Ceca, Repubblica
'
Geografia umana ed economica
di Francesca Krasna
Stato dell'Europa centrale. La popolazione risultava pari a 1.292.933 ab. secondo i dati del censimento 2001, e a 10.220.000 secondo stime del 2005. Nei primi anni Duemila l'andamento demografico ha dunque continuato a rispecchiare il trend del decennio precedente, con un calo dovuto al fatto che il tasso di natalità (9‰ nel 2005) risulta costantemente inferiore a quello di mortalità (10,5‰), un fenomeno, questo, solo in parte compensato dal modesto saldo positivo del movimento migratorio (1‰). La maggior parte della popolazione è composta da Cechi (90,1% secondo il censimento del 2001); minoranze significative continuano a essere i Moravi (3,6%) e gli Slovacchi (1,8%), mentre il resto della popolazione è costituito da Polacchi, Tedeschi, Slesiani nonché altre comunità minori, per giungere a un complessivo 4,5%. Le città più importanti sono: Praga (1.165.600 ab. secondo stime del 2004), Brno (369.500 ab.) Ostrava (313.000 ab.) e Plzeň (164.200 ab.).
Principale obiettivo della politica economica del Paese nei primi anni Duemila è stato l'armonizzazione con la legislazione e con gli standard dell'Unione Europea, anche in previsione della futura piena integrazione, in un'ottica di medio termine, nella struttura monetaria dell'euro. In questa direzione si muovono le misure adottate sinora per il controllo della spesa pubblica, tra cui la riforma fiscale e quella del settore sanitario; rilevanti sono state anche le innovazioni introdotte nel mercato del lavoro e quelle tese a facilitare lo sviluppo delle piccole-medie imprese. Anche grazie a ciò, il Paese ha registrato una rilevante espansione economica, con il PIL in sensibile crescita (+3,3% nel 2001, +3,7% nel 2004). L'inflazione appare sotto controllo (+4,7% nel 2001, +3,2% nel 2004), mentre il tasso di disoccupazione rimane relativamente alto, con tendenza all'incremento (8,9% nel 2001, 10,2% nel 2004); tuttavia i consumi delle famiglie sono aumentati, grazie al forte rialzo dei salari reali (+8% nel 2004) e allo sviluppo del credito. Tra i vari settori produttivi, l'industria, che è sempre stata trainante per l'economia ceca (+6,6% annuo in media nel periodo 1999-2003, e +9,9% nel 2004, il più elevato tasso di crescita dei precedenti cinque anni), ha attraversato una fase di ristrutturazione e di ulteriore privatizzazione. Nel 2004, infatti, è avvenuta la cessione della quota di maggioranza della Unipetrol, ancora nelle mani dello Stato, a una società polacca, ed è decisamente ripreso il cammino verso la privatizzazione delle imprese pubbliche residue, cui resta connesso anche il destino dell'industria estrattiva legata al carbone. I comparti più dinamici sono stati quello siderurgico (+23% nel 2004), delle apparecchiature elettriche e ottiche (+15,3%), dei mezzi di trasporto (+14,3%), delle costruzioni (+9,7%, il più elevato tasso di crescita dei precedenti undici anni). Tra i più stagnanti quelli estrattivo (−0,9%) e termo-energetico (+0,9%).
Resta minoritario il peso del comparto agricolo, anche se il 2004 è stato un anno eccezionale per il settore, con un incremento reale del 16,3%, a fronte però di un'ulteriore contrazione del comparto zootecnico. Nei primi anni Duemila si è avuto anche un forte sviluppo dei servizi. Il turismo, che nel 2001 aveva raggiunto il massimo sviluppo (5.193.000 visitatori), ha poi avuto un certo declino negli anni successivi, a causa dei negativi eventi atmosferici. La morfologia e l'idrografia della regione hanno infatti spesso esposto il Paese a gravi alluvioni, con pesanti ripercussioni anche sul piano economico: così è stato nell'agosto 2002, quando il fiume Moldava ha raggiunto i più alti livelli storici e ha prodotto seri danni alle infrastrutture industriali in Boemia, colpendo duramente anche Praga e diverse altre importanti località turistiche. La ricostruzione è stata avviata anche grazie agli aiuti diretti dell'UE e ai prestiti a basso interesse da parte della BEI (Banca Europea degli Investimenti). Anche per questo motivo il debito estero risulta in aumento: 43,2 miliardi di dollari nel 2005, pari al 38% del PIL.
Fondamentale per la crescita economica è stato l'apporto degli investimenti esteri e delle esportazioni. I principali investitori sono la Germania, i Paesi Bassi, l'Austria e il Giappone. Nel 2004 si è avuto un incremento dell'export (+20,9%) superiore a quello dell'import (+18,5%), il che ha portato dopo anni a un saldo positivo della bilancia commerciale. Il principale partner del Paese è la UE, con la quale si è registrato un ulteriore incremento degli scambi nel corso del 2004 (+23,3%), in seguito all'ingresso della R. C. nell'Unione, avvenuto il 1° maggio. Un ruolo leader spetta alla Germania che assorbe oltre un terzo dell'export ceco (36,4%), seguita da Slovacchia (8,5%), Austria (6%) e Polonia (5,2%). L'Italia occupa il quinto posto (4,4%) dopo la Gran Bretagna (4,7%). Rilevanti sono le importazioni (semilavorati, macchinari e prodotti energetici) dai Paesi della CSI (Confederazione degli Stati Indipendenti) e da quelli in via di sviluppo (5,8% e 6,2% rispettivamente), tra i quali spiccano Russia e Cina.
Bibliografia
T. Favaretto, S. Gobet, L'Italia, l'Europa centro-orientale e i Balcani. Corridoi pan-europei di trasporto e prospettive di cooperazione, Roma-Bari 2001.
L. Krkoska, Foreign direct investment financing of capital formation in central and eastern Europe, European Bank for Reconstruction and Development, Working paper 67, December 2001.
World Bank, Developing the energy sector in the transition economies of central eastern Europe and the former Soviet Union, New York 2001.
Guida ai Paesi dell'Europa centrale, orientale e balcanica: annuario politico-economico, a cura di S. Bianchini, M. Dassù, Bologna 2004.
W. Goruppi, Repubblica Ceca, in Est-Ovest. Rivista di studi sull'integrazione europea, 2005, 3, pp. 44-55.
Storia
di Paola Salvatori
Le questioni principali che la R. C. era chiamata ad affrontare alle soglie del Duemila erano il rafforzamento dell'economia e il risanamento del bilancio, entrambi indispensabili per l'ingresso nell'Unione Europea, considerato una tappa fondamentale nel processo di sviluppo economico e sociale del Paese. Sul raggiungimento di questi obiettivi si concentrò il governo di minoranza, in carica dal 1998, formato dal Partito socialdemocratico e guidato dal suo leader M. Zeman, che stabilì tra le sue priorità il miglioramento dei conti pubblici e la prosecuzione della politica di privatizzazione avviata negli anni precedenti, forte dell'accordo raggiunto con il moderato Partito civico democratico. Quest'ultimo, pur non appoggiando formalmente il governo, aveva garantito la propria neutralità rispetto alle scelte dell'esecutivo, il quale, dal canto suo, si era impegnato a cercare con i moderati un'intesa sulle principali questioni politiche.
Contrasti sorti all'interno del Partito socialdemocratico portarono nell'aprile 2001 alle dimissioni di Zeman dalla sua guida, che fu assunta da V. Spidla, già ministro del lavoro e degli affari sociali. Dopo la nuova vittoria riportata dai socialdemocratici nelle elezioni del giugno 2002 (30% dei consensi, contro il 24% del Partito civico democratico e il 18% del Partito comunista), Spidla, nominato primo ministro, formò un governo di coalizione di centrosinistra, al quale aderirono l'Unione cristiano democratica e l'Unione della libertà. Il nuovo esecutivo proseguì la politica di liberalizzazione del mercato e attuò una serie di riforme economiche e fiscali specificatamente volte a diminuire il debito pubblico.
I tagli alla spesa sociale crearono però gravi dissidi all'interno della coalizione e dello stesso Partito socialdemocratico, la cui ala sinistra contestò duramente le scelte del premier. Forti proteste si levarono anche dagli ambienti sindacali, tradizionalmente legati ai socialdemocratici, che cominciarono a prendere le distanze da Spidla e promossero agitazioni e scioperi contro la prospettata riforma del sistema pensionistico e i tagli alla sanità. Il malcontento sociale era alimentato anche dal tasso di disoccupazione, che dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso era tornato a crescere nonostante il dinamismo del settore commerciale e il costante aumento degli investimenti stranieri. Le difficoltà della maggioranza emersero a livello istituzionale nel febbraio 2003, quando nelle elezioni presidenziali il candidato governativo venne battuto da quello delle opposizioni: V. Klaus, già primo ministro dal 1992 al 1997, subentrò così a V. Havel, che aveva terminato il suo secondo mandato. L'ingresso nella UE (maggio 2004) coronò gli sforzi dell'esecutivo per inserire stabilmente il Paese nell'orbita occidentale, ma non si tradusse per il Partito socialdemocratico in una crescita dei consensi. Le elezioni europee, svoltesi a giugno, registrarono infatti il suo tracollo: ottenne solo l'8,9% dei voti, contro il 30% del Partito civico democratico e il 20% del Partito comunista. In seguito ai risultati elettorali Spidla si dimise, e in luglio venne formato un nuovo esecutivo, composto dalla stessa coalizione e guidato dal socialdemocratico S. Gross, già ministro dell'interno. Nonostante si fosse presentato con un programma di rilancio delle politiche sociali e avesse accantonato i progetti di riforma del sistema previdenziale, Gross non riuscì a riconquistare l'elettorato, e le consultazioni amministrative di novembre, alle quali partecipò meno del 30% dell'elettorato, ribadirono il declino dei socialdemocratici, che ottennero soltanto il 14% dei consensi, dietro il Partito civico democratico (36%) e il Partito comunista (21%), il quale si confermava così come la seconda forza politica del Paese. Nei mesi successivi la maggioranza continuò a dibattersi in gravi difficoltà interne, che culminarono, nel marzo 2005, nell'uscita dal governo dell'Unione cristiano democratica, e in aprile nelle dimissioni di Gross, coinvolto in uno scandalo di natura finanziaria. Respinta la richiesta di elezioni anticipate, avanzata dal Partito civico democratico, il presidente Klaus diede l'incarico di formare un nuovo esecutivo a J. Paroubek, socialdemocratico, il quale riuscì a ristabilire un accordo con i precedenti alleati di governo e a ottenere la fiducia del Parlamento.
In ambito internazionale il Paese proseguì la politica di riavvicinamento alla Slovacchia e di equilibrio tra Mosca e Washington, mantenendo rapporti distesi con entrambi. Contrasti sorsero invece con l'Austria agli inizi del Duemila, in seguito alla decisione del governo ceco di attivare una centrale nucleare per la produzione di energia elettrica a Temelin, nella Boemia meridionale. Le proteste del governo austriaco e dei movimenti ambientalisti indussero le autorità ceche ad accettare l'ispezione di una commissione europea che verificasse la sicurezza degli impianti; nel 2003 la centrale fu autorizzata a iniziare le attività per un periodo di prova.