rianimazione
La manovra di rianimazione cardiopolmonare e defibrillazione precoce
L’obiettivo principale del BLS (Basic Life Support) è la prevenzione dei danni anossici cerebrali; le procedure sono finalizzate a prevenire l’evoluzione verso l’arresto cardiaco in caso di ostruzione respiratoria o apnea, provvedere alla respirazione e alla circolazione artificiali in caso di arresto di circolo. Le procedure di BLS sono standardizzate e riconosciute valide da organismi internazionali autorevoli, che periodicamente provvedono a una revisione critica e a un aggiornamento in base all’evoluzione delle conoscenze.
Le fasi del soccorso sono strettamente interdipendenti, per cui se una è mancante, le possibilità di sopravvivenza sono ridottissime: di qui la metafora della catena della sopravvivenza. I quattro anelli della catena sono costituiti da: allarme precoce, inizio precoce delle procedure di BLS (con particolare riferimento al BLS messo in atto dalle persone presenti), defibrillazione precoce, cioè arrivo precoce sul posto di un’équipe in grado di praticare la defibrillazione, inizio precoce del trattamento intensivo con farmaci. La defibrillazione precoce è praticata dai sanitari e anche da personale non sanitario con defibrillatori semiautomatici. Nei sistemi di soccorso in cui le unità BLS praticano la defibrillazione precoce si sono osservati significativi miglioramenti della sopravvivenza dopo arresto cardiaco in sede preospedaliera. In caso di arresto cardiaco, la perdita di coscienza e la cessazione dell’attività respiratoria si verificano entro circa 30 secondi. Nel caso di ostruzione respiratoria o di apnea, quindi, il polso può essere ancora presente per un certo tempo nel paziente. In questi casi è indicato mettere in atto le procedure di BLS per prevenire l’evoluzione verso l’arresto cardiaco. La sequenza delle procedure di BLS consiste in una serie di azioni alternate con fasi di valutazione. Le azioni sono: pervietà delle vie aeree (airway), compressioni toraciche (circulation), ventilazioni (breathing). Ogni passo è preceduto da una rapida ma rigorosa fase di valutazione: valutazione dello stato di coscienza; valutazione della pervietà delle vie aeree e presenza di attività respiratoria; valutazione della presenza di segni di vita (movimento, tosse, respiro). Qualora l’attività respiratoria sia presente e la vittima rimanga non cosciente, è possibile utilizzare la posizione laterale di sicurezza. Se il respiro è assente si attiva il 118, sistema di emergenza territoriale, e si iniziano le compressioni toraciche esterne nel numero di 30 per 5 cicli per la durata di due minuti con una frequenza di 100/min. Molti studi hanno dimostrato che nell’80÷85% circa dei casi la causa dell’arresto cardiaco è l’insorgenza di aritmie ventricolari gravi, come fibrillazione ventricolare o tachicardia ventricolare senza polso. Solo nel 15÷20% dei casi è riscontrabile la mancanza di attività cardiaca come l’asistolia o la dissociazione elettromeccanica. Nel 90% dei casi, l’eziologia è riferibile a malattie cardiache: cardiopatia ischemica (85%), cardiomiopatia dilatativa o ipertrofica (10%), cardiopatia ipertensiva o valvolare (5%), sindromi aritmogene ereditarie (5%). Solo nel 10% la causa è extracardiaca (grave insufficienza respiratoria, emorragie, ecc.). La fibrillazione ventricolare è un’alterazione del ritmo cardiaco caratterizzata da caos elettrico, che si traduce nell’assenza di attività contrattile del cuore; il polso è quindi assente. Nella tachicardia ventricolare, che spesso evolve in fibrillazione ventricolare, gli impulsi elettrici cardiaci, a partenza ventricolare, si succedono invece ritmicamente, ma con frequenza talmente elevata da non consentire contrazioni cardiache efficaci; anche in questo caso il polso è assente. Queste aritmie ventricolari, se non trattate subito con la defibrillazione, evolvono in breve verso l’asistolia, ritmo non defibrillabile e generalmente non suscettibile di alcuna terapia.
La defibrillazione consiste nel far attraversare il cuore, in brevissimo tempo (pochi millisecondi), da una adeguata scarica di corrente continua. Lo shock elettrico azzera i potenziali elettrici spontanei del muscolo cardiaco, interrompendo la fibrillazione ventricolare. Allo stato di refrattarietà provocato dallo shock in genere subentra il risveglio di segnapassi naturali che ristabiliscono l’ordine elettrico e un ritmo organizzato, con ripristino di una circolazione spontanea. Gli apparecchi che consentono questo intervento si chiamano defibrillatori e possono essere manuali (il cui uso richiede buone conoscenze mediche) e automatici. I defibrillatori esterni automatici incorporano un sistema di analisi del ritmo in grado di indicare al soccorritore se la scossa salvavita (defibrillazione) è o no necessaria. L’operatore che utilizza un defibrillatore completamente automatico deve semplicemente collegare gli elettrodi al paziente e accendere l’apparecchio, che in pochi secondi procede all’analisi dei ritmo cardiaco: se è presente aritmia ventricolare il dispositivo eroga lo shock. Attualmente in Italia si dispone solo di defibrillatori semiautomatici, che per erogare lo shock elettrico attendono la conferma dell’operatore, addestrato ad attivarli su pazienti privi di conoscenza, di respiro e di polso. Tutti i defibrillatori semiautomatici esterni vengono collegati al paziente con due elettrodi adesivi mediante cavi di connessione. Questi elettrodi adesivi hanno due funzioni: rilevare il ritmo ed erogare lo shock elettrico. I defibrillatori semiautomatici esonerano il personale dal riconoscimento del ritmo. La legge 3 apr. 2001 recita all’art. 1: «È consentito l’uso del defibrillatore semiautomatico in sede extraospedaliera anche al personale sanitario non medico, nonché al personale non sanitario che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardiopolmonare».
Francesco Aguglia
Marianna Suppa