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RANUCCI, Renato

di Rodolfo Sacchettini - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 86 (2016)
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RANUCCI, Renato

Rodolfo Sacchettini

RANUCCI, Renato (Renato Rascel). – Nacque a Torino il 27 aprile 1912. Debuttò ancora bambino a fianco del padre, Cesare Ranucci, cantante di operetta e direttore della filodrammatica Fortitudo. Sua madre, Paola Massa, era invece ballerina classica.

A quindici anni, sotto lo pseudonimo Sunny Boy, entrò a far parte del piccolo gruppo musicale Arcobaleno, impegnato nelle sale da ballo romane. Fu ingaggiato poi, con il nome di Harry Laven, per accompagnare le soubrette, travestendosi da gaucho, torero, ussaro, fino a partecipare alle prime riviste di avanspettacolo con le sorelle Di Fiorenza.

Agli inizi degli anni Trenta scelse per sé il nome d’arte di Rascel (da una cipria francese all’epoca molto famosa) e il 24 febbraio del 1933 esordì, con apprezzamenti della critica per le sue doti acrobatiche, al teatro lirico di Milano, nell’operetta Al Cavallino Bianco, messa in scena dalla compagnia dei fratelli Schwartz, prima vera occasione per cominciare a creare una sua maschera originale, che si allontanò rapidamente dagli schematismi dell’epoca, per avvicinarsi a un pubblico giovane, in maggioranza composto da studenti.

Durante gli anni Trenta, Rascel, piccolo di statura e minuto, si presentò sul palco del teatro di rivista sempre con abiti e palandrane troppo lunghe, accentuando un carattere infantile, surreale e malinconico, dando così vita a una nuova comicità, costruita anche tramite una lingua ricca di giochi di parole, associazioni a tratti assurde, frequenti invenzioni linguistiche e una rapidità ritmica che stupì il pubblico per le continue trovate e per le inaspettate improvvisazioni. Rascel indossò i panni di un personaggio, con il quale sempre si sarebbe identificato, ingenuo e puro, dall’aria stralunata e sognante, capace di mostrare ridicola la cattiveria e le comuni regole di sopraffazione della realtà circostante, e di farsi ascoltare non a forza di urli e gesti sguaiati, ma sussurrando, come piccolo, solitario e irriducibile poeta, in stile gozzaniano.

Compose stravaganti filastrocche, dai titoli bizzarri, che attirarono le ostilità del regime per le supposte allusioni (Mi chiamo Viscardo, La canzone del baffo, Torna a casa che mamma ha buttato la pasta, La canzone della zanzara tubercolotica). In particolare nel 1939 ebbe molto successo È arrivata la bufera, canzone che ironicamente segnala l’approssimarsi degli eventi bellici, nata da uno scambio di battute con Italo Balbo in Africa, dove Rascel si trovava in tournée.

Divenuto capocomico a partire dal 1941, per dieci anni, prima di approdare alle commedie musicali, fu intensamente impegnato nell’avanspettacolo e nel teatro di rivista, con la nuova macchietta ‘Il piccolo corazziere’ (spada e pennacchio lunghissimi a fronte della bassa statura), e interpretò testi scritti, spesso appositamente per lui, da Michele Galdieri, Nelli & Mangini, Alfredo Polacci e altri.

Nel 1942 debuttò al cinema, con poco successo, in Pazzo d’amore di Giacomo Gentilomo su soggetto di Vittorio Metz. Durante la lavorazione del film conobbe Tina De Mola, sua futura moglie. Negli anni successivi da protagonista interpretò: un umile ragioniere innamoratosi di un’altissima ballerina in Marakatumba… ma non è una rumba! (1949) di Edmondo Lozzi, nel quale compaiono alcuni dei suoi sketch più riusciti; un omino candido che si arrabatta come può per sopravvivere e riesce a evitare il suicidio dell’amata Gina (Lollobrigida) in Amor non ho… però, però (1951) di Giorgio Bianchi; un giovane che viene scambiato per un pericoloso rivoluzionario sudamericano in Io sono il Capataz (1951) di Giorgio Simonelli. In parti minori partecipò anche a Figaro qua… Figaro là (1950) di Carlo Ludovico Bragaglia con Totò; Botta e risposta (1950) di Mario Soldati; Bellezze in bicicletta (1951) di Carlo Campogalliani. Tre film di grande successo popolare, nei quali Rascel fu chiamato a rivisitare i suoi numeri teatrali, come accadde anche in Napoleone (1951) di Carlo Borghesio, nel quale Rascel tornò protagonista con la sua macchietta: la carriera del grande imperatore si trasforma così nel frutto di assurde coincidenze, con grandi effetti comici.

Per il Piccoletto, nomignolo con il quale Rascel veniva chiamato da tutti, il 1952 fu l’anno della consacrazione sia al cinema sia in teatro. Prima uscì L’eroe sono io! di Bragaglia, nel quale Rascel interpretava un gelataio che corteggia le ragazze nel parco di Villa Borghese, è invidioso del successo dei divi cinematografici e dopo una serie di rocambolesche avventure da cinema muto si ritrova – motivo ricorrente nel suo personaggio – eroe per caso; poi fu impegnato nella farsa western Il bandolero stanco di Fernando Cerchio, ancora con la riproposizione di sue macchiette.

La svolta arrivò con Il cappotto, diretto da Alberto Lattuada e sceneggiato, tra gli altri, da Luigi Malerba, Giorgio Prosperi e Leonardo Sinisgalli. È considerato il primo film italiano che si svincola dal neorealismo, assumendo caratteri ironici e grotteschi, in linea con il racconto di Nikolaj Gogol′. La raffinata regia di Lattuada trasmette una visione pessimista della realtà, velata di malinconia, dentro la quale si scoprono le nuove doti di Rascel, accostato da molti critici alla miglior tradizione chapliniana. Rascel interpreta un umile scrivano comunale, oppresso dalla miseria, che compra, con molti sacrifici, un cappotto, sperando in un avanzamento di carriera. Dopo innumerevoli commedie brillanti di mediocre fattura, Rascel rivelò qui per la prima volta un talento drammatico originale, riuscendo a toccare, anche in una cornice grottesca, corde patetiche e commoventi, stupendo il pubblico e la critica, sfiorando la vittoria al festival di Cannes, ottenendo il Nastro d’argento come miglior interpretazione.

Nello stesso anno, su toni notevolmente più leggeri, arrivò la consacrazione anche in teatro e il sodalizio con Pietro Garinei e Sandro Giovannini. Il 15 dicembre 1952 al Teatro Sistina di Roma andò in scena Attanasio cavallo vanesio, un ibrido tra musical americano e rivista teatrale, considerato la prima commedia musicale italiana, cui seguì Alvaro piuttosto corsaro (1953). Il grande successo spinse la produzione a realizzare per entrambe le commedie una trasposizione cinematografica con la regia di Camillo Mastrocinque (1953 e 1954), sulla scia di molti film che raccontavano il vivo mondo dell’avanspettacolo e della rivista. Le due opere furono considerate vere e proprie ‘riviste filmate’, per la fedeltà all’originaria rappresentazione in teatro, oggi di grande interesse documentario.

Successivamente, raggiunta vasta popolarità, Rascel decise di intraprendere l’avventura del teatro di prosa, fondando la compagnia Teatro del Piccolo. Ma l’esperienza durò poco, poiché Rascel si rese conto presto di essere meno adatto alle dinamiche teatrali più tradizionali, tornando così già dal 1957 alla commedia musicale con Giovanna Ralli in Un paio d’ali, fino ad Alleluja brava gente (1970). Riprese l’attività teatrale nella seconda metà degli anni Sessanta (tra gli spettacoli: La strana coppia, 1966, di Neil Simon; Finale di partita, 1986, di Samuel Beckett, entrambi in coppia con Walter Chiari).

Sul versante cinematografico l’anno seguente al successo del Cappotto, rispondendo all’invito dell’amico Turi Vasile fu protagonista di Ho scelto l’amore, film di esplicita propaganda anticomunista, che uscì nelle sale poche settimane prima delle elezioni. Nello stesso anno esordì nella regia con il modesto film La passeggiata, ancora da un racconto di Nikolaj Gogol′, cui seguirono molte partecipazioni, anche se complessivamente meno significative, e alcune parodie (Rascel Fifì, 1957 e Rascel marine, 1958, entrambi di Guido Leoni; Tempi duri per i vampiri, 1959, di Steno), prima di riuscire in una nuova importante interpretazione, dalla natura più complessa, con Policarpo ufficiale di scrittura (1959), ultimo film di Mario Soldati. Nella Roma dei primi del Novecento Rascel è un umile e pignolo scrivano ministeriale, avversato dal capoufficio e impaurito dall’arrivo della macchina da scrivere. Il film, di comicità discreta, malinconico e curioso, per la sfilata di noti attori del momento, ebbe un ottimo riscontro di pubblico e di critica, e permise a Rascel di vincere il David di Donatello come miglior attore protagonista. Negli anni Sessanta Rascel diminuì progressivamente le sue partecipazioni cinematografiche, che furono più modeste: si ricordino Gli attendenti (1961) di Giorgio Bianchi, The secret of santa Victoria (1969; Il segreto di Santa Vittoria) di Stanley Kramer, Il trapianto (1970) di Steno. Intanto, dopo essersi lasciato definitivamente con Tina De Mola, sposò in seconde nozze Huguette Cartier, dalla quale divorziò pochi anni dopo, unendosi poi in matrimonio con Giuditta Saltarini (1980).

In parallelo a teatro e cinema, Rascel, talento poliedrico, fu abile a utilizzare anche televisione e radio, mezzi capaci di renderlo familiare a un pubblico amplissimo. Come attore radiofonico iniziò nella riduzione delle Avventure del Barone di Münchhausen (1952), poi nello stesso anno partecipò a Una domanda di matrimonio, da un testo di Anton P. Čechov e fu autore di Artemisio, bidello al ginnasio (1953). Nel corso degli anni divenne presenza regolare nei programmi radiofonici di intrattenimento e di prosa.

Il debutto in televisione, con un programma tutto suo, fu nel 1955 con ’Na voce, ’na chitarra e un po’ di Rascel, solo un anno dopo l’inizio ufficiale delle trasmissioni. Seguì Rascel la nuit (1956) e Stasera a Rascel City (1958). Dopo varie riprese televisive di commedie musicali (Enrico ’61, 1964) e dopo aver portato sul piccolo schermo autori francesi come Georges Courteline (Les Boulingrin, 1967) ed Eugène Ionesco (Delirio a due), fu protagonista, affiancato da Arnoldo Foà, dello sceneggiato televisivo I racconti di Padre Brown, per la regia di Vittorio Cottafavi, tra i programmi più visti nel 1971.

La carriera musicale di Rascel corre lungo tutta la sua vita, tra filastrocche a tratti surreali e brani melodici, punteggiata da grandi successi come cantante e compositore di oltre centocinquanta canzoni. Dopo È arrivata la bufera (1939), Rascel raggiunse una fama internazionale con Arrivederci Roma (1954), scritta assieme a Garinei & Giovannini, tra le canzoni italiane più conosciute all’estero. Nel 1960 compose Romantica, eseguita da lui stesso in modo sussurrato e ‘urlata’ da Tony Dallara, che vinse la decima edizione del Festival di Sanremo.

Morì a Roma il 2 gennaio 1991.

Fonti e Bibl.: M. Morandini, Sessappiglio. Gli anni d’oro del teatro di rivista, Milano 1978; L. Garinei - M. Giovannini, Garinei e Giovannini presentano. Quarant’anni di teatro musicale all’italiana, Milano 1985; Il Dizionario della canzone italiana, a cura di G. Castaldo, Milano 1990, pp. 1435-37; TuttoRascel, a cura di G. Governi - G. Saltarini, Roma 1993; E. Giacovelli, Non ci resta che ridere: una storia del cinema comico italiano, Torino 1999, pp. 56-57; D. Palattella, Arrivederci Rascel: vita e miracoli di un vero artista, Pozzuoli 2013.

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