reo (rio)
Sia l'aggettivo sia il sostantivo rivelano in D. un'estesa polisemia, configurando uno dei termini-chiave della Commedia, prevalente (com'è ovvio) nella prima cantica, ma non estraneo alle altre. La forma etimologica, costante in prosa, si alterna in poesia con la popolare, preferita in sede di rima.
È frequente l'uso con funzione attributiva o predicativa, in riferimento a persone o a cose.
Il senso di " cattivo ", " malvagio ", " incline al male " acquista in alcuni casi maggior rilievo dalla contrapposizione a ‛ buono ': se Iddio fece li angeli buoni e li rei, non fece l'uno e l'altro per intenzione, ma solamente li buoni. Seguitò poi... la malizia de' rei (Cv III XII 9); offendere e giovare... stare casto e lussuriare sono operazioni dipendenti dalla nostra volontà; e però semo detti da loro buoni e rei (IV IX 7; cfr. anche Pg XVIII 66, un po' diverso: buoni o rei amori, " peccaminosi ", Chimenz); e la stessa volontà è chiamata in causa da Marco Lombardo, quando afferma che la mala condotta / è la cagion che 'l mondo ha fatto reo, / e non natura che 'n voi sia corrotta (Pg XVI 104; cfr. buon mondo, v. 106).
Qui il campo semantico dell'aggettivo si allarga (e pertanto diventa più generico) per l'amara allusione a un complesso di virtù civili sciaguratamente tradite: così anche nella domanda accorata di Guido del Duca (O Bretinoro, ché non fuggi via, / poi che gita se n'è la tua famiglia / ... per non esser ria?, XIV 114: il per può essere inteso come finale [Benvenuto: " ne reservaretur ad ista tempora prava "] o come causale), e in un celebre congedo: Canzone, a' tre men rei di nostra terra / te n'anderai (Rime XCI 97). " Non c'è dubbio che D. intenda riferirsi a tre determinate persone di Firenze ", notano Barbi-Pernicone, affermando però l'impossibilità di un'identificazione precisa e ricordando che " sono stati fatti i nomi di Guido Cavalcanti e di Betto Brunelleschi, ma si tratta di ipotesi ").
L'accostamento di Rime CXVI 20 delinea efficacemente il ritratto della donna (bella e ria, " bella e senza pietà ", Barbi-Pernicone), che per il poeta è senz'altro la rea (v. 13): E se mi dai parlar quanto tormento, / fa, signor mio, che... / questa rea... nol possa udire; / ché, se intendesse ciò che dentro ascolto, / pietà faria men bello il suo bel volto.
Di nuovo genericamente " cattivo " in alcuni casi del Fiore e del Detto: Ragione, tu... / di' che questo mi' signor [Amore] è reo, / e che non fu d'amor unquanche Deo, / ma di dolor, Fiore XXXVIII 2; sanz'Amor vive reo [" reamente, male, senza virtù ", Parodi] / chi si governa al mondo, Detto 148 (si noti il valore predicativo risolto nell'avverbiale, con costrutto analogo a quello di Cv II VII 4 chi da la ragione si parte... non vive uomo, ma vive bestia); ben seria foll'o re' [endiadi in rima franta col provenzalismo follore] / quand'io... pensasse di cambiare la mia donna con qualsiasi altra (Detto 254); non mi far ri' 'sposta [" cattiva esposta, esposizione, risposta ", Parodi] / a ciò ch'i' ho proposato (v. 122), nel sintagma, " non rispondere male ".
In due luoghi dell'Inferno l'aggettivo si carica di una forte pregnanza di significato: anima ria (XIX 96) è perifrasi sufficiente, nel contesto, a designare Giuda; così come il vermo reo che 'l mondo fóra è il r. per eccellenza, Lucifero: " e ben dice reo, perch'elli indusse ogni retà, vizio e peccato " (Buti, a If XXXIV 108).
Accanto a tali espressioni, il termine sembra scialbo e quasi ovvio nella dittologia sinonimica malvagia e ria attribuita alla lupa-avarizia (If I 97), la cui ‛ reità ', tutt'uno con la ‛ malvagità ', consiste nella bramosa voglia che non riesce mai a saziare. Analogamente in Rime LXXXIII 112 Oh falsi cavalier, malvagi e rei [" malvagi e corrotti ", Barbi-Pernicone], / nemici di costei, cioè della leggiadria; e si noti l'accostamento a ‛ falso ', che ritorna in Fiore CLXII 4, dove r. è praticamente un ricalco semantico del primo aggettivo: falsi e rei sono gli amanti (o gli uomini in genere) nelle parole della Vecchia, che li ha già definiti gente rea (CLXI 2), " sleale " o " ingannatrice "; ne sono campioni Enea e Giasone (quel disleale!, v. 9), famosi per aver abbandonato le donne cui dovevano la vita (la gente ria di Pg I 64 indica invece i " dannati "). L'aggettivo ricorre anche in Fiore LIV 14, riferito ai garzon messaggeri d'amore, che la leggerezza rende " poco fidati " (forse sulla stessa linea topica di un notissimo rispetto trecentesco, " non mi mandar mesaggi, che son rei ").
Il passo di Pg VIII 131 perché il capo reo il mondo torca, / [la casa Malaspina] sola va dritta e 'l mal cammin dispregia, si presta a duplice interpretazione, potendosi intendere come soggetto il capo reo - ed è l'ipotesi più accreditata anche dall'esegesi antica oppure il mondo, come sostenne il Poletto (cfr. " Bull. " II [1894-95] 172-173; ed era già proposta dal Venturi). L'alternativa è prospettata, fra gli altri, da Casini-Barbi e Chimenz, i quali tuttavia propendono per la prima interpretazione e vedono nel capo reo il Papato (così anche Torraca, Porena, Mattalia); come pure dall'Andreoli e dal Sapegno, orientati piuttosto verso Roma in genere, sulla scia di Benvenuto (" scilicet Papa et Imperator ") e dell'Anonimo (" il papa e lo 'mperatore abbino torto e volto il mondo a malfare per esemplo di loro "). Altri (Scartazzini-Vandelli, ancora Chimenz) complicano il dilemma desumendo dal Lana l'allusione al " dimonio (vermo reo, in If XXXIV 108, citato). A ogni modo, r. è qui ancora equivalente a " malvagio ", ampiamente inteso.
In altri casi l'aggettivo assume le accezioni più varie (nell'orbita descritta sopra, quasi complementari), spesso sconfinando verso impieghi materiali: è più laudabile uno mal cavallo reggere che un altro non reo, non " bizzarro " (Cv III VIII 19); Iddio tutte le cose vivifica in bontade, e se alcuna n'è rea [" difettosa " o " manchevole "], non è de la divina intenzione (XII 8); de li due sentieri prendere lo men reo [il meno " sbagliato ", " che porta fuori strada "] è quasi prendere un buono (I II 13); la vigna... / tosto imbianca, se 'l vignaio è reo, "trascurato " o " negligente " nell'adempiere al proprio ufficio (Pd XII 87); gite con lor, che non saranno rei, " ostili " (Grabher, a If XXI 117; " non vi faranno del male "). Sono " velenose " o " feroci " le pestilenzie... ree dell'Africa (XXIV 88), cioè quei rettili che già Lucano definiva " lybicae pestes "; è " doloroso " o " atroce " il tormento rio degli avelli nella campagna di If IX 111; è certamente " guasta " la farina ria che riempie le sacca cui s. Benedetto paragona le cocolle dei monaci degeneri (Pd XXII 78); il tempo rio da cui, insieme con la fortuna (il " fortunale "), D. teme impedimento al suo favoloso vagabondaggio è la " stagione sfavorevole ", il " cattivo tempo (Rime LII 5); mentre il reo / tempo, di If V 64 è il " periodo luttuoso, nefasto " di cui fu responsabile Elena; in Fiore CXIII 7 è rio / il tempo e ' lor guadagni sì son frali, l'espressione significa " i tempi sono difficili ", e si può ricollegare al sintagma di CCXVI 3 egli è in punto rio, " in tristi condizioni, in brutte acque " (Petronio). Essere d'una voglia ria (CXLI 4) equivale a stare " di malumore " (Parodi). Ancora un'accezione diversa in Detto 90 signo ri' ha [vive sotto " infausti " auspici] / chi porta su' suggello.
Si rientra in ambito morale, ma nel senso di " peccaminoso ", quando r. è riferito a vita (If XIII 135, Pg XIII 107; si aggiunga XVIII 66, già citato); e ancora in Cv IV XXIV 14, col valore attivo di " che induce al male ": Salomone... rimuove [suo figlio]... da l'altrui reo consiglio e ammaestramento; mentre il loco... rio responsabile del lungo silenzio di D. con l'amico Cino (Rime XCVI 7) sarà probabilmente Firenze, vuoi che si accenni a " qualche cosa di generico nel vizio e nel male " (Barbi-Pernicone), vuoi a una " viltà rispetto all'Amore... nell'accezione più ampia, come principio di nobiltà " (Contini). In una seconda occorrenza nella canzone della leggiadria (Rime LXXXIII 66 non tacerò di lei, che villania / far mi parria / sì ria, ch'a' suoi nemici sarei giunto) r. giunge infine a significare " colpevole " (Barbi-Pernicone).
Costruito con la preposizione ‛ di ', il sintagma ‛ essere r. ' può dunque valere " macchiarsi di una colpa ", " avere la responsabilità ", in Pg XXVI 88 Or sai nostri atti e di che fummo rei. Alquanto incerta invece la spiegazione di Vn XXXII 5 5 li occhi mi sarebber rei, / molte fiate più ch'io non vorria, / lasso!, di pianger sì la donna mia, fra gli estremi di Barbi-Pernicone (" gli occhi mi rimarrebbero, molto più spesso ch'io non vorrei (lasso!), debitori di piangere ", ecc.) e del Casini, con diversa interpunzione (" gli occhi mi farebbero maggior male... molte volte che io, stanco di piangere così la mia donna, non vorrei ", ecc.), con soluzione intermedia nel Melodia (più o meno, " gli occhi sarebbero disubbidienti - rei - perché il poeta è stanco di piangere "). Resta tuttavia preferibile la prima interpretazione, già proposta dal Witte e recepita dal Barbi nell'edizione critica della Vita Nuova, con r. uguale a " debitore ": in conclusione, gli occhi " non piangerebbero abbastanza; e però ci vuole anche lo sfogo dei sospiri ".
Neutro sostantivato, nella forma ‛ rio ' (in sede obbligata), col valore di " reità ", " colpa ", " peccato ": If IV 40 Per tai difetti, non per altro rio / remo perduti; e (sempre in riferimento alle anime del Limbo e in particolare a Virgilio che parla di sé stesso) Pg VII 7 per null'altro rio / lo ciel perdei che per non aver fé.
Analogo significato (ancora in rima, ma in diverso contesto) in If XXXI 102 Anteo / ... ne porrà nel fondo d'ogne reo, di ogni " malizia ", " malvagità "; s'include inoltre nel medesimo orizzonte semantico (per il plurale) Cv IV Le dolci rime 115 elli son quasi dei / quei c'han tal grazia fuor di tutti rei, sul fondamento della chiosa prosastica sanza macula di vizio (XX 3). Vale invece " cosa amara, tormentosa ", in If XXX 120-121, dove maestro Adamo ricorda malignamente a Sinone come il suo spergiuro sia noto a tutti (sieti reo che tutto il mondo sallo!), e il greco con atroce ritorsione gli augura: E te sia rea la sete onde ti crepa / ... la lingua.
Vero e proprio sostantivo, al femminile singolare per " donna crudele " (Rime CXVI 13, già citato) e al plurale maschile, " uomini malvagi " (XCI 95). È notevole come attraverso l'accezione di " ribelle ", assicurata dall'impiego fattone in If III 42 ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli (cioè degli angeli che non furon ribelli / né fur fedeli a Dio, ma per sé foro), si pervenga a ‛ rei ' per " i dannati ", naturalmente inscindibile dalla prima cantica: If XXII 64 de li altri rii / conosci tu alcun che sia latino...?; XXVII 127 questi è d'i rei del foco furo; anche Pg VIII 54 quando ti vidi non esser tra' rei ci riconduce infatti all'Inferno.