DOMINICANA, REPUBBLICA
Nome ufficiale di Santo Domingo (XXX, p. 634; App. I, p. 988; II, 11, p. 781; III, 11, p. 663). La divisione amministrativa è stata più volte rimaneggiata nel corso degli anni Sessanta e oggi il paese è ripartito in 26 province più il Distretto nazionale.
Al censimento 1970 gli abitanti erano 4.011.589, cioè 964.519 in più rispetto a quello 1960 (incremento medio annuo di oltre il 3%). Secondo una stima del 1975 erano 5.118.000 (105 ab. per km2). La capitale aveva nel 1970 una popolazione di 671.402 ab., aumentata dell'83% in 10 anni; nel complesso dell'area metropolitana di Santo Domingo de Guzmán vivono oggi circa 800.000 persone. L'altro grande centro, Santiago de los Caballeros, ha circa 160.000 abitanti. Le attività rurali sono ancora il cardine dell'economia, assorbendo il 61% della popolazione attiva e fornendo quasi un quarto del prodotto nazionale lordo e la massima parte delle merci esportate. La fine del regime di Trujillo ha portato notevoli modifiche nell'assetto fondiario con la restituzione di aziende confiscate e la nazionalizzazione di terre; è mancata, però, una vera riforma agraria. Le colture della canna (11,9 milioni di q di zucchero nel 1973), del caffè (450.000 q), del cacao (300.000 q) e del tabacco conservano grande importanza in quanto forniscono i tre quarti delle esportazioni; ma si è verificato un forte aumento delle colture alimentari per il fabbisogno interno (mais, manioca, patata dolce, riso: quest'ultimo, la cui superficie è stata ampliata con l'irrigazione, nel 1971 ha fornito 2,1 milioni di q, consentendo di esportare a un paese tradizionalmente importatore). In progresso è anche il cotone, sufficiente ormai ai bisogni del paese; notevoli sono le colture del banano e dell'agave sisalana.
Il patrimonio bovino, pur in aumento (1,5 milioni di capi nel 1973), non dà più luogo a esportazione per l'accresciuta domanda interna; numerosi sono anche suini, caprini ed equini.
Da una quindicina di anni, presso Pedernales, si estrae attivamente bauxite (1,5 milioni di t nel 1973), che viene avviata agli Stati Uniti e al Canada. Si nutrono speranze nel nichel scoperto a Bonao. Nel 1972 la potenza installata era di 260.000 kW e sono stati prodotti 1.270.000 kWh.
L'industria, che contribuisce al prodotto nazionale lordo con un'aliquota all'incirca pari a quella delle attività rurali, è costituita in prevalenza da stabilimenti alimentari, soprattutto zuccherifici; ma sono presenti altri impianti, tra i quali un grosso cementificio.
Negli ultimi anni le esportazioni sono aumentate più delle importazioni e dal 1972 la bilancia commerciale è leggermente attiva. Gli Stati Uniti sono il maggior fornitore e cliente, acquistando gran parte del caffè, della bauxite e, a partire dalla rivoluzione cubana, dello zucchero; notevole è pure l'esportazione di zucchero in Gran Bretagna e di tabacco nella Rep. Fed. di Germania. Nel 1972 sono affluiti nella R. D. 130.000 turisti.
I porti principali sono Santo Domingo, Puerto Plata, San Pedro de Macorís e La Romana. Aeroporto internazionale a Punta Caucedo. La rete stradale è di circa 10.000 km e su di essa nel 1972 circolavano 75.000 autoveicoli; quella ferroviaria si estende per 1400 km, ma è in gran parte formata da linee industriali.
Bibl.: R. Pattee, La República Dominicana, Madrid 1967; R. W. Logan, Haiti and the Dominican Republic, New York 1968; H. Blume, Die Westindischen Inseln, Braunschweig 1968; G. Lasserre, Les Amériques du Centre, Parigi 1974.
Storia. - Esiliati Echevarría e Balaguer nel 1962, R. Bonelly poté conservare il potere e indire, nel mese di dicembre, regolari elezioni. Il responso delle urne portò alla presidenza J. Bosch, notevole figura d'intellettuale democratico che per quasi quarant'anni aveva combattuto dall'esilio la dittatura di Trujillo. Insediato nel febbraio 1963 fra l'entusiasmo del popolo e la simpatia delle nazioni americane, Bosch si accinse ad assolvere il suo mandato seguendo un indirizzo decisamente riformistico: compito assai arduo in un paese la cui economia soffriva le conseguenze della nefasta eredità di Trujillo. Bosch fu avversato dalla reazione oligarchica e dalla diffidenza dei militari, specie dell'areonautica comandata dal colonnello E. Wessin y Wessin e della polizia guidata dal generale A. Imbert Barreras. Contro tali forze, in un paese in cui predominavano gli analfabeti, l'idealismo di Bosch non poteva mettere radici: otto mesi dopo il suo insediamento, infatti, fu deposto (settembre 1963) da un golpe militare. Il presidente fu dapprima arrestato indi esiliato, i suoi sostenitori furono imprigionati mentre il Congresso veniva sciolto. Le redini del governo andarono a un triunvirato di civili che ben presto lasciò il posto a D. Reid Cabral che rimase al potere sedici travagliati mesi.
La reazione dei dominicani all'illegalità politica si ebbe improvvisa e violenta il 24 aprile 1965: il popolo insorse occupando il palazzo presidenziale e mettendo in fuga Reid Cabral, che trovò rifugio a New York. Capo della rivolta fu il colonnello F. Caamaño Deñó; ma le forze armate, al comando di Wessin, fuurono pienamente solidali nel fronteggiare la ribellione. Gli SUA, nel timore di un nuovo movimento di tipo castrista, intervennero contro gl'insorti (28 aprile) sbarcando decine di migliaia di marines e paracadutisti. Qualche giorno dopo (5 maggio) l'OAS approvò la creazione di una Forza interamericana di pace (14 voti contro 5) che servì ad attenuare la responsabilità dell'intervento unilaterale statunitense, aspramente criticato in quasi tutto il mondo. Mentre infuriavano i cruenti combattimenti, numerosi tentativi di pacificazione da parte dell'OAS, dell'ONU e del nunzio pontificio rimasero privi di risultati apprezzabili: la lotta fratricida durò ancora quattro mesi. Infine, i capi delle forze "lealiste" cedettero alle pressioni di Washington: il 30 agosto il generale Imbert rassegnava le dimissioni e il colonnello Wessin y Wessin accettava la nomina di console a Miami. Alla presidenza provvisoria della Repubblica fu chiamato H. García-Godoy che si destreggiò con abilità in un paese dilaniato dalle passioni e allontanò i principali capi militari delle due fazioni: F. Caamaño partì per Londra in qualità di addetto militare (gennaio 1966) mentre l'irriducibile ministro delle Forze armate, F. Rivera Caminero, raggiunse Washington (febbraio 1966) con lo stesso incarico.
Le elezioni del 1° giugno 1966 portarono di nuovo alla presidenza J. Balaguer, presentatosi con un programma riformista, mentre ne usciva sconfitto J. Bosch (assente dal paese durante la ribellione) che aveva perduto parte della sua popolarità. Le truppe statunitensi e interamericane si ritirarono dal paese entro settembre e Balaguer poté dedicarsi alla pacificazione del paese, alla ripresa della riforma agraria, all'industrializzazione, imponendo un regime di austerità. Alla vigilia delle elezioni del 1970 J. Bosch rientrò a Santo Domingo dal suo volontario esilio spagnolo, senza presentare la candidatura. Balaguer riuscì a farsi rieleggere nonostante la forte opposizione. Nelle campagne si riaccese la guerriglia, mentre manifestazioni studentesche portavano alla chiusura dell'università di Santo Domingo (1973). Alla testa dei guerriglieri riapparve il colonnello F. Caamaño, che presto cadde in uno scontro con le forze governative.
Balaguer fu confermato presidente il 16 maggio 1974, dopo che il candidato dell'opposizione A. Guzmán Fernández si era ritirato in segno di protesta contro le angherie subite durante la campagna elettorale. Il presidente ha trovato appoggio in una nuova classe di uomini politici non invisi alla piccola borghesia, soddisfatta da una certa ripresa economica e da una relativa tranquillità dopo la tremenda dittatura di Trujillo e la grave lacerazione inferta al tessuto sociale del paese dalla guerra civile del 1965.
Bibl.: A. R. Espaillat, Trujillo, the last Caesar, Chicago 1963; J. Bosch, The unfinished experiment: democracy in the Dominican Republic, New York 1965; D. Kurzman, Santo Domingo: Revolt of the damned, ivi 1965; J. B. Martin, Overtaken by events: the Dominican crisis from the fall of Trujillo to the civil war, ivi 1966; R. W. Logan, Haiti and the Dominican Republic, Oxford 1968.