CANTELMO, Restaino
Primogenito di Giovannella Caetani e di Giovanni, conte di Popoli, spogliato con la forza del suo feudo dal fratello Pietro Giampaolo, duca di Sora, non ne è nota la data di nascita. Trascorse la giovinezza a Napoli alla corte di Ferrante d'Aragona, di cui fu camerlengo e verso il quale si dimostrò fedele vassallo. Morto il padre nel 1479 venne investito della contea di Popoli dal re Ferrante, che lo aveva già "honorato di molti duoni, et fra gli altri Vittorito, Petena, Rocca di Casale, et Pratola nel'Apruzzo" (Vincenti, p. 60). Nel 1483 ottenne dal sovrano la concessione della giurisdizione criminale su molte fra le sue terre abruzzesi. Nella guerra contro Innocenzo VIII e i baroni ribelli (1485-1486) il C. combatté per la fazione filoaragonese, anche se con qualche iniziale incertezza nella sua azione, che contribuì a rafforzare la diffidenza, più tardi scoperta inimicizia, nutrita nei suoi confronti dal duca di Calabria, il futuro Alfonso II.
Nel 1485 infatti Alfonso chiese al C. di partecipare attivamente alla lotta contro i ribelli e di permettere alle sue milizie, che erano acquartierate a Chieti, di attraversare la contea di Popoli per raggiungere la città ribelle dell'Aquila. Il C., sentendosi sospettato per essere genero del conte di Montorio e cognato del conte di Marieri, entrambi ribelli, e reso esperto dalla proditoria cattura del conte di Montorio, temette che si trattasse di un tranello per impadronirsi dei suoi castelli. Rifiutò perciò al duca di Calabria il permesso e gli concesse solo di far passare le milizie "squadra per squadra con la guardia" (Notar Giacomo, p. 180).
Questo episodio, se turbò i rapporti del C. con l'erede al trono, non fece venir meno la sua antica fedeltà nei confronti di re Ferrante. Alla fine di quello stesso anno 1485 il C. arruolò infatti soldati per gli Aragona chiedendo al re 1.000 ducati per pagare il soldo delle nuove truppe. Nonostante il parere contrario del duca di Calabria, che propose al re di dargli invece, per il risarcimento delle spese, il castello di Rivisondoli, egli ottenne la somma richiesta (22 nov. 1485). Il C. ripagò ampiamente la fiducia di Ferrante I assediando l'Aquila e impegnandone così duramente i difensori che questi gli chiesero una tregua, concordata il 22 apr. 1486.
Nel 1486 il re chiamò il C., con altri tre baroni, perché desse il proprio parere e il proprio voto nel processo contro due baroni ribelli. Il C., con gli altri tre, rifiutò però l'incarico "per essere di legge, capitoli e ragione indotti... e per non avere quel giudizio di intendere le leggi" (Regis Ferdinandi..., p. 295). Egli intervenne invece come testimone all'atto della stipulazione dei capitoli nuziali di Isabella d'Aragona con il duca di Milano.
Morto il suo protettore Ferrante, nell'aprile 1494 il C. dovette pagare al successore l'offesa di nove anni prima: Alfonso II infatti lo fece imprigionare in Castelnuovo, di dove fu liberato soltanto il 23 genn. 1495, per ordine di Ferdinando II. Durante la spedizione di Carlo VIII in Italia, il C. andò ad accrescere le forze filoaragonesi nel luglio 1495; egli fu in un certo senso costretto a tale scelta perché, alla discesa di Carlo VIII, il cugino Sigismondo Cantelmo, figlio di Pietro Giampaolo e partigiano del re francese, gli aveva tolto la contea di Popoli ed aveva occupato la sua stessa casa di Napoli. Sotto le bandiere degli Aragona combatté con alterna sorte negli Abruzzi; senza fortuna cercò di promuovere, insieme con il conte di Marieri, una congiura all'Aquila destinata a rovesciare i Gaglioffi e farla ribellare a Carlo VIII; riportò invece un clamoroso successo sconfiggendo Carlo Sanframondo dopo una battaglia che costò al nemico ben quattrocento morti e mettendo così in fuga la sua armata che si era mossa da Cerreto verso Sulmona in soccorso dei Francesi.
Il nuovo sovrano Federico d'Aragona compensò questi servigi confermando al C., divenuto suo ascoltatissimo consigliere e capitano generale, tutti i suoi feudi, conferendogli a vita l'ufficio di camerlengo con un compenso annuo di 1.000 ducati e concedendogli la facoltà di disporre liberamente del suo Stato feudale e ciò anche se non avesse lasciato figli maschi, e riconoscendogli infine la proprietà di una casa in Napoli già appartenuta all'abate Nardo de Giptiis. Nel 1498 il C. fu inviato da Federico ad Ascoli per sostenere Astolfo Guiderocchi, la cui signoria era stata rovesciata; ma nonostante il favore del pontefice l'impresa marchigiana ebbe esito poco felice. Ritornato in patria, il 15 genn. 1499 il C. entrò trionfalmente in Aquila al fianco di re Federico.
Nella guerra tra Spagna e Francia per la conquista del Regno il C. fu dalla parte degli Spagnoli. Rimasto dapprima a Barletta con Consalvo di Cordova, nell'apr. 1503 si distinse nella battaglia di Cerignola. Il 16 maggio 1503 era al seguito di Consalvo nel solenne ingresso degli Spagnoli a Napoli. Fu poi inviato con Fabrizio Colonna in Abruzzo perché riconquistasse quei territori e punisse coloro che avevano combattuto sotto le bandiere francesi. Durante questa campagna riconquistò per la seconda volta la sua contea di Popoli, dove rientrò con le armi in pugno sorprendendo la guarnigione francese con un attacco notturno. Come compenso alle sue imprese ottenne la conferma di tutti i suoi feudi, ed inoltre i feudi di Acquaviva e di Spina ed una pensione di 600 ducati annui da esigersi sui pagamenti fiscali della contea di Popoli.
Le qualità militari del C. ottennero un significativo riconoscimento nel 1509, quando gli fu offerta dalla Repubblica di Venezia la carica di governador in campo, con uno stipendio di 30.000 ducati. Egli tuttavia non poté accettare, non avendo ottenuto il consenso del governo napoletano.
Sposò in prime nozze Diana Camponesca e dopo la sua morte Giovannella Carafa, sorella del cardinale, poi papa Paolo IV, dalla quale ebbe Giovanni, che gli successe nella contea di Popoli. Morì assassinato nel settembre 1514.
Dell'omicidio fu accusato un prete suo vassallo, il quale fu subito squartato senza che però venisse mai meno il sospetto di complici o mandanti, come è dimostrato dai Capitoli della città di Napoli del 1516, nei quali dall'indulto generale si eccettuavano coloro che avessero partecipato "directe vel indirecte" alla uccisione del Cantelmo.
Fonti e Bibl.: G. Albino, De gestis regum Neapolitanorum ab Aragonia, Neapoli 1769, p. 80; A. Di Costanzo, Istoria del Regno di Napoli, Napoli 1769, p. 558; Notar Giacomo, Cronica di Napoli, Napoli 1845, p. 180; G. Fuscolillo, Le cronache de li antiqui Ri del Regno di Napoli, a cura di B. Capasso, in Arch. stor. per le provv. napol., I (1876), pp. 70, 73; M. Sanuto, La spedizione di Carlo VIII in Italia, Venezia 1883, p. 194; Id., Diarii, VIII, Venezia 1882, coll. 501, 504, 530, 539, 547; IX, ibid. 1883, col. 31; XIX, ibid. 1887, col. 41; Regis Ferdinandi I instructionum liber, a cura di L. Volpicella, Napoli 1916, pp. 294, 295, 296; C. Porzio, La congiura de'baroni del Regno di Napoli contra il re Ferdinando I ed altri scritti, a cura di E. Pontieri, Napoli 1954, pp. 145 s.; B. Cirillo, Annali della città dell'Aquila, Roma 1570, p. 82v; P. Vincenti, Historia della famiglia Cantelma, Napoli 1604, pp. 60 s.; C. De Lellis, Famiglie nobili del Regno di Napoli, Napoli 1654, I, pp. 132, 138 s.; P. Litta, Le fam. celebri italiane,s. v. Cantelmi di Napoli, tav. I.