Serra, Renato
Critico letterario e scrittore (Cesena 1884 - Podgora 1915). Saggista tra i più acuti della sua generazione, legato a una disamina di tutta la letteratura e della condition humaine a lui contemporanea (da Pascoli a D'Annunzio fino ai temi della guerra e della solitudine dell'uomo moderno: e basti il ricordo di Le lettere, 1914, e dell'Esame di coscienza di un letterato, 1915), si occupò di D. solo in un periodo (1902-1904) della sua precocissima formazione. Giovane liceale allievo di un dantista come Emilio Lovarini e poi studente nella Bologna di Carducci, Ferrari, Acri, Albini e Puntoni - maestri ricordati sempre con ammirazione nelle opere e nell'Epistolario - il S. si accostò alla Commedia con gli strumenti ermeneutici della scuola storica, subendo però, fortissimo, l'influsso dell'esegesi dantesca del Pascoli.
Il magistero del Lovarini e del Carducci è dominante nel suo primo lavoro dantesco Su la pena dei dissipatori (Inferno, c. XIII, vv. 109-129), in " Giorn. stor. " XLIII (1904), in gestazione fin dal 1902, se stiamo a una significativa lettera alla madre (Epist., p. 17).
La tesi erudita del saggio è un parallelo suggestivo tra la pena dei dissipatori e la leggenda medievale della " caccia feroce ". Più degli evidenti calchi da tematiche care a un Graf (Miti, leggende e superstizioni del Medioevo), mette conto notare in queste paginette assai limpide la polemica, garbatissima, verso lo stile ermeneutico del Pascoli accusato di allegorismo criptico e geroglifico nell'esegesi dello stesso passo prescelto dal giovane S. (cfr. Sotto il velame, Messina 1900, 454; La mirabile visione, ibid. 1902, 555 ss.). Verso il poema dantesco, il S. sceglie l'approccio più sicuro, che postula matrici allegoriche, ma vi aggiunge tradizioni popolari e la convinzione che il poeta " dové lavorare la sua materia liberamente, senz'altra norma o freno che quella dell'arte ". Tesi che il critico, se stiamo alle testimonianze del Grilli e del Lovarini, doveva sviluppare in un saggio più vasto dedicato all'esegesi dantesca in rapporto al Pascoli (un cenno in Epist., p. 48).
I complessi lavori dedicati alla tesi di laurea - che segue, si noti, lo scritto dantesco - non si collocano poi troppo lontani da questo tema poesia-allegoria. L'argomento prescelto, i Trionfi del Petrarca (di gusto carducciano: di quei tempi le ricerche del Carducci e di Severino Ferrari, che dovevano portare al mirabile commento alle Rime petrarchesche), si prestava a excursus su tutta la letteratura allegorica dalla Commedia all'Amorosa visione. Il risultato, la dissertazione Dei " Trionfi " di Francesco Petrarca discussa dal S. con Giuseppe Albini il 28 novembre 1904, fu, per certi aspetti, superiore ai dubbi del giovane studioso. Nel lavoro, che ebbe le lodi della commissione e l'attenzione del Ferrari (Epist., p. 54-55), s'incontrano, specialmente nel capitolo VI (I " Trionfi " e la Commedia), osservazioni dantesche di qualità, sul canto V dell'Inferno, a esempio, e sul passaggio di talune matrici lessicali da D. a Petrarca. La ricerca, degna di pubblicazione a stampa (che avvenne purtroppo tardi, con valore postumo di omaggio a un grande scomparso: cfr. R.S., " Dei Trionfi " di F. Petrarca, Bologna 1929), era però più l'atto di congedo che non di nascita di un dantista. Malgrado le pressioni insistenti del Lovarini (" invano lo incoraggiai insistentemente a seguitare; invano anche aspettai da lui una compiuta disamina dell'opera esegetica del Pascoli " [Nella morte di R.S., Firenze 1915]), il S. si allontanò sempre più dalla letteratura medievale e dantesca, anche se, certamente, qualcosa degli appunti danteschi-pascoliani passarono nel celebre saggio sul poeta di Myricae (1909).
Il grande debito non pagato (uno dei tanti di questo critico difficile) lascia però ancora tracce nell'Epistolario: vi si parla di " quel vecchio Dante che è sempre nuovo per chi l'ama " (p. 196) e si tenta anche un'autoanalisi di quest'abbandono certo doloroso. Vale la pena di ascoltarne alcune righe che toccano il patetico: " E davvero, per tanti anni e per tante mutazioni del mio spirito, l'amore verso Dante (del quale tutte le prime e più vivaci faville debbo pur riconoscere dal suo insegnamento) non è cambiato in me; se anche sembri operare in un modo un po' diverso. Sognavo... di diventare un gran dantista; ora son contento di essere un dilettante discreto: ma non credo che né io né altri abbia perduto al cambio " (pp. 195-196).
Bibl. - Il saggio su D. e la tesi di Serra sono ora raccolti in R. S., Scritti, a c. di G. De Robertis e A. Grilli, II, Firenze 1958, 1-146; per gli altri cenni vedi R.S., Epistolario, a c. di L. Ambrosini, G. De Robertis e A. Grilli, ibid. 1953. Per la cultura bolognese del S. e i suoi rapporti col mondo carducciano: E. Raimondi, Il lettore di provincia. R.S., Firenze 1964.