MAZZACURATI, Renato Marino (Marino). – Nacque a San Venanzio di Galliera, in provincia di Bologna, il 22 luglio 1907, primogenito di Pietro, imprenditore edile, e di Adalgisa Maria Stefani, originaria di Cavarzere (Venezia)
Subito dopo la sua nascita la famiglia si trasferì a Padova; e il M. fu mandato più tardi nel collegio S. Luigi dei padri barnabiti a Bologna. Espulso per cattiva condotta, seguitò a studiare privatamente a Padova sotto la guida di Fruttuoso Merlin e nel 1922, appena quindicenne, iniziò a frequentare la scuola libera del nudo dell’Accademia di belle arti di Venezia. Intanto nelle botteghe artigiane di Padova e con lo zio Umberto, esperto intagliatore, andava maturando una profonda conoscenza delle diverse tecniche artistiche.
Sempre a Padova nei primi anni Venti il M. strinse amicizia con i pittori Dino Lazzaro e Antonio Morato, con i quali andava a dipingere in campagna, e con Wart Arslan, studioso di storia dell’arte. Quest’ultimo iniziò a interessarsi al suo lavoro e tra i due venne consolidandosi un’amicizia durata tutta la vita, testimoniata da un importante carteggio (Milano, Civica Biblioteca d’arte del Castello Sforzesco, Fondo Arslan).
Nei primi mesi del 1925 il M. soggiornò brevemente a Roma, dove ebbe occasione di visitare la III Biennale romana e di vedere, tra l’altro, le personali di Carlo Carrà e Arturo Martini, esponenti di un gusto arcaico-mitico di grande presa sulle nuove generazioni. Tornato a Padova, nel maggio del 1926 il M. presentò alla IV Esposizione d’arte delle Tre Venezie, allestita a Padova nel salone della Ragione, due dipinti, Uragano e Paesaggio primaverile (di ubicazione ignota: catal., tav. 10); e in luglio a Venezia partecipò alla XVII Esposizione dell’Opera Bevilacqua La Masa con il dipinto Sobborgo.
Questi primi saggi pittorici rivelano in particolare l’attenzione ai paesaggi di Carrà, dei quali riprendono la ricerca di un naturalismo sublimato nell’equilibrio tra il sentimento atmosferico, derivato dal dipingere la natura en plein air, e la volontà di conferire sintesi, ordine plastico e nitidezza all’immagine (ripr. in M. e gli artisti…, 1988, pp. 13, 96 s.).
Presumibilmente poco prima della partenza per Roma, dunque in un momento cruciale della sua vita, dipinse l’Autoritratto (firmato e datato 1926: Reggio Emilia, Civici Musei) nel quale appare con un’espressione inquieta sul volto teso e scavato, reso con forti contrasti tra luci e ombre, quasi teatrali, secondo uno stile che denuncia la vicinanza al clima del «realismo magico» del gruppo del Novecento italiano.
Si trasferì a Roma dopo l’estate; e nella capitale affrontò con successo l’esame di ammissione alla scuola libera del nudo, annessa all’Accademia di belle arti di via Ripetta. Anche Arslan giunse a Roma nell’autunno del 1926 per frequentare il corso di perfezionamento in storia dell’arte e fu lui a presentargli il pittore romano Francesco Di Cocco (M. Fagiolo dell’Arco - V. Rivosecchi, Scipione, Torino 1988, p. 61), con cui avrebbe instaurato un legame fondamentale per la sua formazione.
Nei primi anni romani lavorò, infatti, con Di Cocco, orientato verso un primitivismo di matrice novecentista, nello studio che quest’ultimo condivideva con lo scultore A. Martini a villa Strohl-Fern.
Frequentando la scuola libera del nudo conobbe, tra l’autunno e l’inverno 1926-27, prima Gino Bonichi (Scipione), poi Mario Mafai e Antonietta Raphaël. Fra loro nacque un sodalizio che la storiografia ha poi indicato come «Scuola di via Cavour»; ma è soprattutto con Scipione che il M. stabilì una profonda amicizia, proseguita nei frequenti periodi di assenza da Roma attraverso un’importante corrispondenza.
Il M. giunse infatti nella capitale con un bagaglio di conoscenze tecniche che, nel clima generale del «ritorno al mestiere», affascinò Di Cocco, Scipione e Mafai, con i quali studiava nella Biblioteca di storia dell’arte di palazzo Venezia. Nel 1932, ricordando in una lettera del 18 ottobre questi anni, Scipione scriveva: «Carissimo Mazzacurati […]. La quasi nostra identità di vedute dimostra che in sostanza non dobbiamo dimenticare che io, te e Mafai siamo partiti insieme e ci siamo intrisi delle stesse cose. […]. Io sento che il nostro gruppo si riformerà come eravamo insieme in partenza» (M. e gli artisti…, 1988, p. 22).
Nel corso del 1927 il M. ampliò le proprie conoscenze entrando in contatto con Ferruccio Ferrazzi, con altri pittori di villa Strohl-Fern, tra i quali Gisberto Ceracchini, Virgilio Guidi, Francesco Trombadori, Carlo Socrate, con lo scultore Quirino Ruggeri, con Emanuele Cavalli e con Giuseppe Capogrossi, già amici di Di Cocco e, più tardi, con Corrado Cagli. Iniziò anche a frequentare le riunioni di artisti e letterati nella terza saletta del caffè Aragno.
In maggio a Padova presentò nella V Esposizione d’arte delle Venezie uno Studio nella sezione Bianco e nero. Intanto nell’atelier di villa Strohl-Fern stava lavorando a un soggetto biblico, l’Incontro di Giacobbe e Rachele che, all’inizio del 1928, inviato alla XVI Biennale di Venezia, venne rifiutato dalla giuria d’accettazione.
L’opera, acquistata poi da Arslan, mostrava nella fissità ieratica delle figure e nel paesaggio di gusto arcaico di aver fatto proprie suggestioni stilistiche tratte da Di Cocco e da Ceracchini (collezione privata: ibid., p. 15).
Dopo l’estate il M. si recò a Bologna per eseguire alcuni ritratti su commissione e conobbe il giovane Leo Longanesi.
Tornò a Roma alla fine del 1927 e il 2 apr. 1928 Di Cocco e Cavalli lo invitarono a raggiungerli a Parigi per formare un gruppo, così da imporsi più facilmente sulla scena artistica della capitale francese; ma il M. scelse di restare a Roma, dove si trattenne fino all’estate.
La questione del viaggio a Parigi, tuttavia, appare problematica, perché se è certo che l’artista si recò in questi anni, almeno una volta, nella capitale francese, è difficile stabilire con esattezza quando, visto che lo stesso M. ha fornito in proposito indicazioni diverse, fissando talvolta il soggiorno al 1928 altre volte al 1931. Se però si considerano gli impegni e gli spostamenti documentati dalle lettere è più probabile che il viaggio sia avvenuto un po’ dopo, verso il 1932-33 o il 1933-34.
Nel settembre 1928 si recò a Gualtieri, un paese della Valpadana in provincia di Reggio Emilia, dove la famiglia si era intanto trasferita per seguire il lavoro del padre, stabilendosi a villa Malaspina. Qui il M. ebbe un ampio studio in cui lavorò per alcuni anni, dipingendo i paesaggi della Bassa reggiana, la campagna che costeggia il Po, i contadini al lavoro, gli alberi della villa e ritraendo vari conoscenti. Alcuni paesaggi e nature morte dipinti tra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta richiamano il tonalismo morandiano. Durante l’inverno 1928-29 a Gualtieri ebbe luogo l’incontro con Antonio Ligabue che il M. fu tra i primi ad aiutare materialmente, ospitandolo a villa Malaspina e incoraggiandolo nella pittura.
Alla fine di gennaio del 1929, tornato brevemente a Roma per passare la terza visita militare, realizzò il Ritratto di Scipione (Roma, collezione Claudio ed Elena Cerasi: ripr. in Scuola romana e Novecento italiano… Collezione Claudio ed Elena Cerasi, a cura di V. Rivosecchi, Ginevra-Milano 2007, pp. 36 s.).
Il volto sereno, reso attraverso un incarnato morbido e sfumato, appare rivisitare la pittura francese dell’Ottocento. L’opera fu presentata alla fine di maggio a Roma nella CLIX Mostra della casa d’arte Bragaglia. La collettiva rappresentò la prima e unica volta in cui il M. espose accanto agli amici Di Cocco, Scipione, Mafai e Antonietta Raphaël.
In giugno a Padova partecipò alla II Mostra d’arte triveneta, presentando due paesaggi e un ritratto.
Il 4 luglio Arslan recensì la collettiva nel Corriere della sera e, soffermandosi in particolare sul ritratto eseguito dal M., una figura femminile a mezzo busto costruita sui toni del grigio, evocò prima i nomi di C. Corot, E. Degas e G. Courbet giovani e infine quello di Masaccio. Il M. ottenne un successo inatteso: il ritratto, di ubicazione ignota (ripr. in M. e gli artisti…, 1988, p. 102), fu acquistato dallo scultore Antonio Maraini, commissario nazionale del Sindacato di belle arti e segretario generale della Biennale di Venezia; mentre i due paesaggi vennero comprati da Arslan e da un collezionista veneziano.
Tra la primavera e l’estate del 1930 andò a Milano, dove conobbe Carlo Conte, Edoardo Persico, Peppino Ghiringhelli, Angelo Del Bon e prese accordi per collaborare all’attività della galleria Il Milione. Tuttavia, tornato a Gualtieri, abbandonò progressivamente il progetto e, incalzato dalle lettere di Scipione, che reclamava la sua presenza a Roma, alla fine di gennaio del 1931 tornò nella capitale, dove intanto, il 3 gennaio, era stata inaugurata la I Quadriennale nazionale d’arte, manifestazione che interveniva a spostare il baricentro artistico da Milano a Roma. Conobbe allora, con Scipione, Renato Guttuso e il poeta Libero De Libero.
In giugno, con tre mesi di ritardo sulla data stabilita, uscì a Roma il primo numero della rivista bimestrale d’arte e letteratura Fronte, ideata con Scipione ma diretta dal solo M., allora ventiquattrenne. Il secondo e ultimo numero uscì in ottobre, affidato all’amico Luigi Diemoz. La rivista, infatti, era finanziata dal M., che in estate si trovò improvvisamente in difficoltà a causa del fallimento dell’impresa paterna e dovette rientrare a Gualtieri, dove nell’agosto 1931 sposò Pia Dall’Aglio.
Ai due fascicoli della rivista collaborarono con saggi, poesie e racconti, artisti, letterati e poeti di primo piano, tra cui Carrà, Alberto Savinio, Alberto Moravia, Vincenzo Cardarelli, Giuseppe Ungaretti. Vennero inoltre illustrate, tra le altre, opere dello stesso M., di Q. Ruggeri, Morandi, Scipione, Mafai, Martini, Ernesto De Fiori, Marino Marini. Con questi ultimi tre in particolare il M. scultore mostrerà in futuro una certa affinità, nell’assenza di retorica e nella semplicità del linguaggio plastico.
Risalgono a questo periodo anche le tavole eseguite dal M. per illustrare i Canti orfici di Dino Campana, impresa poi non realizzata.
Dopo il tracollo finanziario il periodo dal 1931 al 1937 fu difficile. Il M. condusse una vita appartata, restando per lo più a Gualtieri, a parte qualche breve viaggio a Roma e Milano, e un probabile soggiorno a Parigi, dove forse ammirò le sculture di A. Rodin e A. Maillol. A Gualtieri nacquero entrambi i suoi figli: il 25 marzo 1932 Pietro (Piero) e il 9 maggio 1935 Maria Rosa (Rosy). Sempre a Gualtieri nel novembre 1933 lo raggiunse la notizia della morte prematura di Scipione.
In questi anni di incertezza e di travaglio esistenziale continuò a dipingere; ma, spinto da necessità economiche, mise a frutto la solida formazione artigiana, realizzando busti commemorativi e dedicandosi alla scultura funeraria. Si perfezionò così nell’arte del ritratto, ispirato a un vigoroso realismo, che in seguito lo renderà un ritrattista assai apprezzato anche dalla critica. A questo periodo risalgono opere più impegnative, come la statua di Caino (1933 circa) in gesso, che mostra la suggestione di un dinamismo inquieto, di matrice scipionesca, unito a una fattura rodiniana (collezione privata: ripr. in M. e gli artisti…, 1988, tav. XXIX, p. 71).
Nel 1936 il M. andò a lavorare ad Aurelia, frazione di Civitavecchia. A Roma tra l’autunno e il gennaio 1937 collaborò all’esecuzione della grande pittura murale sul tema del Trionfo di Cesare, commissionata a Mafai per la casa della Gioventù italiana del littorio. In aprile riprese anche a esporre, partecipando con due quadri di natura morta alla VII Mostra del Sindacato di belle arti del Lazio.
Il 1938 segnò il definitivo rientro del M. nell’ambiente artistico romano. Su commissione pubblica realizzò la statua del Giocatore di tamburello per il Circolo del tennis al foro Mussolini. Ebbe inoltre l’incarico di eseguire un busto di Goethe per l’Accademia tedesca in occasione della visita di A. Hitler a Roma. In maggio si presentò con due dipinti, tra cui un intenso Autoritratto, all’VIII Mostra del Sindacato fascista di belle arti del Lazio (ubicazione ignota: ripr. in Ruscio, 1998, p. 15). All’inizio dell’estate si trasferì definitivamente nella capitale, dove già da qualche tempo aveva un piccolo studio in via Margutta e dove ottenne una cattedra per l’insegnamento di plastica al liceo artistico di via Ripetta.
Nel gennaio 1941 espose due disegni nella Mostra di disegni alle Terme. Strinse inoltre amicizia con Mino Maccari.
Nel marzo 1942 partecipò con Franco Gentilini, Rolando Monti, Aldo Natili e Giovanni Stradone alla LIV Mostra della Galleria di Roma organizzata dalla Confederazione fascista di professionisti e artisti, presentando per la prima volta la sua produzione scultorea.
Espose nove bronzi (Meticcia, Il campione Rossetti, Nudo, Cavaliere arabo, i ritratti di Mario Agatoni, Alfonso Gatto, Alberto Moravia, Vasco Pratolini e del Conte N.), due terrecotte (Ritratto del Conte N.R., Le amiche), due cere (Ritratto di Mario Rivosecchi e Donna allo specchio), un legno (Maddalena) e venti disegni. Sempre come scultore partecipò con un ritratto alla X Mostra del Sindacato fascista di belle arti del Lazio, inaugurata in aprile; e poi, nel maggio 1943 alla IV Quadriennale d’arte di Roma, dove espose due ritratti e un nudo.
Nell’aprile 1942 morì in guerra il fratello Giorgio, sommergibilista.
A quest’anno risale la prima serie degli Imperatori (1942-45), bronzetti nei quali un’accentuata vena grottesca e caricaturale, memore dell’opera scultorea di H. Daumier, diviene manifesta critica sociale.
Dopo aver trascorso a Guastalla i mesi estivi, ai primi di ottobre del 1943 cercò di rientrare a Roma con la moglie; ma alla stazione di Bologna furono sorpresi da un bombardamento violento. Si salvarono, ma rimasero scioccati dal terribile massacro al quale avevano assistito. In novembre comunque il M. era a Roma e nella sua casa vennero ospitati antifascisti costretti alla clandestinità, depositati materiali di propaganda, stampati manifestini e organizzate riunioni. La volontà di denuncia degli orrori della guerra trovò espressione in una serie di disegni a china sul tema dei Massacri. È in questo clima che il 23 ag. 1944, nei locali della Galleria di Roma fu inaugurata la mostra collettiva «Arte contro la barbarie», organizzata dal quotidiano L’Unità, in cui il M. espose dodici disegni.
Tra il 1944 e il 1946 collaborò con il laboratorio di arti applicate di Enrico Galassi, realizzando cartoni per mosaici.
Nel dopoguerra il M. fu tra i primi, con Leoncillo Leonardi e Guttuso, a occupare i locali del pensionato dell’Accademia tedesca di villa Massimo, lasciati liberi dai tedeschi, per installarvi il proprio studio, che tenne fino al 1957. In seguito, come Leoncillo e Antonietta Raphaël, prese uno studio in via degli Orti della Farnesina, nei pressi di ponte Milvio.
Una vena satirica, tra espressionismo e neocubismo, ispira le chine, gli inchiostri e le tempere dell’immediato dopoguerra. Dalla seconda metà degli anni Quaranta e nel corso dei Cinquanta l’attività espositiva si fece sempre più intensa: a Roma nel marzo 1948 ottenne il primo premio alla III Mostra nazionale d’arte ispirata allo sport ed espose cinque sculture nella Rassegna nazionale di arti figurative. In estate prese parte, per la prima volta, alla XXIV Biennale di Venezia, presentando cinque sculture; tornò a esporre alle successive edizioni della rassegna.
Dalla fine degli anni Quaranta, e per tutto il corso dei Cinquanta, il M. realizzò soprattutto opere figurative, ma non tralasciò di misurarsi anche con ricerche astratte. Comunque, all’opposto di quanto aveva sostenuto A. Martini in Scultura lingua morta (s.l. 1945), la sua convinzione era che la scultura avesse una destinazione pubblica; e perciò la sua produzione plastica si orientò sempre più verso la concezione del monumento collegato alla storia recente e all’esperienza della Resistenza.
Nei primi mesi del 1951 fu tra i sessanta artisti che presero parte a Roma alla seconda edizione della mostra «Arte contro la barbarie» organizzata nel clima della guerra fredda; il M. espose un bassorilievo in gesso del 1947 intitolato Apocalisse (collezione privata: ripr. in M. e gli artisti…, 1988, p. 117).
Nel 1956, presentato in catalogo da V. Martinelli, ebbe una sala personale alla XXVIII Biennale di Venezia, dove espose un cospicuo nucleo di sculture e ottenne il premio internazionale del Senato della Repubblica Italiana. Il 30 giugno 1956 fu inaugurato a Parma il Monumento alla Resistenza italiana (1954-56), progettato in collaborazione con l’architetto Guglielmo Lusignoli.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta si dedicò soprattutto alla scultura monumentale, realizzando per il governo libanese a Beirut, con l’architetto Giuseppe Persichetti, il Monumento allo statista libanese Riad el Solh (1956-57) e il Monumento ai Martiri ed alla Indipendenza del Libano, inaugurato nel maggio 1960. Tra il 1959 e il 1960 con Persichetti progettò anche il Monumento alla Resistenza per la città di Udine, mai realizzato, e portò a termine il Monumento alla Pace e ai Caduti di tutte le guerre di Sansepolcro.
Nel 1961 ad Agrigento si occupò della sistemazione dell’urna con le ceneri di Luigi Pirandello, secondo la volontà testamentaria del drammaturgo. Nel corso degli anni Sessanta il M. continuò a dedicarsi anche alla progettazione di monumenti (Palermo, Mantova), tra cui spicca il Monumento alle Quattro giornate di Napoli, concepito con Persichetti nel 1964, in ricordo dell’insurrezione popolare del 28 sett. 1943, e inaugurato a Napoli nell’estate 1969. Nel 1965 vinse il concorso internazionale per il Monumento alla Resistenza di Mantova, realizzato nel 1967 in collaborazione con il figlio architetto Pietro.
Il 6 giugno 1962 inaugurò a Roma, nei locali della galleria La Nuova Pesa, la sua prima mostra antologica con lavori dagli anni Trenta agli anni Cinquanta.
Scelse di presentarsi da solo e nel lungo testo in catalogo scrisse: «Qualche volta, per mia ostinazione a rifiutare l’unilateralità dei mezzi di espressione, sono stato accusato di eclettismo. È una accusa che non mi spaventa: la cultura può essere eclettica, l’ignoranza mai. Ma voglio difendermi. Ognuno di noi ha una lunga esperienza storica ed è questa che determina il suo atteggiamento di fronte agli eventi […]. Ogni evento colpisce in noi certi valori profondi dell’esperienza storica, e da quei valori colpiti, per analogia o per contraddizione, sorgono le nostre reazioni […] può essere la zona dell’esperienza classica o di quella romantica, dei ricordi più arcaici o delle utopistiche previsioni […]. Con questo argomento spiego a me stesso il “mistero” di un Mazzacurati ora espressionista, ora realista, ora astratto» (in R.M. M. [catal., galleria La Nuova Pesa], Roma 1962).
Nel 1965 fu eletto accademico corrispondente di S. Luca. Il 26 apr. 1966 gli venne conferito dal presidente della Repubblica G. Saragat il premio nazionale di scultura per il 1965. Per l’occasione il 27 aprile, presso l’Accademia nazionale di S. Luca, fu allestita una antologica con dipinti, sculture, disegni e incisioni eseguiti dall’artista a partire dal 1929. Negli ultimi anni il M. insegnò scultura all’Accademia di belle arti di Napoli.
Il M. morì il 18 sett. 1969 a Parma, città della quale era divenuto cittadino onorario. Venne sepolto nel locale cimitero dei Partigiani.
Nel 1974 Carla Marzi, che era divenuta la compagna del M., donò al Comune di Reggio Emilia l’archivio e centoventi opere dell’artista che, insieme con altre opere acquisite in seguito dai Musei civici della città (1993, 2000, 2001), costituiscono il Museo Renato Marino Mazzacurati.
Fonti e Bibl.: V. Martinelli, Scipione e R. M. pittore…, in Studi di storia dell’arte in onore di V. Viale, Torino 1967, pp. 98-107; R. Alberti et al., Omaggio a M. (catal.), Teramo 1971; XXX della Resistenza. M. M.… Opere antifasciste (catal.), Reggio Emilia 1974; G. Ambrosetti - C. Marzi, M. R.M. 1907-1969 (catal.), Reggio Emilia 1983; M. e gli artisti di «Fronte» (catal.), a cura di S. Lux - I. Venafro - C. Mazzenga, Roma 1988; S. Lux - I. Venafro - C. Mazzenga, Fronte. Documenti, Roma 1988; R. Bossaglia, I Mazzacurati del fondo Arslan e una lettera su Scipione, in Scipione e la Scuola romana. Atti del Convegno…, Macerata… 1985, a cura di A.C. Toni, Roma 1989, pp. 111-120; I. Venafro, M. M., Reggio Emilia 1990; P. Cortese - M. De Luca - V. Mazzarella, M. M. a Roma tra villa Giulia e villa Massimo (catal.), Roma 1992; M. De Luca - V. Mazzarella, Il Museo Renato Marino Mazzacurati. Opere dalla donazione Carla Marzi (catal., Reggio Emilia), Bologna 1995; R. Ruscio, L’Arch. Renato Marino Mazzacurati nei Musei civici di Reggio Emilia, Reggio Emilia 1998 (con ampia antologia critica e bibl. precedente); W. Gambetta, Il «Partigiano di Parma». Politica della memoria… nella storia di un monumento, in Aurea Parma, LXXXVIII (2004), 1, pp. 33-52.