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reverente

di Alessandro Niccoli - Enciclopedia Dantesca (1970)
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reverente

Alessandro Niccoli

Come nell'uso moderno, indica lo stato d'animo o l'atteggiamento esteriore di chi sente o mostra reverenza, ma, in armonia al valore fortemente impegnativo che ha appunto ‛ reverenza ' nel lessico dantesco, esprime l'idea della soggezione, nutrita di rispetto e di timore, che si deve a un'autorità, sia essa morale o intellettuale, politica o religiosa.

Il vocabolo ricorre nella Commedia sia per definire un atteggiamento o un comportamento di D., sia in similitudini apparenti: If XV 45 'l capo chino / tenea com'uom che reverente vada; Pd VIII 41 Poscia che li occhi miei si fuoro offerti / a la mia donna reverenti; e così Pg XXVI 17, XXXIII 25. In un caso, anzi, il valore descrittivo del termine è così ricco che sull'idea del rispetto timoroso prevale quella dell'atteggiamento esteriore con il quale questo sentimento si manifesta: Pg I 51 Lo duca mio allor mi diè di piglio, / e con parole e con mani e con cenni / reverenti mi fé le gambe e 'l ciglio, m'invitò cioè a inginocchiarmi e a chinare il capo davanti a Catone.

Più complessa risonanza concettuale il vocabolo ha negli esempi del Convivio. Al momento di esaminare, per confutarne la validità, la definizione della nobiltà quale antica possession d'avere / con reggimenti belli (IV Le dolci rime 23-24), che la tradizione attribuiva a Federico II di Svevia, D. si preoccupa di dimostrare che la sua confutazione non infirma la reverenza dovuta all'Impero: a questo scopo distingue tra chi, venendo meno alla soggezione dovuta a un'autorità, è ‛ inreverente ', e chi invece, negando la necessità di quella soggezione, è ‛ non reverente ', per concludere che io, che in questo caso a lo Imperio reverenza avere non debbo, se la disdico, inreverente non sono, ma sono non reverente, che non è tracotanza né cosa da biasimare (IV VIII 14); e si vedano anche i §§ 11 (due volte), 13, 15 e 16.

Un secondo gruppo di esempi compare in IV XXV, nell'indicazione delle virtù che sono necessarie all'adolescenza: a questa etade è necessario d'essere reverente e disidiroso di sapere (§ 4). Ma le occorre anche ‛ stupore ', cioè uno stordimento d'animo per grandi e maravigliose cose vedere o udire o per alcuno modo sentire: che, in quanto paiono grandi, fanno reverente a sé quelli che le sente... E però li antichi regi ne le loro magioni faceano magnifici lavorii d'oro e di pietre e d'artificio, acciò che quelli che le vedessero divenissero stupidi, e però reverenti (§ 5). E si veda anche l'esempio del § 6 (quando Adrasto... ricordossi del risponso che Apollo dato avea per le sue figlie... divenne stupido; e però più reverente e più disideroso di sapere), dove anzi il vocabolo, meglio che negli altri casi, indica l'improvviso sbigottimento che s'impadronisce dell'animo umano di fronte alla rivelazione di un intervento divino.

Vocabolario
reverènza
reverenza reverènza s. f. – Variante meno com. di riverenza nel sign. di «rispetto»: Con r. la gente la ’nchina (G. Cavalcanti); ant. nel sign. di «inchino».
maxima debetur puero reverentia
maxima debetur puero reverentia ‹màksima debètur pùero reverènzia› locuz. lat. (propr. «si deve al fanciullo il più gran rispetto»). – Sentenza che ripete un verso di Giovenale (Satire XIV, 47), in cui si ammoniscono i padri a non dare...
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