Sudafricana, Repubblica
Sudafricana, Repùbblica. – Il 20° sec. si chiudeva nella R. S. con il passaggio di consegne tra Nelson Mandela, il presidente carismatico della fine dell’apartheid e dell’avvento della democrazia, e Thabo Mbeki, un politico esperto e pragmatico, che assunse la carica il 16 giugno 1999. Il ritiro di Mandela, con la sua esplicita connotazione di avvicendamento fisiologico alla guida dello Stato, confermava la straordinaria normalità democratica della R. S., che era diventata, in un periodo di tempo relativamente breve, un Paese di riferimento per tutta l’Africa subsahariana e un elemento di stabilità e di equilibrio a livello regionale. L’autorevolezza della R. S. veniva confermata dalla nomina nel 2006 a membro non permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Questo successo non diminuiva le difficoltà che il Paese doveva affrontare: la necessità di costruire un’identità nazionale interetnica e unitaria; le persistenti disuguaglianze razziali, alle quali si andavano sovrapponendo, con la formazione di una classe dirigente nera, anche crescenti divaricazioni nelle stesse condizioni di vita della popolazione di colore; la diffusione dell’epidemia di AIDS; i livelli elevati di disoccupazione; la povertà; la soverchiante egemonia, nel governo nazionale e in molti di quelli provinciali, dell’African national congress (ANC), un partito-Stato che, se da un lato si era dimostrato in grado di rappresentare la maggioranza della popolazione, dall’altro esercitava un tale monopolio del potere da rappresentare un possibile limite al modello democratico e da esporlo costantemente al rischio di corruzione e di involuzione autoritaria. Il nuovo governo uscito dalle elezioni del 1999, guidato da Mbeki, si diede come obiettivi prioritari, in continuità con le precedenti amministrazioni, la piena uguaglianza dei diritti e una più equa distribuzione della ricchezza, all’interno di un’economia di mercato. Sotto il profilo istituzionale, il Paese aveva costruito un consolidato sistema delle regole, favorito anche dalla notevole vivacità e articolazione della società civile, ma sul piano economico e sociale la situazione si mostrava assai più problematica: all’inizio del secolo il tasso di crescita economica era ancora modesto, soprattutto a causa della pesante eredità del passato regime, che aveva portato il Paese sull’orlo della bancarotta. Questo complicava i programmi del governo, che prevedevano entro il 2015 forme concordate di esproprio del 30% delle terre degli agricoltori bianchi per distribuirle tra i contadini più poveri, e una maggiore presenza di esponenti delle comunità non bianche nei ruoli dirigenti della pubblica amministrazione e delle imprese. I programmi di redistribuzione delle terre incontrarono molte difficoltà di varia natura che generarono fortissime tensioni sociali, sfociate nel 2001 anche in occupazioni delle terre. La politica di temperato liberismo del governo fu confermata dalla continuazione del piano di privatizzazione di molte aziende di proprietà dello Stato, cui corrispose però un maggior controllo pubblico sulle risorse naturali. L’apertura a tutta la popolazione di strutture sanitarie, sostanzialmente concepite per soddisfare le esigenze della minoranza bianca, aveva inoltre sottoposto a un’enorme sollecitazione il sistema, prolungando i tempi di attesa per le prestazioni e generando una diffusa insoddisfazione per la qualità dell’assistenza, gravata dal peso dell’epidemia di AIDS. La malattia rappresentava infatti un enorme problema sociale di cui era difficile calcolare il futuro impatto sull’economia, perché a essere colpita era soprattutto la popolazione in età lavorativa (nel 2005 il 19% circa di quella tra i 15 e i 49 anni di età, secondo le stime delle Nazioni Unite). Mbeki sottovalutò la complessità del problema, opponendosi alla distribuzione gratuita dei farmaci antivirali alla popolazione colpita dalla malattia. Nel febbraio 2002 tale distribuzione venne avviata nella provincia del KwaZulu-Natal, ma contro la volontà del governo e su iniziativa personale del ministro degli Interni, Mangosuthu Buthelezi, leader dell’Inkhata freedom party (IFP, espressione politica della minoranza Zulu e forza egemone in quella provincia); in luglio la legittimità dell’iniziativa, che era stata contestata dal governo davanti all’Alta corte di giustizia, fu confermata dalla Corte costituzionale. Mbeki cominciò allora a cambiare, seppur molto lentamente, il suo orientamento e nel dicembre 2003, dopo che era stato raggiunto un accordo con due aziende europee per la produzione dei farmaci antivirali nella R. S., si impegnò a garantirne la somministrazione gratuita ad almeno 53.000 persone entro il marzo 2004. Si trattava di una misura ancora decisamente limitata, applicata peraltro in maniera parziale, che sembrava tuttavia avviare un cambiamento di linea negli orientamenti governativi. Un ruolo importante nel determinare tale cambiamento era stato giocato dall’impegno di molte organizzazioni di base, ma anche dalla battaglia condotta personalmente da Mandela contro un gruppo di 39 grandi aziende farmaceutiche che nella primavera del 2001 furono costrette a ritirarsi dal processo che avevano intentato contro la R. S., accusata di produrre i farmaci antivirali senza pagare i relativi brevetti, e ad ammettere il diritto dei paesi poveri di disporre a basso costo di farmaci efficaci per la cura della malattia. Nell’aprile 2004 si svolsero le elezioni legislative: l’ANC accrebbe i suoi consensi, ottenendo il 69,7% dei voti, seguita dalla Democratic alliance, di orientamento liberale, con il 12,4%, seguiti da altri partiti minori. Il 27 aprile Mbeki prestò giuramento per il suo secondo mandato con un programma incentrato sulla riforma agraria e sulla lotta alle disuguaglianze. Ma le scelte di politica economica nei primi due anni del nuovo governo non apparvero così incisive e determinate. Benché a partire dal 2004 si registrasse una crescita più sensibile del PIL, l’alto tasso di disoccupazione tra la popolazione nera e la lentezza nell’assegnazione delle terre erano tali da generare forti tensioni, da incrinare la tradizionale alleanza tra partito e sindacato e da far emergere forti dissensi all’interno dello stesso partito. Nella primavera del 2005 si aprì un drammatico scontro che oppose Mbeki e il vice presidente Jacob Zuma. Al di là delle diverse posizioni politiche, più moderato il primo e più radicale il secondo, a far precipitare la situazione furono le accuse di corruzione legate al traffico d’armi rivolte dalla magistratura a Zuma e la condanna di un suo stretto collaboratore. Mbeki allontanò dalla carica Zuma nel giugno, ma quest’ultimo non perse il vasto consenso di cui godeva all’interno dell’ANC. Nel dicembre 2007, pur non avendo ancora chiarito la sua posizione giudiziaria (verrà in seguito prosciolto), Zuma fu eletto presidente del partito, dopo un acceso confronto con Mbeki, proprio mentre veniva coinvolto in una nuova inchiesta per corruzione (in seguito prosciolto). Questa vicenda ebbe un inatteso epilogo nel settembre 2008 quando Mbeki, accusato di aver esercitato pressioni sulla magistratura per indurla a incriminare il suo rivale, fu costretto a lasciare la presidenza. Le sue dimissioni furono seguite da quelle di numerosi ministri, mentre il parlamento eleggeva al suo posto Kgalema Motlanthe, il vice presidente dell’ANC. Nel novembre una nuova clamorosa rottura politica segnò la fine di un’epoca e la crisi del partito simbolo della lotta all’apartheid: l’ANC subì una scissione per opera di un consistente gruppo di militanti che diede vita al Congress of the people (COPE). A indebolire la posizione di Mbeki era stata anche la sua evidente difficoltà ad affrontare i drammatici problemi sociali, mentre la sua immagine era stata offuscata dall’incapacità di intervenire con prontezza nella situazione di emergenza creatasi nel maggio 2008, quando per molti giorni si erano scatenate violenze contro gli immigrati, in larga parte zimbabwani e mozambicani; una guerra tra poveri che aveva generato una vera e propria emergenza umanitaria e aveva offuscato quell’idea di apertura, di tolleranza e di integrazione che sembrava voler essere il tratto distintivo del nuovo Sudafrica. Nell’aprile 2009 si svolsero le elezioni legislative, che videro ancora una volta la vittoria dell’ANC con il 65,9%, seguita dalla Democratic alliance con il 16,6 e dal Congress of the people con 7,6. Nel maggio Zuma fu eletto dal Parlamento alla presidenza della Repubblica. La sua politica si pose di fatto in sostanziale continuità con il suo predecessore, ma il suo governo mostrò precocemente segni di instabilità e nel giugno 2012 subiva il suo terzo rimpasto, mentre l’ANC era percorso da conflitti interni, che, tra l’altro, portarono alla sospensione per cinque anni del controverso leader dell’organizzazione giovanile del partito Julius Malema nel 2011. Nonostante la grande prova di efficienza dimostrata nell’ospitare la Coppa del mondo di calcio nel giugno-luglio 2010, il Paese mostrava sempre più i segni di una situazione economica difficile, anche a causa della crisi mondiale, e di un profondo disagio sociale che trovava espressione in manifestazioni e scioperi, a volte con esito drammatico, come quello dell’agosto 2012, in cui le forze dell’ordine aprirono il fuoco uccidendo 34 minatori. Sul piano internazionale, durante le due presidenze Mbeki e i primi anni della presidenza Zuma, la R. S. vedeva accresciuto il suo prestigio grazie a una diplomazia molto attiva nel continente africano, sia attraverso l’azione di mediazione in alcuni dei più complessi conflitti (Repubblica democratica del Congo, Costa d’Avorio), sia attraverso l’impegno nella promozione di nuove organizzazioni, come la New partnership for Africa’s development (NEPAD), o nel dare slancio a quelle esistenti, come l’Unione africana.