RETRATTO
. Complementare al diritto di prelazione che ebbe il suo più ampio regolamento in una novella di Romano Lecapeno del 922 e che s'incontra in tutti i territorî bizantini d'Italia né fu estraneo all'Italia longobarda, è il diritto di retratto, cioè il diritto di sottrarre l'immobile al compratore e di rivendicarlo a sé. Assume nomi diversi: ius congrui nell'Italia meridionale; avocatio in Sicilia; ricompra a Venezia; recupera a Trieste; tentia ad Aosta.
Le condizioni soggettive e oggettive, alle quali era subordinato il diritto di retratto, sono quelle stesse a cui era subordinato il diritto di prelazione: si aveva, quindi, un retratto familiare o gentilizio (iure parentelae), un retratto iure condomini, un retratto iure contiguitatis. Il primo era in stretta relazione col diritto successorio: esso è presentato come una revocatio terrarum alienatarum extra casale paternum. Nelle Puglie e a Venezia il retratto fu accordato a parentes, sortifices e confinales, a proximi, a socii, a lateranei; nel Piemonte a parentes o proximiores, a consortes, a cohaerentes o attinentes o vicini. In Sicilia il retratto fu ammesso soltanto iure sanguinis e iure contiguitatis. Si ritiene da alcuni che in Lombardia il retratto iure contiguitatis, ricordato soltanto in statuti dei secoli XV e XVI (Bergamo, Milano), fosse anteriormente ignorato, e che ciò derivasse dalla prevalenza, in questa regione, delle concezioni germaniche che avrebbero conosciuto soltanto una prelazione iure sanguinis e iure consoci. Ma non sembra che quegli statuti introducessero una novità sostanziale.
Oggetto del retratto erano i beni immobili o assimilati agl'immobili (decime, servitù attive, ecc.). Erano sottratti al retratto i beni permutati o donati per gratitudine o costituiti in dote.
L'istituto fu ritenuto mezzo per mantenere uniti i patrimonî sotto lo stesso nome; per evitare liti in caso di condominio; per escludere estranei dall'acquisto di beni in territorio comunale; per facilitare la costruzione di palazzi con l'acquisto delle case dei vicini poste in vendita, cioè per considerazioni di edilizia urbana. Quest'ultimo movente prevalse nella legislazione pontificia per abbellire le città. L'istituto, rivelatosi impacciante nella seconda metà del sec. XVII, fu successivamente abolito in Toscana in alcune sue forme nel 1751, in tutte nel 1778. Contrastato fu anche dalle costituzioni modenesi del 1770 e da leggi napoletane del 1789. Non fu accolto dal codice napoleonico e, dietro il suo esempio, dai codici italiani del sec. XIX, se facciamo eccezione per il codice estense.
Bibl.: A. Pertile, Storia del diritto italiano, 2ª ed., III, Torino 1894, p. 420 segg.; IV, ivi 1893, p. 354; G. Salvioli, Storia del diritto italiano, 9ª ed., Torino 1930, p. 848 segg.; E. Besta, I diritti sulle cose nella storia del diritto italiano, Padova 1933, pp. 260-64, e l'ampia bibliografia richiamata a p. 260.