rete
Il sostantivo è usato per indicare sia lo strumento dei cacciatori che quello dei pescatori. In If XXX 7 Atamante, reso folle da Giunone, scambia la moglie e i figli per delle fiere e grida: Tendiam le reti, sì ch'io pigli / la leonessa e' leonini... Nel riassumere Ovidio (Met. IV 512-514), D. traduce letteralmente l'espressione " retia tendite ". Il Cesari, notando l'efficacia del passo e di termini come r. e artigli (v. 9), osserva che D. " nello stesso concetto passa da una in altra metafora: cioè, dalle reti agli artigli ".
La r. è la " cuffietta a maglia ", ornamento del capo femminile caratteristico del Medioevo, in Fiore LII 10 E se lor doni, dona gioelletti, / be' covriceffi e reti e 'ntrecciatoi (cfr. Villani X 153 " ornamenti di corone e ghirlande d'oro e d'argento... e reti e intrecciatoi di perle "; v. INTRECCIATOIO).
Il luogo di Pg XXXI 63 aiuta a comprendere il passaggio dal senso proprio agli usi traslati; infatti la frase dinanzi da li occhi d'i pennuti / rete si spiega indarno o si saetta, è traduzione di Prov. 1,17 " Frustra... iacitur rete ante oculos pennatorum ". Cfr. Ep VI 5.
Si passa dunque agli usi traslati: la r. è qualcosa che impiglia, che irretisce, imprigiona, ed è vista perciò come un'arma, qualcosa di pericoloso e ostile, subdolo e ingannevole. L'esempio più classico è in Pg XXVI 24, in cui D. appare alle anime penitenti come se non fosse ancora morto, ossia di morte intrato dentro da la rete.
Benvenuto interpreta l'immagine come se la morte fosse vista da D. come un pescatore: " mors enim piscatur in magno mari mortalium, et omnia genera animantium capit ". Ma il Mattalia, rifacendosi alla tradizione biblica, nota che " il sheol o Morte è descritto come un cacciatore intento a gettar la rete o laccio ".
Siamo in pieno campo metaforico in Pg XXI 76 (Omai peggio la rete / che qui vi 'mpiglia), dove r. indica il " talento " che è la " volontà relativa che tiene ‛ impigliate ' le anime al tormento " (Mattalia); " il laccio rappresentato da quella rete... si scioglie mediante la compiuta purificazione di cui l'anima stessa si accorge (61-3) " (Grabher).
Assai comune nel vocabolario della lirica dell'epoca è la metafora della r. d'amore, il " laccio " in cui cade l'uomo innamorato; la donna, armata delle sue lusinghe, ‛ rizza il pennone ', avanza, lancia in resta, contro gli uomini, per fargli nella sua rete fedire (Fiore CLXVII 8).
Infine (in Pg XXXII 6) l'antica rete con cui gli occhi di Beatrice traggono a sé l'attenzione di D. è l'" antico amore, el quale così piglia la mente, come la rete gl'uccegli " (Landino); ma sembra più persuasiva la breve chiosa di Benvenuto, per il quale la r. è " memoria antiqui amoris, qui... nunc reaccensus est ". Non è tanto l'amore in sé, insomma, ma il ricordo e l'" attrattiva " di esso (Lombardi) che assorbe l'animo del poeta.