res
Sostantivo lat. affine al sanscr. rāḥ «possesso, bene, ricchezza». Il termine lat., che significa «cosa, possesso, bene economico», è in quest’ultimo significato usato frequentemente nel diritto romano (res sacra, res nullius, ecc.). Con significato più generico, nell’espressione res publica «la cosa pubblica», indicò l’insieme degli interessi comuni di un organismo civile e politico e quindi lo «Stato» (o Repubblica). Nell’uso filosofico medievale e moderno, il termine fu usato per indicare la realtà; affine a quest’uso è quello classico, nell’espressione natura rerum «natura delle cose», cioè la Natura, con cui i Latini tradussero il gr. φύσις. Nell’uso terminologico della filosofia scolastica, r. designa la realtà esterna, sussistente di fronte al pensiero. Sempre nella scolastica, il termine ricorre in alcune locuzz. (ante rem, in re, post rem) che esprimono le varie soluzioni date al problema degli universali (➔). Nella filosofia di Descartes, res cogitans («realtà pensante») è l’ente consapevole di sé, il soggetto pensante, che così si contrappone alla res extensa («realtà estesa»), la cosa puramente spaziale, non consapevole di sé e possibile oggetto di conoscenza da parte delle res cogitantes: sono questi i due aspetti del mondo finito (dualismo cartesiano). Con il significato di «fatto, azione, impresa» il termine compare in espressioni quali rerum scriptor («storico») o res gestae «cose compiute», quindi «imprese». Quest’ultima espressione è stata ripresa nel moderno linguaggio filosofico, in partic. nella teoria crociana e gentiliana della storia, per indicare i «fatti» o «azioni umane», che, per Croce, sono da distinguersi dalla historia rerum gestarum o conoscenza di essi (distinzione di azione e pensiero) e, per Gentile, da identificare con la stessa historia (identità di azione e pensiero).