si possono distinguere due diverse tipologie di r. cardiopolmonare: la rianimazione cardiopolmonare di base, che comprende il sostegno delle funzioni vitali (circolo e respiro) senza strumenti o con strumenti elementari, e la rianimazione cardiopolmonare avanzata, consistente nell'insieme delle manovre volte al ripristino del circolo spontaneo, e che comprende la ventilazione e l'assistenza circolatoria con strumenti invasivi, la diagnosi di ritmo cardiaco e la terapia elettrica e farmacologica specifica.
Indipendentemente dalla tipologia di r. cardiopolmonare che il sanitario o il soccorritore si trova nella condizione di applicare, si può riassumere la successione degli interventi indicati per l'assistenza a un paziente in arresto cardiocircolatorio utilizzando la sequenza ABC, nel caso della r. cardiopolmonare di base, e ABCD, nel caso della r. cardiopolmonare avanzata. La prima sequenza prevede: A=apertura delle vie aeree; B=ventilazione bocca a bocca; C=massaggio cardiaco esterno. Nel caso in cui l'arresto cardiocircolatorio avvenga in ambiente ospedaliero, o l'intervento del sanitario segua un precedente intervento di tipo primario, la sequenza consigliata è: A=intubazione endotracheale; B=conferma dell'adeguatezza dell'intubazione e ventilazione a pressione positiva; C=istituzione di un accesso venoso per la terapia farmacologica con identificazione del ritmo cardiaco e somministrazione della terapia farmacologica adeguata; D=defibrillazione elettrica.
A) Diagnosi di pervietà delle vie aeree. - La prima manovra della r. cardiopolmonare di base consiste nel controllo della pervietà delle vie aeree e nella rimozione delle eventuali ostruzioni presenti. La valutazione della presenza o assenza del respiro che il soccorritore deve eseguire non richiede strumenti e si effettua osservando l'espansione toracica del paziente, ascoltando il rumore espiratorio e il flusso dell'aria che fuoriesce dalle vie aeree. La causa più comune di ostruzione delle vie aeree superiori, nel paziente privo di coscienza, è il collabimento della base della lingua sulla parete posteriore dell'ipofaringe. Lo stato di incoscienza determina infatti la perdita del tono muscolare per cui la lingua, per effetto della forza di gravità, nel paziente supino cade all'indietro e occlude le vie aeree. In questo caso, l'apertura delle vie aeree si ottiene mediante l'iperestensione del capo del paziente, ponendo una mano sulla fronte dell'infortunato e applicando, con il palmo, una forza in direzione antero-posteriore; contemporaneamente occorre posizionare le dita dell'altra mano sotto la parte ossea della mandibola e applicare una forza verso l'alto in modo da ottenere il sollevamento del mento. Se l'ostruzione delle vie aeree è causata dalla presenza di materiale estraneo, è necessario forzare l'apertura della bocca introducendo un dito nello spazio retrodentale e cercare di rimuovere manualmente gli eventuali corpi estranei solidi. Una volta ottenuta la pervietà delle vie aeree, è utile posizionare una cannula orolaringea, di una misura che copra interamente la distanza tra lobo dell'orecchio e margine labiale. La cannula deve essere inserita con la concavità verso il naso ed essere ruotata di 180°, una volta passato il palato duro, per raggiungere la posizione definitiva con la concavità rivolta verso il mento.
B) Ventilazione bocca a bocca. - Se il respiro non riprende spontaneamente dopo l'apertura delle vie aeree, occorre iniziare una ventilazione artificiale. Nella pratica extra-ospedaliera spesso non si hanno a disposizione strumenti, per cui l'unica possibilità di garantire l'ossigenazione del paziente è la ventilazione diretta bocca a bocca. Il soccorritore si pone in ginocchio a fianco del paziente e mantiene la pervietà delle vie aeree utilizzando la tecnica dell'iperestensione del capo con sollevamento del mento. Con pollice e indice della mano appoggiata sulla fronte pinza le narici, in modo da prevenire la fuga di aria dal naso; dopo un respiro profondo, fa aderire la propria bocca a quella del paziente e insuffla un quantitativo di aria tale da causare l'innalzamento del torace. Quindi, scosta la propria bocca da quella del paziente e lascia libero il naso in modo da consentire la completa fuoriuscita dell'aria dai polmoni. Le insufflazioni vanno eseguite, nell'adulto, con un ritmo di 12 al minuto controllandone l'adeguatezza attraverso i movimenti del torace. Le insufflazioni devono essere somministrate lentamente, in 1,5÷2 secondi, consentendo al torace di tornare in posizione di riposo prima di insufflare nuovamente.
C) Massaggio cardiaco esterno. - Dopo l'acquisizione della pervietà della via aerea e dopo 3÷5 insufflazioni nei polmoni (talvolta sufficienti a ripristinare il battito cardiaco in un arresto da ipoventilazione), occorre verificare la presenza di un circolo spontaneo. La diagnosi di arresto cardiaco si pone quando sono presenti le seguenti condizioni: incoscienza, apnea o respiro boccheggiante, aspetto cadaverico, assenza del polso alle grandi arterie. Il circolo artificiale si ottiene mediante massaggio cardiaco esterno attuato attraverso la compressione ritmica del cuore tra lo sterno e la colonna vertebrale con una frequenza di 60÷80 compressioni al minuto (la compressione va istituita al limite tra il terzo medio e il terzo inferiore dello sterno). Il paziente va mantenuto in posizione supina, adagiato su una superficie rigida e gli arti inferiori possono essere sollevati di 45° per favorire il ritorno venoso. Durante il massaggio cardiaco esterno occorre continuare la ventilazione artificiale. Quando è presente un solo soccorritore è consigliato intercalare due insufflazioni ogni 15 compressioni sternali. Se i soccorritori sono due, la r. più efficace si ottiene con un'insufflazione ogni 5 compressioni. Ogni 2 minuti di massaggio cardiaco esterno è utile controllare l'eventuale ripresa di un polso carotideo o femorale spontaneo.
Rianimazione in ambiente ospedaliero
Il procedimento da applicare in corso di arresto cardiocircolatorio, che avvenga in ambiente attrezzato, è lo stesso già descritto per la r. cardiopolmonare di base, utilizzando però tecniche più avanzate.
A) Intubazione endotracheale. - L'intubazione endotracheale fornisce al soccorritore un controllo assoluto delle vie aeree e prevede il posizionamento di un tubo a livello delle vie aeree superiori del soggetto in modo da isolarle dall'ambiente circostante. È una procedura che richiede particolare abilità e addestramento, e il suo impiego non è scevro di complicanze: per queste ragioni è una tecnica che deve essere eseguita solo da personale medico specificamente addestrato in ambienti opportunamente attrezzati. Viene realizzata utilizzando un laringoscopio, che permette la visualizzazione delle corde vocali, e tubi endotracheali di diversa misura. La posizione corretta del tubo endotracheale prevede che la parte terminale, dotata di cuffia a pressione per garantirne la tenuta, si collochi in posizione immediatamente distale rispetto al piano delle corde vocali, che corrisponde, nell'adulto, a una distanza tra incisivi e sommità del tubo endotracheale oscillante tra i 19 e i 23 cm. Le misure raccomandate per la scelta del tubo endotracheale sono 7,5÷8 mm di diametro interno nella donna, e 8÷8,5 mm di diametro interno nell'uomo.
B) Ventilazione a pressione positiva. - Dopo aver controllato la corretta posizione del tubo endotracheale mediante auscultazione toracica bilaterale, è opportuno istituire un supporto ventilatorio meccanico che sia in grado di fornire al paziente un volume corrente di 10÷15 ml/kg con una frequenza di 10÷12 atti al minuto.
Esistono due differenti modalità di ventilazione meccanica: la prima, nella quale il passaggio dalla fase espiratoria alla fase inspiratoria è predeterminato a seconda delle caratteristiche del ventilatore, senza che venga considerato lo sforzo operato dal paziente, è detta ventilazione controllata; l'altra, dove il richiamo inspiratorio del paziente innesca il passaggio spontaneo dall'espirazione all'inspirazione, a partire da una frequenza minima predeterminata, è detta ventilazione assistita. Esistono situazioni cliniche che obbligano in pratica a utilizzare una ventilazione controllata: tra queste vanno considerate tutte le situazioni di mancato adattamento alla ventilazione meccanica per agitazione, angoscia e tachipnea, come tutte le situazioni in cui sia presente un eccessivo lavoro respiratorio da parte del paziente. La ventilazione meccanica assistita è la modalità di ventilazione di elezione per i pazienti in insufficienza respiratoria acuta, fatte salve le indicazioni sopra riportate. Per realizzare una corretta ventilazione assistita i comandi del ventilatore devono essere regolati in modo da assicurare una ventilazione minima sufficiente per il paziente, anche quando nessuno sforzo respiratorio dovesse essere eseguito dal paziente stesso.
C) Sostegno al circolo. - Accesso venoso: durante l'arresto cardiocircolatorio la somministrazione di farmaci è una fase secondaria rispetto alla r. cardiopolmonare, alla defibrillazione elettrica (quando indicata) e all'appropriata gestione delle vie aeree, obiettivi primari che devono precedere piuttosto che seguire un'idonea somministrazione farmacologica. Solo dopo aver correttamente gestito queste prime manovre terapeutiche, infatti, si può procedere al reperimento di un adeguato accesso venoso e alla somministrazione di idonei presidi farmacologici. Se non è disponibile un adeguato approccio vascolare al momento dell'arresto cardiocircolatorio, la prima scelta è una vena periferica, dal momento che l'incannulamento di una vena centrale, che pur permette una più efficace somministrazione farmacologica, di regola, interrompe la r. cardiopolmonare. Utilizzando una vena periferica, il tempo di arrivo nel circolo centrale è più lungo rispetto alla somministrazione in vena centrale: per questo motivo, durante la r. cardiopolmonare, la somministrazione di un farmaco in una via periferica prevede che il farmaco sia iniettato nella via di infusione esclusivamente in bolo, che esso sia fatto seguire da una somministrazione di 20÷50 ml di liquido e che la sua somministrazione sia seguita dall'elevazione dell'arto per facilitarne la progressione.
Terapia farmacologica: l'adrenalina rappresenta il farmaco di prima scelta in tutti i casi di arresto cardiocircolatorio, in quanto si è dimostrato il più efficace nel migliorare il flusso ematico cerebrale e miocardico generato dalle manovre di r. cardiopolmonare e nel migliorare l'esito dei pazienti. La dose raccomandata di adrenalina è 1 mg da somministrare in bolo endovenoso ogni 3÷5 minuti fino a che la r. ha successo o viene interrotta. L'adrenalina può essere somministrata anche per via endotracheale, assicurando un'efficace biodisponibilità: la dose consigliata è 2÷2,5 volte quella somministrata per via endovenosa. Durante la r. cardiopolmonare, sono normalmente utilizzati dei liquidi per mantenere pervie le vie di infusione e per espandere la massa circolante nei pazienti con perdite acute (emorragia severa, vomito abbondante, diarrea incoercibile). La massa di fluidi da somministrare è normalmente nell'ordine dei 10 ml/kg in bolo rapido seguita da un'infusione di mantenimento.
Elettrocardiogramma e interventi cardiologici: dopo aver istituito un corretto supporto farmacologico e volemico, si procede alla registrazione dell'elettrocardiogramma che permette di differenziare le varie cause dell'arresto di circolo: la bradicardia spinta (rallentamento estremo della frequenza cardiaca spontanea in caso di blocco atrio-ventricolare avanzato), l'asistolia (assenza di attività elettrica spontanea), la dissociazione elettromeccanica (presenza di attività elettrica spontanea in assenza di un corrispettivo emodinamico), la fibrillazione ventricolare (presenza di attività elettrica e meccanica scoordinata). Nell'asistolia e nella dissociazione elettromeccanica bisogna continuare la somministrazione di adrenalina aggiungendo, se necessario, bicarbonato di sodio e calcio cloruro. Nella bradicardia da blocco atrio-ventricolare è utile la somministrazione di atropina e di isoproterenolo; se non si ha ripristino di un ritmo cardiaco fisiologico, l'unica possibilità terapeutica residua è il posizionamento di uno stimolatore cardiaco temporaneo. Nella fibrillazione e nella tachicardia ventricolare il trattamento di scelta è rappresentato dalla defibrillazione elettrica.
D) Defibrillazione elettrica. - La defibrillazione elettrica è il trattamento di scelta per la fibrillazione ventricolare e per gli episodi di tachicardia ventricolare senza polso periferico. Lo shock elettrico determina infatti una contrazione tetanica di tutte le fibre miocardiche con una depolarizzazione simultanea, in seguito alla quale il cuore riprende a contrarsi normalmente e in modo coordinato. L'efficacia della defibrillazione dipende dalla scelta di un livello di energia utile a generare un flusso di corrente transmiocardica adeguata: energia e corrente troppo basse possono non raggiungere l'obiettivo, mentre livelli troppo elevati di entrambe possono determinare danni morfologici e funzionali. Non esiste una precisa correlazione fra il livello di energia necessario e la corporatura nell'adulto, dal momento che l'impedenza toracica esercita un ruolo chiave. I fattori che determinano l'impedenza transtoracica comprendono l'energia selezionata, la dimensione delle piastre utilizzate, le caratteristiche del materiale interposto tra piastre e cute e la pressione esercitata sulle piastre del defibrillatore. Per quanto riguarda la tecnica consigliata, questa prevede la preparazione delle piastre con pasta conduttrice e il loro posizionamento in sede sottoclaveare, a destra dello sterno e al di sotto del capezzolo, in corrispondenza dell'apice cardiaco, a sinistra; quindi, premendo fortemente sul torace per far espirare il paziente, si aziona il defibrillatore. Nella prima defibrillazione la quantità di energia impiegata è normalmente di 3 joule/kg, nelle successive si sale fino a 5 joule/kg. Poiché è dimostrato che la defibrillazione precoce è il fattore più importante nel determinare la sopravvivenza nell'adulto colpito da fibrillazione ventricolare in sede extra-ospedaliera, è sempre utile anticipare al massimo il ricorso alla defibrillazione elettrica, tanto che l'attuale tendenza è quella di trasferire la defibrillazione elettrica tra gli interventi da applicare precocemente in corso di arresto cardiocircolatorio (r. cardiopolmonare di base) e non esclusivamente in fase più avanzata.
Considerazioni etiche
Decidere sull'opportunità o meno di iniziare le manovre di r. cardiopolmonare in caso di arresto cardiocircolatorio e stabilire la loro durata sono gli aspetti più difficili dell'intervento di rianimazione. Dal momento che gli elementi tradizionalmente utilizzati nella pratica clinica, quali la stima del tempo di arresto cardiocircolatorio, l'aspetto cadaverico, l'età apparente, la temperatura corporea e la midriasi non sono considerati in ambito internazionale criteri accettabili per non iniziare una r. cardiopolmonare, in assenza di segni evidenti di morte certa (macchie ipostatiche e decomposizione tessutale) la r. cardiopolmonare deve sempre essere iniziata in corso di arresto cardiocircolatorio e deve essere protratta, anche in caso di mancata risposta del sistema cardiovascolare, per non meno di 30 minuti. Un discorso a parte merita la decisione sull'opportunità di iniziare la r. cardiopolmonare in pazienti portatori di malattia terminale: tale decisione è individuale del medico e deve tenere conto della volontà del paziente, se espressa, e varia nelle diverse realtà locali in funzione dell'etica, della normativa e di variabili individuali (v. anche bioetica, in questa Appendice). È comunque importante ricordare che la diagnosi di morte cardiaca irreversibile può essere posta esclusivamente da un medico, in base alla presenza di un elettroencefalogramma piatto persistente per almeno 30 minuti, nonostante una r. cardiopolmonare e una terapia farmacologica efficace, e che, in assenza di tale diagnosi, le manovre di r. cardiopolmonare devono essere protratte a lungo termine.
bibliografia
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