RETI DI COMUNICAZIONE
Reti di comunicazione in fibra ottica. - Lo sviluppo dei sistemi di comunicazioni ottiche inizia alla fine degli anni Sessanta. Gli anni Settanta hanno visto il progressivo miglioramento delle caratteristiche sia delle fibre che dei componenti impiegati in questi sistemi, sino all'affermazione industriale di questi ultimi. Ciò ha portato, nel corso degli anni Ottanta, all'installazione sempre più generalizzata di cavi in fibra, al punto che oggi, tranne che per la parte terminale della rete, prossima all'utente, negli impianti di telecomunicazioni s'installano solamente cavi in fibra ottica. Questo radicale cambiamento del mezzo di trasmissione, dai cavi in rame alle fibre ottiche, ha però influito ancora solo marginalmente sulla struttura della rete, rimasta sostanzialmente inalterata.
Una delle caratteristiche più attraenti delle fibre ottiche è la loro grande capacità di banda trasmissibile, che, dal punto di vista dei sistemi tradizionali di comunicazione, può essere considerata praticamente illimitata. Ora, al contrario, la limitazione di banda dei sistemi tradizionali (cavi, amplificatori, ecc.) è stata storicamente una delle difficoltà principali da superare nella realizzazione delle r. di c.: da qui lo sviluppo di sofisticati metodi di multiplazione e di commutazione, sviluppo che ha portato a far sì che, nelle reti odierne, la parte dedicata a queste funzioni sia predominante rispetto a quella della trasmissione vera e propria. Gli anni Novanta vedranno, con ogni probabilità, l'inizio di una trasformazione nella struttura delle r. di c., indirizzata all'utilizzazione delle più avanzate potenzialità offerte dalle trasmissioni ottiche. Tuttavia questa trasformazione, resa possibile dalle nuove disponibilità tecnologiche, sarà determinata anche dalle esigenze poste dai nuovi servizi che si avviano a modificare radicalmente le r. di c. (si pensi, per es., alla trasmissione dati, alla teledidattica, alla distribuzione via cavo dei segnali televisivi, CATV). L'evoluzione delle r. di c. degli anni 2000 è argomento d'intensa ricerca, i cui sforzi attualmente mirano proprio alla definizione, da un lato, delle esigenze delle reti capaci di offrire servizi sempre più avanzati, e, dall'altro, delle tecnologie mediante le quali ciò potrà essere realizzato a costi accessibili e in modo sufficientemente flessibile per seguire l'evolversi delle esigenze dell'utenza. Saranno qui illustrati alcuni degli aspetti tecnologici che sono alla base di queste trasformazioni.
I sistemi ottici di trasmissione. - Per i sistemi di trasmissione in fibra ottica ci limiteremo in questa sede a richiamarne alcune caratteristiche principali, per illustrare lo stato odierno di sviluppo della tecnologia (v. anche optoelettronica, in questa Appendice).
Lo schema di principio di un sistema di trasmissione è mostrato in fig. 1. Il segnale (elettrico) da trasmettere, nella generalità dei casi sotto forma binaria, viene opportunamente codificato e, tramite un amplificatore pilota, va a modulare la sorgente elettroottica (un diodo elettroluminescente, LED, o un diodo laser). All'altra estremità della fibra, un fotodiodo (p-i-n oppure a effetto valanga) trasforma il segnale ottico in un segnale elettrico che, dopo uno stadio di amplificazione a basso rumore, e uno stadio di decisione destinato a riportarlo alla forma binaria, prosegue il suo cammino secondo le esigenze del sistema. Nella figura non sono indicati i circuiti per alcune funzioni accessorie (ma tuttavia di grande importanza in pratica), quali la stabilizzazione della temperatura e della potenza emessa dal trasmettitore, e il recupero del clock al ricevitore.
Il ricevitore. - La caratteristica principale del ricevitore, ai fini del dimensionamento di un sistema, è la sua sensibilità, cioè la potenza ottica all'ingresso necessaria per ottenere un determinato ''tasso d'errore'' (nel caso di sistemi numerici) o un determinato rapporto segnale/disturbo (nel caso di sistemi analogici) del segnale elettrico d'uscita. Fermandoci a considerare i primi, il ricevitore ideale, al quale si suole fare riferimento come limite delle prestazioni ottenibili da qualunque sistema reale, è il cosiddetto ''contatore quantico'', un ricevitore cioè in grado di contare i fotoni di segnale rivelati nell'intervallo temporale di un bit.
Supponendo coerente la radiazione incidente, il minimo numero di fotoni per bit, necessario per ottenere una probabilità di errore di 10−9 nella rivelazione, a causa della statistica di Poisson che caratterizza il processo di fotoconteggio, risulta di 21. Più in generale, a valle del fotodiodo e in assenza di altre cause di rumore, il rapporto (in potenza) segnale/rumore S/N è dato da
〈\001.0fr>
dove η è l'efficienza quantica del rivelatore, Pr la potenza ottica ricevuta, h la costante di Planck, ν la frequenza del segnale ottico e B la banda del segnale.
In un ricevitore reale, diverse cause di degradazione, quali la corrente d'oscurità del rivelatore e il rumore termico del preamplificatore, fanno sì che il numero di fotoni necessari per ottenere le stesse prestazioni sia notevolmente più alto, da qualche centinaio a qualche migliaio, dipendentemente dalla lunghezza d'onda, dalla banda e dalla qualità dei componenti adoperati. In particolare, il rapporto segnale/rumore S/N all'uscita del preamplificatore è dato da
dove, oltre ai simboli già definiti, g è il guadagno del fotorivelatore (nel caso in cui si usi un fotodiodo a valanga, APD), k la costante di Boltzmann, T la temperatura assoluta, Rc la resistenza d'ingresso del preamplificatore ed F il fattore di rumore di quest'ultimo. Poiché nei fotodiodi a valanga il rumore di moltiplicazione fa sì che, all'aumentare del guadagno, 〈g2> cresca più rapidamente di 〈g>2, la [2] mostra che, nei ricevitori reali, il rapporto S/N è sempre inferiore al limite quantico.
La tecnica della ricezione coerente, inizialmente sviluppata proprio per superare questa difficoltà, permette, almeno in linea di principio, di raggiungere il suddetto limite. Essa consiste (v. fig. 2) nel sovrapporre sul fotodiodo il segnale ricevuto, di frequenza f1, con un'onda monocromatica di frequenza f2 (nel caso generale, detto eterodina, diversa da f1), e di polarizzazione coincidente con la prima. La componente a frequenza f1−f2 della corrente del fotodiodo riproduce in ampiezza e fase l'onda incidente, che adesso può essere filtrata ed elaborata mediante circuiti elettrici. Il rapporto S/N di questo segnale a frequenza intermedia, misurato su una banda BIF doppia rispetto a quella del segnale, è dato da
dove PL è la potenza dell'oscillatore locale. Si vede che, aumentando PL, l'influenza del rumore del preamplificatore può essere ridotta sino a valori trascurabili; se poi f1=f2 (rivelazione omodina), la banda del circuito si riduce alla banda base del segnale (BIF=B) e il rapporto S/N diviene quello del ricevitore ideale. Inoltre, poiché il segnale a frequenza intermedia, come si è detto, riproduce in ampiezza e fase il segnale ottico, si possono estendere alle comunicazioni ottiche le tecniche di modulazioni d'angolo (frequenza o fase), ben note nel campo delle comunicazioni elettriche.
Oltre che la maggiore sensibilità, il ricevitore eterodina presenta due proprietà che sono risultate determinanti dal punto di vista dell'apertura di nuove possibilità di applicazione: la selettività e l'accordabilità. La selettività è dovuta al fatto che il filtraggio del segnale viene operato da circuiti elettrici, le cui caratteristiche sono quindi perfettamente controllabili; l'accordabilità deriva dalla possibilità di selezionare il segnale da ricevere semplicemente variando la frequenza dell'oscillatore locale.
Le difficoltà principali che s'incontrano nella realizzazione di un sistema coerente sono legate al rumore delle sorgenti (larghezza di riga) e al controllo della polarizzazione; sebbene esse siano in via di superamento grazie agli avanzamenti della tecnologia, il sistema coerente presenta una complessità rispetto a quelli a semplice rivelazione d'intensità, che continuerà a limitarne le applicazioni ai casi in cui i suoi vantaggi ne giustifichino l'uso. Tuttavia, l'importanza delle ricerche svolte in questo campo è stata sia quella di provocare lo sviluppo di componenti a elevate prestazioni, sia, ancor più, quella di dimostrare la possibilità di usare la frequenza come variabile di comunicazione (oltre che di multiplazione), aprendo quindi la strada a nuove concezioni di rete. La fig. 3 mostra, per es., l'applicazione di questi concetti alla distribuzione di m segnali a n utenti, tutti collegati allo stesso centro di una stella ottica.
Nella generalità dei casi, i sistemi oggi in uso impiegano la modulazione d'intensità della portante ottica, e rivelazione incoerente. Nella tabella sono riportati alcuni valori tipici delle sensibilità (riferite a un tasso di errore di 10−9) presentate da ricevitori disponibili commercialmente o realizzati in laboratorio, alle diverse frequenze di trasmissione.
La fibra. - Le fibre impiegate oggi negli impianti di telecomunicazioni sono generalmente di due tipi, ambedue monomodo: fibre con profilo d'indice standard, ottimizzate per la trasmissione alla lunghezza d'onda di 1,3 μm (seconda finestra), dove la dispersione cromatica del vetro è nulla, e le perdite sono dell'ordine di 0,5 dB/km, e fibre con profilo d'indice appositamente studiato per ottenere una dispersione nulla a 1,5 μm (terza finestra), dove le perdite raggiungono valori minimi inferiori a 0,2 dB/km (fibre a dispersione spostata o dispersion shifted); a questa stessa lunghezza d'onda, le fibre con profilo standard manifestano una dispersione di 17 ps/(nm·km). Per applicazioni meno esigenti, sino a distanze di alcuni chilometri, si possono usare fibre multimodo con profilo d'indice quasi parabolico (graded), alla lunghezza d'onda ancora di 1,3 μm, che permettono anche l'uso di diodi elettroluminescenti; in queste fibre, la dispersione (modale) è di poco inferiore a 1 ns/km. Per distanze ancora inferiori (tra apparati vicini, calcolatori, ecc.), sono disponibili fibre con profilo a gradino (step), utilizzabili nella prima finestra, alla lunghezza d'onda cioè di 0,8 μm, eventualmente costruite con il nucleo in vetro e il rivestimento in plastica, oppure interamente in plastica.
Le sorgenti. - A parte i diodi elettroluminescenti (LED), le cui applicazioni sono limitate sia dalla bassa potenza iniettata in fibra (∼10μW in una fibra multimodo), sia dalla banda di modulazione (〈100 MHz), le sorgenti utilizzate nei sistemi in fibra ottica sono i diodi laser. Essi possono essere divisi in due categorie principali, caratterizzate dalla lunghezza d'onda di emissione e dalla struttura, che ne determina le proprietà spettrali. Per i sistemi a 1,3 μm, dove cioè l'effetto della dispersione cromatica è trascurabile, diodi laser con cavità Fabry-Perot, oscillanti su diversi modi longitudinali e con larghezza di riga risultante di 2÷3 nm, sono in genere adeguati. Per i sistemi a 1,5 μm, utilizzanti fibre standard, e comunque in tutti i casi in cui la dispersione della fibra rappresenti il fattore limitante, è necessario ricorrere a laser a singolo modo longitudinale, quali quelli a reazione distribuita (DFB, Distributed Feed Back) o con riflettori alla Bragg (DBR, Distributed Bragg Reflector). La larghezza di riga di questi dispositivi è di qualche decina di MHz; la potenza iniettata in fibra e la frequenza di modulazione sono rispettivamente dell'ordine del mW e di alcuni GHz. Poiché l'uso della modulazione diretta mediante la corrente d'iniezione, specie a frequenza alta, provoca un peggioramento delle caratteristiche spettrali dell'emissione (chirping e multimodalità transitoria), in applicazioni particolari, dov'è richiesta la massima purezza spettrale, si può far ricorso all'uso di modulatori esterni, generalmente in ottica integrata. I materiali semiconduttori con cui sono realizzati i diodi per la seconda e terza finestra sono leghe ternarie o quaternarie basate sul fosfuro d'indio (InP), mentre le sorgenti per la prima finestra sono costruite con leghe di AlGaAs.
Gli amplificatori ottici. - Il fenomeno dell'amplificazione della luce per emissione stimolata è alla base del funzionamento del laser ed è stato ampiamente utilizzato sin dall'invenzione di quest'ultimo. È soltanto però da alcuni anni che sono stati realizzati amplificatori dalle caratteristiche adatte al loro impiego negli impianti di telecomunicazioni, dove la loro funzione si sta dimostrando determinante per l'attuazione di soluzioni nuove ai problemi della rete.
Due sono i tipi di amplificatori suscettibili d'uso nei sistemi in fibra ottica: i diodi a semiconduttore e le fibre drogate con opportune terre rare. I primi hanno struttura identica a quella dei diodi laser, con la differenza che alle faccine terminali viene applicato un trattamento antiriflettente, in modo da impedire l'innesco di oscillazioni: si possono ottenere così guadagni sino a 25÷30 dB; i problemi, non ancora del tutto superati, che questi dispositivi presentano sono legati alla dipendenza del guadagno dallo stato di polarizzazione della luce, dovuta alla struttura asimmetrica della guida attiva, e alla non uniformità del guadagno rispetto alla frequenza, legata alla riflessione residua sulle faccine. Il secondo tipo di amplificatori ottici, che oggi trova impiego molto più ampio del primo, fa uso di una fibra monomodo, nel cui nucleo è diluita una certa percentuale di atomi di terre rare, che vengono eccitati da una radiazione di pompa, propagantesi nella stessa fibra. In particolare, nel caso qui considerato la sostanza attiva è l'erbio, la cui riga di guadagno si trova proprio alla lunghezza d'onda di 1,53÷1,56 μm, coincidente con quella di minima utilizzazione delle fibre. La radiazione di pompa, che generalmente è alla lunghezza d'onda, λπ di 0,98 μm (si può usare anche la lunghezza d'onda di 1,48 μm), è generata da un diodo laser, e, come mostrato in fig. 4, è iniettata nella fibra mediante un accoppiatore dicroico. Sono disponibili amplificatori commerciali che offrono un guadagno di 20÷30 dB, con una potenza d'uscita in saturazione di circa 20 mW e un fattore di rumore inferiore a 4 dB.
Le reti ottiche. - Da quanto sopra accennato riguardo allo sviluppo attualmente raggiunto dalle varie parti di un sistema ottico, si deduce che, per le velocità di trasmissione attualmente in uso, distanze fra trasmettitore e ricevitore di 80÷100 km possono essere raggiunte senza la necessità d'inserire un ripetitore, un apparato cioè in grado di amplificare e rigenerare il segnale. Poiché nelle reti in uso la distanza tra i centri di commutazione è mediamente inferiore a questo valore, questi centri possono essere collegati mediante cavi interamente ottici, nei quali cioè i segnali viaggiano senza subire conversioni intermedie, da ottico a elettrico e viceversa. Ciò può avvenire anche quando le distanze siano superiori a quanto sopra detto, mediante l'inserimento di amplificatori ottici lungo la linea, invece che di rigeneratori. È attualmente in programma l'installazione di cavi sottomarini transcontinentali, realizzati secondo questo principio. La disponibilità di lunghi cavi ''trasparenti'', che non condizionano cioè il formato dei segnali trasmissibili, offre possibilità insperate sino a pochi anni fa. Infatti, la fig. 5 mostra la curva di attenuazione di una fibra monomodo, a dispersione spostata, tipica di quanto offerto oggi dalla produzione industriale; si noti come l'utilizzazione di una pur piccola parte della regione di lunghezze d'onda a basse perdite della fibra consenta la trasmissione di segnali con bande dell'ordine dei THz.
In una r. di c., come quella schematicamente mostrata in fig. 6, i vari segmenti di trasmissione fanno capo ai nodi, dove i segnali debbono essere in qualche modo elaborati, per es. per modificarne il livello di multiplazione o per istradarli su una via o su un'altra; a questo scopo è necessario passare dai segnali ottici a quelli elettrici, che vengono poi nuovamente convertiti in segnali ottici per la ritrasmissione verso altri nodi della rete. Questo passaggio attraverso l'elaborazione elettronica costituisce il limite imposto alla velocità dei segnali che transitano sulla rete. Infatti, anche se la velocità dei circuiti elettronici utilizzabili è in continuo avanzamento (al momento, i più rapidi raggiungono tempi di alcune decine di ps), essa è ben lontana dalla velocità dei fenomeni ottici, che è tipicamente di frazioni di ps, sino ai fs. Pur non essendo, in una rete reale, richieste velocità di quest'ordine di grandezza, la prospettiva di utilizzare le larghezze di banda e la velocità di risposta tipiche dell'ottica per realizzare reti più flessibili, oltre che più capaci, ha stimolato un fortissimo impegno di ricerca, che è ancora in atto.
Multiplazione di segnali ottici nel dominio della frequenza e nel dominio del tempo. - Analogamente a quanto è avvenuto nel campo delle comunicazioni elettriche, due sono le strade che sono state investigate per utilizzare l'ampiezza della banda di trasmissione delle fibre, prima considerata: affiancare nel dominio della frequenza gli spettri di tanti segnali, alla portante di ciascuno dei quali è stata attribuita una particolare lunghezza d'onda, oppure codificare gli stessi segnali mediante sequenze di impulsi temporali estremamente brevi, che poi vengono ''impacchettati'' secondo determinate regole che permettano di riconoscerne l'identità.
La prima (Wavelength Division Multiplexing, WDM) è stata anche storicamente la prima a essere utilizzata nel campo delle fibre ottiche: l'uso di filtri ottici, o di accoppiatori direzionali dicroici, anche con selettività grossolana, permette per es. di utilizzare la stessa fibra per la trasmissione in una direzione di un canale, tipicamente un segnale televisivo, alla lunghezza d'onda di 1,5 μm, e, nella direzione opposta, di un segnale lento, di comando o di richiesta, alla lunghezza d'onda di 1,3 μm (reti di distribuzione interattive). In altre applicazioni, usando filtri e dispositivi con selettività più elevata, 16, 32 o più canali possono essere affiancati sulla stessa fibra e smistati nei nodi secondo direzioni determinate dalla lunghezza d'onda di ciascun canale. Questo istradamento può essere fisso nel tempo, oppure comandato mediante segnali elettrici di controllo. I dispositivi per svolgere le relative funzioni sono in parte già disponibili (filtri accordabili, demultiplatori in lunghezza d'onda, ecc.); si stanno attivamente studiando altri dispositivi, in grado di aumentare la flessibilità del sistema, per es., convertendo il segnale ottico da una lunghezza d'onda a un'altra. Quando la multiplazione in lunghezza d'onda è molto fitta, quale quella ottenibile con le tecniche coerenti, questi metodi sono chiamati a multiplazione di frequenza, o FDM (Frequency Division Multiplexing). La rete coerente a stella passiva, mostrata precedentemente (v. fig. 3), è un esempio di queste applicazioni.
L'altra strada che viene seguita per la trasmissione di un elevato numero di canali sulla stessa fibra fa ricorso alla multiplazione nel tempo (Time Division Multiplexing, o TDM). Poiché è relativamente agevole generare impulsi ottici estremamente brevi (〈1 ps), come quelli emessi da un laser in funzionamento a modi agganciati (mode-locking), un certo numero di questi treni di impulsi, ognuno modulato da un segnale (lento) da trasmettere, possono essere interallacciati mediante un semplice ritardo relativo e sovrapposizione. Il principio di questo metodo è schematicamente illustrato in fig. 7. Il numero di canali che possono essere così combinati dipende dal rapporto tra la durata di bit dei canali entranti e la durata dell'impulso ottico, e quindi può essere, in linea di principio, anche molto alto; l'operazione inversa di demultiplazione, nel ricevitore, deve però avvenire con tempi di risoluzione comparabili con la durata dei singoli impulsi, per poterli isolare e smistare sulle diverse uscite. Questa necessità, insieme con gli effetti della dispersione residua della fibra, pone un limite alla massima capacità di trasmissione utilizzabile con questa tecnica. La demultiplazione può essere eseguita ricorrendo a deviatori elettroottici, realizzati in ottica integrata, che oggi raggiungono frequenze di lavoro sino a 20 GHz; oppure utilizzando particolari interazioni nonlineari in fibre chiuse ad anello, nelle quali l'estrazione di un impulso dalla sequenza in arrivo è comandata da un altro impulso ottico, in sincronismo con il primo (nonlinear loop mirror), e con le quali si sono raggiunte velocità, in esperimenti di laboratorio, di 40 Gb/s. La dispersione residua della fibra provoca un allargamento degli impulsi trasmessi, che ne limita la minima durata; negli ultimi anni però molte ricerche sono state svolte sulla possibilità di compensare questo effetto con la nonlinearità (tipo Kerr) della stessa fibra, compensazione che, in particolari condizioni, dà luogo alla propagazione di ''solitoni'', forme d'onda cioè che si propagano inalterate su lunghissime distanze; sperimentalmente è stata dimostrata così la trasmissione di impulsi della durata di 30÷50 ps sino a distanze di 9000 km.
Reti ottiche trasparenti. - Sia che si faccia ricorso alla multiplazione nel dominio della frequenza o a quella nel dominio del tempo, è possibile concepire una rete nella quale i segnali vengono trasmessi attraverso i cavi e reinstradati nei vari nodi, senza la necessità di essere mai convertiti in segnali elettrici. Viene così eliminata, almeno in linea di principio, la strozzatura che la velocità dei circuiti elettronici pone alla capacità di trasmissione in una rete. In particolare, una rete nella quale tra due punti qualsivoglia si possa stabilire una connessione che, in una certa banda di frequenza, sia in grado di trasmettere un segnale ottico, qualunque ne sia la velocità e il tipo di modulazione, viene considerata una rete ''trasparente''. Indipendentemente dalle prospettive di larghezza di banda così ottenibili, sono chiari i vantaggi che una rete di questo tipo può offrire in termini di flessibilità, espandibilità e, probabilmente, anche di semplicità.
Le ricerche che attualmente sono in corso vedono impegnati un gran numero di laboratori sugli aspetti più vari che la realizzazione di reti interamente ottiche comporta: si va dai problemi di architettura e di gestione della rete, allo sviluppo di nuovi componenti in grado di svolgere funzioni complesse a livello ottico, dai problemi di compatibilità e integrazione con le reti esistenti, a quelli di affidabilità e di costo dei componenti. Le sperimentazioni compiute, generalmente di piccole reti in ambito locale, hanno lo scopo di approfondire l'uno o l'altro di questi aspetti e di verificare quanto i risultati ottenuti in laboratorio siano trasferibili sul campo. Mentre appare chiara la tendenza all'interconnessione, su scala ''globale'', delle grandi reti di telecomunicazione, mediante reti ottiche il più possibile trasparenti e facilmente riconfigurabili, nel campo delle reti locali e di distribuzione lo sviluppo è fortemente condizionato dalla competitività di costi con i sistemi in rame. Come già accennato inizialmente, saranno i nuovi servizi, con le loro esigenze di larga banda, a determinare le direzioni lungo le quali avverrà l'evoluzione delle reti ottiche.
Bibl.: B. Saleh, M.C. Teich, Fundamentals of photonics, New York 1991; Proceedings of the IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers), numero speciale su Optical Communication Network Trends, vol. 81, n. 11, novembre 1993; IEEE Journal of Lightwave Technology, numero speciale su Broad-band Optical Networks, vol. 11, n. 5/6, maggio/giugno 1993; Centro Studi E Laboratori Telecomunicazioni (CSELT), La rete di distribuzione per telecomunicazioni: architetture, sistemi, componenti, a cura di A. Luvison e F. Tosco, Torino 1993; S. Betti, G. De Marchis, E. Iannone, Coherent optical communication systems, New York 1994.