rendere [III plur. pass. rem. rendero; per la var. reddero, di Pg XI 46, cfr. Petrocchi; ad l.; partic. pass. renduto]
Ha un numero abbastanza alto di occorrenze, che sono però distribuite in modo poco uniforme: una nella Vita Nuova, cinque nelle Rime, ventiquattro nel Convivio, quarantuna nella Commedia; ricorre undici volte nel Fiore e quattro nel Detto. Si noti che il suo sinonimo ‛ restituire ' nel lessico dantesco occorre una sola volta, e per giunta in un passo (Cv IV XXIX 11) d'incerta lezione e di discussa interpretazione.
Sua accezione fondamentale è quella di " ridare ad altri cosa che gli sia dovuta ", perché era stata prestata o sottratta o per altra ragione: Cv IV IX 15 quello che è di [Cesare sia renduto a Cesare, e quello che è di] Dio sia renduto a Dio (dove l'integrazione proposta da Busnelli-Vandelli per armonizzare il testo a Matt. 22, 21 " Reddite... quae sunt Caesaris Caesari et quae sunt Dei Deo ", non è accolta né dalla '21 né dalla Simonelli); If XIV 3 raunai le fronde sparte [dalle cagne della selva dei suicidi] / e rende'le a colui; Fiore CLXXVII 6 e 8.
Abbastanza frequenti gli esempi di uso estensivo: If XXIV 76 " Altra risposta ", disse, " non ti rendo / se non lo far... "; analogamente: Pg XI 46 Le lor parole, che rendero a queste / ... non fur da cui venisser manifeste; nella locuzione ‛ r, cenno ', in If VIII 5 due fiammette ... i vedemmo porre, / e un'altra da lungi render cenno, " rispondere al segnale ", e in Pg XXI 15 Virgilio / rendéli 'l cenno, " gli restituì il saluto ". Vada qui anche l'esempio di XXX 132 imagini di ben... false / che nulla promession rendono intera, " non mantengono mai interamente la loro promessa " di felicità (dove l'idea della fallacia dei beni mondani deriva da Boezio Cons. phil. III IX; cfr. anche Pg XVI 91 ss., XVII 98, 133 ss.).
In particolare, vale " ridare ad altri ciò che aveva perduto ": D. può nel mondo render fama ad Anteo (If XXXI 127), il che, osserva il Mattalia, sottintende che la fama del gigante è nulla o scarsa; l'Eunoè d'ogne ben fatto la [memoria] rende (Pg XXVIII 129). Tutti i commentatori sono concordi nell'interpretare il passo di XXXI 91 (quando il cor virtù di fuor rendemmi) " quando il cuore mi rese di fuori la virtù ", cioè, come dichiara Buti, quando " la virtù vitale e sensitiva, ch'era corsa con sangue al cuore, tornò di fuori a le membra ". Solo il Tommaseo, invertendo la costruzione, spiega: " quando virtù venuta da Beatrice mi fece riavere "; in ogni caso, il significato del verbo rimane sempre quello di " restituire ".
Per ulteriore estensione semantica, sull'idea della restituzione prevale quella del contraccambio o del compenso; di norma, questo valore è reso più evidente dal significato del complemento oggetto: Cv III I 8 avvegna che lo servo non possa simile beneficio rendere a lo signore quando da lui è beneficiato, dee però rendere quello che migliore può; Pg XI 125 cotal moneta rende / a sodisfar chi è di là troppo oso: per saldare il debito contratto con la giustizia divina, il peccatore deve qui pagare la moneta di siffatta penitenza (ed è locuzione suggerita dall'auctoritas biblica: Matt. 5, 26 " donec reddas novissimum quadrantem "). Problema ampiamente discusso dai teologi (cfr. Tomm. Sum. Theol. II II 88 10 ss.) era quello se, per soddisfare a un voto inadempiuto, si ammetteva in cielo la commutazione di esso con altri beni; allorquando Beatrice risolve a D. questo dubbio, il verbo r. ricorre due volte (Pd V 14 e 31) con il significato di " compensare ", e l'esempio è tanto più significativo in quanto anche in Eccl. 5, 3 ss. i verbi vovere (" far voto ") e reddere (" mantenere ") sono posti in stretta correlazione (" Si quid vovisti Deo, ne moreris reddere "). Più che all'idea del compenso il verbo allude a quella della ricompensa in Rime CXVI 30 L'angoscia... a li occhi, lor merito rende, " il dolore che si fa affanno fisico... [dà agli occhi] una giusta ricompensa (il pianto perché furono imprudenti nel guardare) ", Contini. Analogamente, r. guiderdone (Detto 304) vale " remunerare ", " ricompensare ". Di difficile interpretazione è l'esempio di Detto 405 e pro' / salute e doni e rendi; se si accetta la spiegazione che del passo dà il Parodi, il verbo vale " contraccambi " (per la questione, cfr. la voce PRODE).
All'idea della restituzione può accompagnarsi, e anche sostituirsi, l'idea implicita che l'oggetto è dovuto in base a una legge morale o per convenienza: Rime CVI 92 Morte, che fai? che fai, fera Fortuna, / che non solvete quel che non si spende? / se 'l fate, a cui si rende?, dove la particolare sfumatura semantica implicita nel verbo è ben chiarita dal commento di Barbi-Pernicone: " né la morte dell'avaro né la fortuna mettono in circolazione... il denaro che l'avaro non ha speso, e se per caso lo fanno, a chi questo denaro viene restituito? (potendosi credere che ben difficilmente può essere restituito a chi ne avrebbe diritto) ".
Più frequentemente, il complemento oggetto è espresso da un sostantivo astratto, e in questo caso la locuzione sostituisce un verbo transitivo. Si hanno così i sintagmi ‛ r. grazia ' (Pd IV 122, Pg XI 6; Fiore CCII 1, CCXXXI 10), " ringraziare "; con lo stesso valore render merzede, Vn XXVI 10 4; rendo ragione (If XXII 54), " pago il fio " (ma il Mattalia, in considerazione del fatto che Ciampolo, macchiandosi di baratteria, era stato infedele amministratore del buon re Tebaldo [v. 52], suppone che l'espressione, come il latino rationem reddere, valga " presentare il rendiconto "). Con significato diverso: Cv IV XX 3 lo testo... rende incontanente ragione, dicendo che..., " motiva ", " spiega ", un'affermazione precedente. ‛ R. pace ' è locuzione cristallizzata e tecnica che vale " perdonare " (v. Contini, in " Lingua Nostra " II [1940] 13 ss.), attestata anche nel Guinizzelli Tegno de folle'mpres', a lo ver dire 15 e in Statuti Senesi III 140 (" nonostante che per l'offeso e per li suoi parenti fusse renduta pace all'offenditore "); in D. ricorre con lo stesso senso in Rime LXVIII 35 e CIII 78 e poi le renderei con amor pace, " la perdonerei e la restituirei al mio amore "; quest'ultimo esempio, oltre che per il ricorso allo zeugma, interessa anche perché permette di misurare la fortuna dantesca della canzone del Guinizzelli (v. Contini, Poeti II 451 n. 15). Cfr. anche i sintagmi ‛ r. consiglio ', " deliberare " (If XXIII 34); r. essemplo " offrirlo " o " trarlo " (Cv III VII 14, IV XIX 3, XX 2); ‛ r. lode ', " lodare " (Pg XXI 71); ‛ r. onore ', " onorare " (Rime dubbie XVI 26); ‛ r. sicurtà ', " dare coraggio " (If VIII 98); rendere al padre buona testimonianza (Cv IV XXIX 7), " riconoscerne apertamente il valore ".
Talvolta, attenuandosi l'idea del ‛ dovuto ', si fa quasi sinonimo del semplice " dare ": l'anima, che è atto e cagione del corpo... infonde e rende al corpo suo de la bontade de la cagione sua, ch' è Dio (Cv III VI 11).
Sempre per attenuazione dell'idea del ‛ dovuto ', assume l'accezione di " attribuire ": Cv III IV 6 in quelle [cose] ne le quali [l'uomo] non ha podestà non merita né vituperio né loda, però che l'uno e l'altro è da rendere ad altrui; Pd VIII 132 vien Quirino / da sì vile padre, che si rende a Marte, " che la gloria di averlo generato si attribuisce a Marte " (Sapegno).
In senso del tutto opposto, vale " consegnare nelle mani di un avversario " cedendo alle forze di lui. È accezione tecnica del linguaggio militare, attestata anche in G. Villani IX 105 " Castruccio... prese e fulli renduto il castello di Cappiano "; ricorre solo nel Fiore: CCXXII 2 va Venusso minacciando, / dicendo, se non rendono il castello, / ched ella metterà fuoco al fornello; XXIX 4, CCVI 11, CCXXII 10. Di qua il riflessivo " rendersi " nel senso di " arrendersi ": di fronte all'attacco di Pietà, Schifo si venia rendendo (Fiore CCVIII 11); Detto 303, e 406 se tu a ciò [a far doni a madonna] ti rendi, / d'Amor sarai in grazia, dov'è evidente l'accezione figurata di " arrendersi " nel senso di " consentire, ma riluttando ".
La restituzione può identificarsi in un movimento di ritorno, nella riflessione di un'immagine o, nell'ambito di una comunicazione, in una raffigurazione o espressione adeguate. Può quindi riferirsi a uno specchio o ad altra superficie riflettente che rimandi un'immagine: Cv III VII 3 certi corpi... tosto che il sole li vede... per multiplicamento di luce... rendono a li altri di sé grande splendore; così al § 4, Pg XV 75, XXIX 68 L'acqua... rendea me... come specchio anco (e, per uno spunto analogo, ma svolto con più piana e limpida levità musicale, cfr. Pd III 10 ss. Quali per vetri trasparenti e tersi, / o ver per acque nitide e tranquille... / tornati d'i nostri visi le postille...: " rende lo specchio, torna l'immagine ", commenta il Mattalia con puntuale acutezza). È perciò vocabolo proprio per esprimere l'aspetto esteriore delle cose, in quanto è definibile mediante una descrizione o un riferimento: If XVIII 12 Quale, dove... / più e più fossi cingon li castelli, / la parte dove son rende figura, / tale imagine quivi facean quelli; e così Cv IV VII 6; ma può esprimere anche la suggestione suscitata da un'impressione musicale: Pg IX 142 Tale imagine a punto mi rendea / ciò ch'io udiva, qual prender si suole / quando a cantar con organi si stea. Può quindi anche valere " raffigurare a parole ", " descrivere ": Pg XXXI 143 tentando a render te qual tu paresti, " provando a descriverti ", o divino splendore, quale apparisti nel volto di Beatrice.
Il movimento di ritorno può concretarsi nel riportare una cosa nel luogo dove prima si trovava. A questa idea si collegano due accezioni attestate in D.; quella di " volgere nuovamente " (Pg XXIX 58 Indi rendei l'aspetto a l'alte cose / che si movieno incontr' a noi) e quella, ovviamente inquadrabile nell'ambito del linguaggio figurato, di " riportare una notizia ", " riferire alcunché ": Fiore XLVI 8 cui piacesse, tal ammonizione / ... gli sarebbe ben per me renduta.
Più evidente collegamento con l'accezione fondamentale ora ricordata il verbo ha quando è riflessivo. Può così significare " volgersi nuovamente verso una data direzione " (Pg XXIX 12 a levante mi rendei), " tornare ad affrontare una prova già sostenuta " (Pd XXIII 77 ancora mi rendei / a la battaglia de' debili cigli, " mi volsi nuovamente " a contemplare quello spettacolo divino con i miei deboli occhi), " convertirsi ", " raccomandarsi con fiducioso abbandono " a Dio (Pg III 119 io mi rendei, / piangendo, a quei che volontier perdona; Cv IV XXVIII 5 e 7; Pd X 56, dove però r., più che abbandono alla misericordia di Dio, esprime empito di affetto e di riconoscenza per la sua grazia). Riferito a un ordine religioso, in Cv IV XXVIII 8 questi nobili... ne la loro lunga etade a religione si rendero, ogni mondano diletto e opera disponendo; If XXVII 83, secondo un uso largamente attestato in provenzale (se rendre), in francese antico (soi rendre) e in testi italiani del Duecento (Cielo d'Alcamo; Giacomino Pugliese; ecc.): lo documenta anche l'uso del participio passato renduto in funzione di sostantivo (a meno che non lo si consideri predicativo) e con il valore di " monaco " (" erat monachus ", Benvenuto), " frate ": Pg XX 54 li regi antichi venner meno / tutti, fuor ch'un renduto in panni bigi (che solo il Lombardi spiegò " spogliato della porpora regale ", mentre tutti gli altri commentatori vi vedono un accenno alla leggenda secondo la quale l'ultimo re carolingio sarebbe stato costretto da Ugo Capeto a farsi frate); analogamente, al femminile, renduta significa " suora " (Fiore CXXIX 2 Astinenza-Costretta.... si vestì di roba di renduta). Quale intransitivo pronominale, riferito a un fiume, vale " sfociare " (Pg XIV 34).
In senso estensivo, la produzione di un suono o l'emanazione di una luce o di un odore possono essere considerate anch'esse forme di espressione; di qua il significato di " produrre ", " emettere ", " emanare ": Pd X 146 vid'io la gloriosa rota / muoversi e render voce a voce in tempra / e in dolcezza ch'esser non pò nota, " cantare in accordo perfetto di voci "; XIV 52 carbon che fiamma rende / ... per vivo candor quella soverchia; Cv IV XXVII 7 la rosa... a quelli che va a lei per lo suo odore rende quello. Le stesse accezioni compaiono con valore figurato: IV XXV 12 l'ordine debito de le nostre membra rende uno piacere non so di che armonia mirabile; Pg XXVIII 80 luce rende il salmo Delectasti, / che puote disnebbiar vostro intelletto; Pd VI 126 diversi scanni in nostra vita / rendon dolce armonia tra queste rote.
L'effetto di un'azione può consistere nella formazione di un bene economico; di qua il valore di " dar frutto ", " produrre " qualcosa di utile, attestato solo in senso figurato: Pd XXI 118 Render solea quel chiostro a questi cieli / fertilemente.
All'idea di attribuzione di un oggetto, implicita nella restituzione, può sostituirsi quella più astratta di produzione di un effetto. Può quindi valere " far diventare ", " condurre nella condizione " espressa dal predicato (Pd XVIII 83 O diva Pegasëa che li 'ngegni / fai glorïosi e rendili longevi; Cv II VI 6 potentissima persuasione sia, a rendere l'uditore attento, promettere di dire nuove e grandissime cose; IV XII 1 e 4, XVIII 3, XXII 1; Pg VIII 7) o da un complemento: lf XVI 29 miseria d'esto loco sollo / rende in dispetto noi, " rende spregevoli ".
Per dire che gli eretici, con le loro erronee interpretazioni, alterano il vero significato delle Sacre Scritture, D. ricorre a un'immagine rara e non del tutto perspicua: quelli stolti / ... furon come spade a le Scritture / in render torti li diritti volti (Pd XIII 129). " Mutilavan la Bibbia e la storcevano ", spiega il Tommaseo, implicitamente attribuendo a render il senso di " far diventare "; più persuasivamente la maggior parte dei commentatori vede nella metafora un'allusione al fenomeno ottico della lama delle spade, la quale, per esser concava, " riflette " deformati i tratti del volto.