Abstract
Si espone la disciplina della responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., articolata in tre ipotesi: la responsabilità per i danni derivanti dalla lite temeraria pronunciata su domanda di parte, la responsabilità per i danni derivanti dalla imprudente aggressione della sfera patrimoniale anch’essa pronunciata su istanza di parte, e infine la responsabilità per le sanzioni civili derivanti dall’abuso del processo pronunciata d’ufficio introdotta dalla novellazione compiuta con la l. 18.6.2009, n. 69.
Secondo l’impostazione tradizionale la responsabilità processuale aggravata costituisce, diversamente dalla responsabilità per le spese processuali derivante dalla soccombenza, una forma di responsabilità aquiliana sostitutiva di quella di cui all’art. 2043 c.c. (v. però, per es., nel senso che abbia natura risarcitoria anche la generale condanna alle spese, Cordopatri, F., Un principio in crisi: victus victori, in Riv. dir. proc., 2011, 265 ss.). In particolare la disposizione di cui all’art. 96, co. 1, c.p.c., rappresenta la regola generale in materia di responsabilità aquiliana nel processo, salva l’applicazione del co. 2 dello stesso art. 96 nelle ipotesi colà espressamente contemplate, escludendosi invece del tutto l’applicazione all’illecito processuale della normativa ordinaria (v. già, per es., Grasso, E., Individuazione delle fattispecie da illecito processuale e sufficienza dell’art. 96 c.p.c., in Giur. it., 1961, I, 1, 93 ss.; tuttavia da ult. si è riconosciuto che alcune condotte processuali possono trovare la loro disciplina nell’art. 2043 c.c.: v. Cass., S.U., 23.3.2011, n. 6597, in Giust. civ., 2011, I, 1199, e cfr. infra, § 3; sulla disciplina di cui all’art. 370 del c.p.c. previgente v. invece Chiovenda, G., La condanna nelle spese giudiziali, Roma, 1935, 325 ss.).
L’introduzione da parte della l. 18.6.2009, n. 69, del co. 3 dell’art. 96 impone tuttavia un ripensamento sistematico: la previsione di una sanzione pecuniaria civile in favore della controparte a prescindere dal danno, in ragione della speciale perniciosità attribuita oggi all’abuso del diritto di azione e di difesa, impone di concepire la responsabilità processuale aggravata oltre le dimensioni aquiliane, ovvero di ampliare gli orizzonti concettuali della responsabilità risarcitoria (cfr., per es., Scarselli, G., Il nuovo art. 96, 3° comma, c.p.c.: consigli per l’uso, in Foro it., 2010, I, 2237 ss.; Porreca, P., L’art. 96, 3° comma, c.p.c. tra ristoro e sanzione, in Foro it., 2010, I, 2242 ss.).
L’esigenza di incrementare la deterrenza dell’abuso del processo assume d’altronde oggi non solo in Italia priorità su più fronti, e quindi anche in sede giurisprudenziale oltre che sul piano legislativo, e in questa luce va intesa l’evoluzione della più recente casistica. In prospettiva di riforma, anche alla luce delle esperienze straniere, si è suggerito che alla responsabilità della parte si possano accompagnare anche pene private da irrogarsi direttamente nei confronti del suo difensore tecnico (v., per es., Dondi, A.-Giussani, A., Appunti sul problema dell’abuso del processo civile nella prospettiva de iure condendo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2007, 193 ss.; de iure condito, la responsabilità aggravata ex art. 96 direttamente del difensore tecnico può configurarsi quando egli abbia agito senza procura, v. per es. Cass., 26.11.2008, n. 28226, in Fall., 2009, I, 1287).
Ai fini di cui all’art. 96, co. 1, occorre anzitutto, diversamente da quanto accade per la semplice condanna alle spese derivante dalla soccombenza, un’esplicita domanda di parte (salva l’applicabilità di regole speciali: v. per es. l’art. 64, co. 8, d.lgs. 30.3.2001, n. 165, con riferimento ai ricorsi per l’accertamento pregiudiziale sull’interpretazione, la validità e l’efficacia dei contratti collettivi di lavoro; cfr. anche infra, § 4), benché la norma contempli comunque la liquidazione officiosa della somma dovuta. Tale liquidazione ricomprende la componente non ripetibile degli onorari, eventuali spese di viaggio, eventuali lucri cessanti ecc., nonché interessi e rivalutazione (v. Cass., 13.3.1998, n. 2742, in Arch. civ., 1998, 912) e il danno non patrimoniale (v. Cass., 12.10.2011, n. 20995, in Foro it. Rep., 2011, voce Spese giudiziali civili, n. 62; cfr. Cass., S.U., 9.2.2009, n. 3057, in Riv. dir. int. priv. proc., 2009, 934): di solito è compiuta comunque in via equitativa, ma occorre allegare gli elementi di fatto idonei a dimostrare la sussistenza di danni (v. Cass., S.U., 20.4.2004, n. 7583, in Foro it. Rep., 2004, voce Spese giudiziali civili, n. 51; tale principio si ritiene confermato a contrario dall’introduzione del co. 3 dell’art. 96, v. Cass., 30.7.2010, n. 17902, in Foro it., 2011, I, 3134, e in Giust. civ., 2011, I, 2106, e cfr. supra, § 1 e infra, § 4; cfr., però, nel senso che non occorrano tali allegazioni, ancora Cass., 23.10.2011, n. 17485, in Foro it. Rep., 2011, voce Spese giudiziali civili, n. 46).
Elementi costitutivi dell’affermazione della responsabilità della parte sono la soccombenza totale (sicché la disposizione risulta inapplicabile ogni qual volta vi sia soccombenza reciproca: v., per es., da ult., Cass., 12.10.2009, n. 21590, in Foro it. Rep., 2009, voce Spese giudiziali civili, n. 46; tale orientamento è però sovente criticato in dottrina, v., per es., Comoglio, L.P., Abuso del processo e garanzie costituzionali, in Riv. dir. proc., 2008, 348 ss., e da ult. Ghirga, M.F., Abuso del processo e sanzioni, Milano, 2012, 81 ss.) e l’elemento psicologico della mala fede o colpa grave. L’accertamento dell’elemento psicologico è questione di fatto riservata alla valutazione del giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo della motivazione (v., per es., la motivazione di Cass., 23.6.2011, n. 13827, massimata in Foro it. Rep., 2011, voce Proprietà industriale, n. 68): in particolare la colpa grave non è ovviamente configurabile in ogni ipotesi di soccombenza, ma si può presentare quando, anche in mancanza di consapevolezza dell’infondatezza delle difese svolte, vi sia stata inusuale negligenza nella verifica della plausibilità delle tesi sostenute, ed è pertanto esclusa in radice quando sul punto vi siano contrasti giurisprudenziali (v., per es., da ult. Cass., 3.5.2011, n. 9697); l’onere di diligenza può ritenersi relativamente più gravoso, in vista delle sue funzioni istituzionali, nei confronti della p.a. difesa dall’Avvocatura dello Stato (v. Cass., S.U., 5.2.1997, n. 1082, in Corr. trib., 1997, 1627, e in Boll. trib., 1997, 1309). Non è peraltro viziata per carenza di motivazione la sentenza che rigetti implicitamente la domanda disponendo la compensazione delle spese, poiché tale pronuncia, se in quanto tale adeguatamente motivata (anche in considerazione della riforma dell’art. 92 c.p.c. da parte della l. 18.6.2009, n. 69), è incompatibile con l’affermazione della responsabilità aggravata (v., per es., Cass., 30.3.2000, n. 3876, in Foro it. Rep., 2000, voce Spese giudiziali civili, n. 39, e più di recente la motivazione di Cass., 17.7.2007, n. 15882, massimata in Foro it. Rep., 2007, voce Spese giudiziali civili, n. 45).
Considerevole rilevanza pratica assume la regola della necessaria pronuncia sulla domanda di responsabilità aggravata nello stesso procedimento in cui si decide sulla domanda principale: tale principio trova fondamento nell’idea che solo il giudice dinanzi al quale si compia la condotta temeraria possa valutarla nel contesto della regolazione delle spese, e costituisce il principale aspetto di specialità della disciplina di cui all’art. 96 rispetto a quella di cui all’art. 2043 c.c. (v., per es., Cass., S.U., 23.3.2011, n. 6597, in Giust. civ., 2011, I, 1199). La proposizione in via necessariamente endoprocessuale della domanda di responsabilità aggravata, quindi, implica non soltanto che il suo valore non si cumuli con quella della domanda principale ex art. 10 c.p.c. (v. Cass., S.U., 15.11.2007, n. 23726, in Riv. dir. proc., 2008, 1435, nonché in Foro it., 2008, I, 1514, in Giust. civ., 2008, I, 641, e in Giur. it., 2009, 929; da ult. Cass., 17.6.2011, n. 13387, in Foro it. Rep., 2011, voce Procedimento civile davanti al giudice di pace, n. 16), e che qualunque sia il suo valore non si determinino spostamenti di competenza ex artt. 34 e 36 c.p.c. (v. per es. Cass., 19.5.1999, n. 4849, in Giudice di pace, 2000, 99), ma comporta anche che essa debba formularsi nello stesso grado di giudizio in cui si sia tenuta la condotta processuale illecita e sia quindi inammissibile per tardività se proposta nel grado successivo, anche se con riferimento a danni prodottisi successivamente (cfr., per es., Cass., 25.7.2006, n. 16975, in Giust. civ., 2007, I, 639, e ancora Cass., 17.7.2007, n. 15882, in Foro it. Rep., 2007, voce Spese giudiziali civili, n. 84), a meno che l’illecito sia compiuto proprio alla conclusione di quella fase (per es. con la comparsa conclusionale: v., per es., Cass., 14.5.2007, n. 10993, in Dir. ind., 2007, 327, e in Giur. dir. ind., 2007, 83) e che possa peraltro in tale grado formularsi anche in sede di precisazione delle conclusioni (v. ancora Cass., 14.5.2007, n. 10993, cit., e in precedenza Cass., 12.3.2002, n. 3573, in Foro it. Rep., 2002, voce Spese giudiziali civili, n. 62; in sede di legittimità deve tuttavia comunque proporsi nel controricorso, quando si riferisca alla temerarietà del ricorso, v. Cass., S.U., 14.11.2003, n. 17300, in Foro it. Rep., 2003, voce Spese giudiziali civili, n. 76; cfr., da ult., Cass., 11.10.2011, n. 20914, in Foro it. Rep., 2011, voce Spese giudiziali civili, n. 61). Per le stesse ragioni si nega la possibilità di rinviare a un separato procedimento anche la mera liquidazione del danno risarcibile da porre a carico del litigante temerario (cfr., per es., Cass., 23.3.2004, n. 5734, in Foro it. Rep., 2004, voce Spese giudiziali civili, n. 47; Cass., 14.4.2000, n. 4816, in Foro it. Rep., 2000, voce Spese giudiziali civili, n. 48; la richiesta di separazione del giudizio sul quantum debeatur ancorché accettata dalla controparte rende inammissibile anche la domanda in origine correttamente formulata, v. Cass., 23.3.1999, n. 2967, in Giur. it., 2000, 268, e in Danno e resp., 2000, 172; non è tuttavia impedita la mera pronuncia di condanna generica con prosecuzione dello stesso giudizio per la liquidazione del quantum, anche se irregolarmente disposta in assenza di istanza di parte, v. ancora, da ultimo, Cass., 30.7.2010, n. 17902, cit.).
L’art. 96, co. 2, si riferisce a iniziative particolarmente aggressive nei confronti della sfera giuridica della controparte da ritenersi indicate tassativamente: si tratta della esecuzione forzata, della attuazione di misura cautelare, della trascrizione della domanda giudiziale e della iscrizione di ipoteca giudiziale. In presenza di tali condotte rilevano due elementi costitutivi: l’inesistenza del diritto a tutela del quale si sono compiute e l’elemento psicologico dell’imprudenza.
In particolare, l’elemento psicologico ricomprende anche le ipotesi di colpa lieve (v. già, per es., Cass., 13.5.2002, n. 6808, in Foro it., 2002, I, 2694, e ancora Cass., 30 luglio 2010, n. 17902, cit.): coniugato con l’idoneità degli atti sopra indicati a produrre danni considerevoli, questo aspetto comporta che il co. 2 dell’art. 96, pur essendo disposizione speciale rispetto al co. 1, sia applicato assai più sovente. Anch’esso tuttavia presuppone la proposizione di apposita domanda, sicché incorre in extrapetizione il giudice che condanni ai sensi del co. 2 quando sia stata richiesta l’affermazione della responsabilità ai sensi del co. 1 (v. Cass., 28.7.1997, n. 7051, in Foro it. Rep., 1997, voce Spese giudiziali civili, n. 51; l’interpretazione della domanda spetta peraltro al giudice di merito, la cui statuizione sul punto è censurabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo della motivazione, v., per es., Cass., 3.8.2000, n. 10196, in Rep. Foro it., 2000, voce Spese giudiziali civili, n. 47).
In materia di tutela cautelare le due ipotesi di responsabilità aggravata possono coesistere: la condanna ai sensi del co. 2 si configura quando sia inesistente il diritto cautelato, quella ai sensi del co. 1 quando la soccombenza nel procedimento cautelare derivi dalla mancanza del periculum in mora (v., per es., Cass., 15.9.2000, n. 12177, in Foro it. Rep., 2000, voce Spese giudiziali civili, n. 57). Se la pronuncia sull’istanza cautelare viene resa lite pendente la domanda di responsabilità aggravata va comunque proposta al giudice del merito nello stesso grado di giudizio (v., per es., Cass., 14.7.2007, n. 10993, cit.; resta salvo però il possibile dubbio quando la competenza per il merito non coincida con quella per la cautela), mentre con riferimento alle misure rese ante causam sembra doversi fare riferimento al regime della competenza sulla regolamentazione delle spese del giudizio, secondo il quale è lo stesso giudice della cautela a provvedere quando rigetti la domanda nonché (a seguito della l. 18.6.2009, n. 69) quando accolga la richiesta di tutela cautelare anticipatoria o d’urgenza: la domanda ai sensi del co. 1 va pertanto proposta in tale sede sia se formulata nei confronti dell’istante, sia se formulata nei confronti del convenuto; la domanda nei confronti dell’istante ai sensi del co. 2, a sua volta, dovrebbe parimenti proporsi nel reclamo cautelare quando il provvedimento anticipatorio o d’urgenza sia stato concesso in prime cure e pertanto medio tempore attuato; negli altri casi dovrebbe comunque provvedere il giudice del merito (nel dichiarare la soccombenza nel merito del convenuto ai fini del co. 1, o quella dell’istante ancorché vittorioso in sede cautelare sempre ai fini del co. 1, o nel dichiarare l’inesistenza del diritto cautelato ai fini del co. 2).
Anche in materia di esecuzione forzata la responsabilità ai sensi del co. 2 può concorrere con quella di cui al co. 1. Sussiste quando il credito non esista nonché quando esista nei confronti di un soggetto diverso dall’esecutato (v. Cass., 12.5.1983, n. 1876, in Foro it. Rep., 1983, voce Spese giudiziali civili, n. 61), e viene invece esclusa quando vi siano semplici irregolarità esecutive deducibili con l’opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c., e quando vi sia soltanto sproporzione fra l’ammontare del credito e il valore dei beni pignorati (v., per es., Cass., 22.2.2006, n. 3952, in Foro it. Rep., 2006, voce Esecuzione per obbligazioni pecuniarie, n. 44). Se l’esecuzione è stata intrapresa sulla base di un titolo giudiziale la domanda va proposta al giudice della sua impugnazione (v., per es., Cass., 17.10.2003, n. 15551, in Foro it. Rep., 2003, voce Spese giudiziali civili, n. 73, e cfr., più di recente, Cass., 20.11.2009, n. 24538, in Foro it. Rep., 2009, voce Spese giudiziali civili, n. 47), altrimenti è competente il giudice dell’opposizione all’esecuzione (compreso il caso in cui si deduca che il titolo è giudiziale ma giuridicamente inesistente, sicché l’inesistenza del diritto per cui si procede a esecuzione può essere conosciuta e dichiarata dal giudice ex art. 615 c.p.c.: cfr. la motivazione di Cass., 24.5.2003, n. 8239, massimata in Foro it. Rep., 2003, voce Spese giudiziali civili, n. 26), ferma restando, così come ai fini della responsabilità ai sensi del co. 1, l’inammissibilità della riserva di chiedere la liquidazione in separato giudizio (v., per es., Cass., 6.5.2010, n. 10960, in Foro it. Rep., 2010, voce Spese giudiziali civili, n. 82, e cfr. supra, § 2).
A sua volta l’imprudente iscrizione dell’ipoteca giudiziale è fonte di responsabilità ai sensi del co. 2 solo quando risulti inesistente il diritto, e non anche quando l’iscrizione sia stata illegittima ma a tutela di un diritto esistente: quando si accerti invece che nonostante l’esistenza del diritto l’iscrizione non poteva compiersi per difetto dei presupposti di esecutività del titolo può configurarsi, secondo l’orientamento tradizionale, responsabilità ai sensi del co. 1 in presenza di colpa grave (v. già la motivazione di Cass., 14.9.1999, n. 9803, massimata in Foro it. Rep., 1999, voce Spese giudiziali civili, n. 32). Anche il creditore che iscriva ipoteca per una somma sproporzionata risponde quindi solo se resiste con dolo o colpa grave alla domanda di riduzione dell’ipoteca stessa (cfr., per es., Cass., 7.5.2007, n. 10299, in Foro it. Rep., 2007, voce Spese giudiziali civili, n. 95; Cass., 28.5.2010, n. 13107, in Foro it. Rep., 2010, voce Spese giudiziali civili, n. 84; Cass., 30.7.2010, n. 17902, cit.).
L’imprudente trascrizione della domanda costituisce la fattispecie più controversa: sino a tempi recenti si riteneva che ricadessero nell’àmbito di applicazione dell’art. 96 sia le ipotesi di trascrizione di domanda risultata successivamente infondata ai sensi del co. 2, sia le ipotesi di trascrizione di domanda non trascrivibile indipendentemente dalla sua fondatezza ai sensi del co. 1 (v., per es., Cass., 7.5.1998, n. 4264, in Foro it., 1999, I, 1288; in precedenza Cass., 23.5.1994, n. 5022, in Foro it. Rep., 1994, voce Spese giudiziali civili, n. 46; Cass., 6.2.1984, n. 874, in Foro it., 1984, I, 1892; cfr., nel senso che rientri nella disciplina della responsabilità processuale aggravata ogni forma di pubblicizzazione delle iniziative giudiziarie compiute determinativa di discredito commerciale, la motivazione di Cass., 4.4.2001, n. 4947, massimata in Foro it. Rep., 2001, voce Spese giudiziali civili, n. 55); da ultimo, però, la giurisprudenza ha accolto il diverso orientamento, in precedenza minoritario (v. per es., anche per l’implicazione che in tal caso sia possibile chiedere la sola condanna generica, con riserva di liquidazione del danno in separato giudizio, Cass., 20.10.1990, n. 10219, in Foro it. Rep., 1990, voce Spese giudiziali civili, n. 48), nel senso che i casi della seconda categoria, in quanto trascrizioni illegittime, a differenza di quelli delle trascrizioni ingiuste, sfuggano sia alla disciplina dell’art. 96, co. 2, in quanto non fondati sull’inesistenza del diritto azionato, sia a quella del co. 1, non costituendo forme di azione o di difesa giudiziale (v. Cass., S.U., 23.3.2011, n. 6597, in Giust. civ., 2011, I, 1199). Pertanto tali fattispecie ricadono nella sfera di applicazione dell’art. 2043 c.c., e la competenza si determina secondo le regole ordinarie, senza che sia necessaria la proposizione endoprocessuale della domanda: solo nei casi di trascrizione ingiusta l’affermazione della responsabilità spetta al giudice che accerta l’inesistenza del diritto azionato; questo orientamento potrebbe influenzare anche un ripensamento delle conclusioni raggiunte in tema di iscrizione illegittima dell’ipoteca giudiziale.
La novità costituita dall’introduzione del co. 3 dell’art. 96 da parte della l. 18.6.2009, n. 69, non ha ancora trovato vasta applicazione (si può d’altronde riferire solo ai giudizi avviati in prime cure successivamente alla sua entrata in vigore: v. Cass., 17.5.2011, n. 10846, in Foro it. Rep., 2011, voce Spese giudiziali civili, n. 55). In qualche misura può peraltro farsi riferimento all’analoga disposizione contemplata per il solo procedimento dinanzi alla Corte di cassazione dall’art. 385, co. 4, c.p.c., a sua volta introdotto dal d.lgs. 2.2.2006, n. 40 e abrogato dalla l. n. 69/2009, ma anche tale disposizione non è stata applicata di frequente (fra le non numerose pronunce sul punto v., per es., Cass., 29.10.2007, n. 22658, in Foro it., 2008, I, 2920; Cass., S.U., 11.12.2007, n. 25831, in Giust. civ., 2008, I, 1708; Cass., S.U., 4.2.2009, n. 2636, in Foro it., 2009, I, 641, e in Giust. civ., 2009, I, 1211; Cass., 27.2.2009, n. 4829, in Foro it., 2009, I, 1402, e in Resp. civ., 2009, 969).
Di particolare rilevanza è la previsione che in sede di regolamentazione delle spese ai sensi dell’art. 91 c.p.c. la condanna possa anch’essa pronunciarsi d’ufficio, a differenza di quelle ai sensi dei co. 1 e 2 dell’art. 96. Benché non sia costituzionalmente illegittimo subordinare la condanna alle spese all’istanza di parte (v. C. cost., 23.12.2008, n. 435, in Giur. cost., 2008, 4925, nonché in Giust. civ., 2009, I, 551, e in Giur. it., 2009, 2242), è legittimo anche, in presenza di interessi pubblicistici, prevedere una deroga alla regola ne procedat iudex ex officio quando non sia leso il principio di imparzialità del giudice (v. C. cost., 15.7.2003, n. 240, in Foro it., 2003, I, 2513, nonché in Fallimento, 2003, 1049, in Arch. civ., 2003, 1143; cfr. i rilevi di Finocchiaro, G., Ancora sul nuovo art. 96, c. 3, c.p.c., in Riv. dir. proc., 2011, 1184 ss.).
Non è chiaro se sia richiesto o meno l’elemento soggettivo della mala fede o colpa grave: in senso affermativo ebbe a pronunciarsi la giurisprudenza a proposito dell’art. 385, co. 4, in cui però si richiedeva espressamente tale elemento costitutivo (v. ancora Cass., S.U., 11.12.2007, n. 25831, in Giust. civ., 2008, I, 1708). Nelle prime applicazioni della norma da parte della giurisprudenza di merito talvolta si è confermata tale idea (v., per es., Trib. Bari, 28.4.2011, in Foro it., 2011, I, 2171), talaltra no (v., nel senso che basti la colpa lieve, Trib. Terni, 17.5.2010, in Giur. it., 2011, 143). Si richiede invece espressamente il requisito della soccombenza (sicché in caso di processo simulato la condanna grava appunto solo sulla parte soccombente: v. Trib. Salerno, 9.1.2010, in Foro it., 2010, I, 1018, nonché in Giur. mer., 2010, 1289, e in Fam. dir., 2010, 476).
A proposito della quantificazione della somma dovuta va rimarcato che il co. 3 dell’art. 96 non riproduce il limite del doppio dei massimi tariffari a suo tempo contemplato dall’art. 385, co. 4, sicché si sono sollevati dubbi sulla legittimità costituzionale della mancata previsione di limiti a tale potestà sanzionatoria (v., per es., Balena, G.-Caponi, R.-Chizzini, A.-Menchini, S., La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, 28; cfr. però, contra, Trib. Milano, 4.3.2011, in Foro it., 2011, I, 2184). In dottrina si è inoltre affermato che la causa dell’attribuzione patrimoniale dovrebbe di norma consistere comunque in un danno (v. Nappi, P., sub art. 96, Codice di procedura civile commentato, diretto da C. Consolo, La riforma del 2009, curato da C. Consolo assieme a M. De Cristofaro, Milano, 2009, 53 ss.; si tratterebbe poi di una pronuncia strettamente risarcitoria secondo Scarselli, G., Il nuovo art. 96, 3° comma, c.p.c.: consigli per l’uso, in Foro it., 2010, I, 2240 ss.), ma nella giurisprudenza di legittimità si è distinta la fattispecie in discorso da quella di cui ai co. 1 e 2 proprio rimarcando l’assenza dell’onere di allegazione in proposito, d’altro canto poco compatibile con la pronuncia officiosa (Cass., 30.7.2010, n. 17902, cit.; cfr. supra, § 2), e in quella di merito si è affermata la funzione sanzionatoria della disposizione (cfr., per es., Trib. Milano, 4.3.2011, cit.; Trib. Varese, 23.1.2010, in Foro it., 2010, I, 2229; Trib. Prato, 6.11.2009, in Foro it., 2010, I, 2229), facendosi peraltro più volte riferimento ai criteri di liquidazione del danno risarcibile da durata eccessiva del processo (v., per es., Trib. Roma, 11.1.2010, in Giur. mer., 2010, 2175; Trib. Oristano, 17.11.2010, in Foro it., 2010, I, 2200). Il diverso fondamento della condanna permette di arguire che possa darsi cumulo con quelle ai sensi dei co. 1 e 2 dell’art. 96 (v., per es., Ghirga, M.F., Abuso del processo e sanzioni, Milano, 2012, 88).
Art. 96 c.p.c.
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