GHIOTTO, Renato
Nacque a Montecchio Maggiore, presso Vicenza, il 25 genn. 1923, primo dei quattro figli di Nicola e Letizia Brendolan.
Compiuti gli studi superiori al liceo Pigafetta di Vicenza, nel 1940 si iscrisse al corso di laurea in filosofia dell'Università di Padova, senza tuttavia conseguire il titolo. Quasi subito prese a collaborare, soprattutto con recensioni cinematografiche (firmate con lo pseudonimo di Asmodeo), al quindicinale studentesco Il Bo. Nel giugno 1941 entrò nella redazione del quotidiano padovano Il Veneto, del quale divenne in seguito caporedattore; vi scrisse recensioni, articoli di carattere culturale e racconti.
A questo periodo data il progressivo avvicinamento del G. agli ambienti antifascisti del Veneto, in particolare dei liberalsocialisti e di quello che sarà poi il Partito d'azione.
In tal senso si segnala un editoriale pubblicato all'indomani della caduta del regime fascista, nel luglio '43, nel quale il G. apriva una riflessione sulla necessità dell'educazione alla libertà, tema che lo vide impegnato anche nel dopoguerra.
Nell'ottobre dello stesso anno, a causa delle attenzioni della polizia della Repubblica sociale italiana, fu costretto a rifugiarsi in Svizzera e a soggiornare in vari campi di lavoro per profughi. Rientrato in patria al termine della guerra, nel giugno 1945 gli venne conferito l'incarico di dirigere il Giornale di Vicenza, allo scopo di rinnovarlo e di trasformarlo in organo ufficiale del locale Comitato di liberazione nazionale (CLN): la scelta era caduta sul G., nonostante la giovane età, in quanto giornalista non compromesso con il regime e quindi ineccepibilmente antifascista, e tanto più perché legato all'area azionista.
Convinto della necessità di non dover imitare i modelli dei grandi quotidiani, egli orientò le proprie scelte editoriali verso la realizzazione di un giornale di piccolo formato, a dimensione della realtà locale nel quale era radicato, ma non localistico, né, tanto meno, provinciale, attento dunque agli eventi, sia politici sia culturali, in ambito italiano e internazionale. In particolare, il G. si pose l'obiettivo di aprire un dialogo franco con i lettori, nell'intento di formare una coscienza democratica e civile il più possibile ampia. Il rapporto con il CLN non fu comunque pacifico, poiché spesso il giornale venne accusato - soprattutto da sinistra, ma anche da parte democristiana - di non rispettare il proprio indirizzo super partes e di schierarsi apertamente in favore della linea liberale e repubblicana.
Con il trascorrere degli anni e con il passaggio della proprietà editoriale nelle mani degli industriali, gli spazi di autonomia si ridussero progressivamente, al punto che, alla fine di gennaio 1950, con il pretesto di ragioni di ordine finanziario, il G. venne allontanato dalla direzione. Dopo un breve soggiorno a Roma, raggiunse uno dei suoi fratelli in Argentina, dove svolse l'attività di direttore commerciale di un'industria metallurgica. Al ritorno in Italia, nel 1953, ricoprì per alcuni mesi l'incarico di capo dell'ufficio stampa di A. Fanfani, allora ministro dell'Interno, e diresse, per due anni, il settimanale femminile Stella.
Nel 1955 fondò, insieme con G.L. Brignone, l'agenzia di pubblicità Linea, con la quale lavorò per circa un quindicennio, realizzando anche alcune importanti campagne istituzionali; nello stesso anno, diede vita, con O. Jemma, alla rivista Cronache del cinema e della televisione, che nei cinque anni di pubblicazione si segnalò per la novità dell'approccio ai mezzi di comunicazione, studiati nelle più diverse prospettive, da quella economico-produttiva a quella strettamente tecnica. Nel 1959 sposò la fotografa Giovanna Sportiello dalla quale ebbe quattro figli e, nel 1967, pubblicò il suo primo romanzo, Scacco alla regina (Milano, finalista al premio Strega), che ottenne un notevole successo anche all'estero, e da cui, due anni dopo, il regista P. Festa Campanile, suo amico, trasse un film.
Sin dal libro di esordio, storia di una "macchinazione", la narrativa del G. appare caratterizzata dall'attenzione al dato psicologico, talvolta abnorme, e dalla costante presenza di un sottile gioco intellettuale.
In questa direzione procede il secondo romanzo (Adiós, Milano 1971), nel quale traspare un evidente influsso di certe atmosfere tratte da J.L. Borges, conosciuto all'epoca del soggiorno in Argentina.
Come altri personaggi del G., il protagonista è mosso dal gusto per un'avventura che si svolge esclusivamente nello spazio della psiche e pratica una sorta di filosofia del disimpegno nei confronti delle convenzioni sociali. Di matrice laica e non autobiografica, la scrittura del G. appare pertanto lontana dalle prove di altri narratori vicentini, decisamente più omogenei tra loro. Nonostante il riconoscimento del premio Selezione Campiello, il romanzo, l'opera migliore dello scrittore, non replicò il consenso di pubblico conquistato quattro anni prima.
Gli anni Settanta segnarono il suo ritorno al giornalismo, con gli elzeviri per La Stampa e, soprattutto, con la direzione del settimanale Il Mondo (1973-74), esperienza nel corso della quale seppe mettere nuovamente a frutto le sue qualità di giornalista misurato, pronto a farsi rappresentante dei lettori, dotato tuttavia di un coraggio civile che gli fece affrontare varie traversie giudiziarie a seguito della pubblicazione di un compromettente documento riservato del ministero degli Affari esteri.
In questi stessi anni si consolidò il suo rapporto con il cinema (sin da giovane era stato infatti un appassionato cinefilo): fu così recensore per quotidiani e riviste (Il Giornale d'Italia, Il Gazzettino, Bianco e nero), ghost writer di Maria Mercader, titolare di una rubrica di "Telecinema" sul settimanale L'Espresso, sceneggiatore (con Jemma) del film Il ladrone di Festa Campanile, regista con il quale collaborò spesso. Non mancò anche un'intensa attività di autore televisivo: da ricordare almeno il telefilm Una città in fondo alla strada, del 1973, e il documentario Storia di Cinecittà (1980). Con il terzo romanzo, Rondò (Milano 1985), finalista al premio Scanno, il G. eseguì un disincantato ritratto dei nuovi ricchi della provincia vicentina, segnato da una vena mondana di sapore quasi settecentesco.
Morì a Malo, presso Vicenza, il 10 apr. 1986.
Aveva da poco iniziato a scrivere di costume su Il Messaggero; postumo è apparso il romanzo I vetri (Milano 1987, pref. di L. Meneghello), racconto ai limiti della fantascienza sul rapporto tra la psiche di un uomo e un enorme cervello elettronico. A testimonianza della sua versatilità intellettuale vanno inoltre rammentati gli scritti d'arte (Introduzione a L'opera completa di Giovanni Bellini, a cura di T. Pignatti, Milano 1969; Nudi di Treccani, Verona 1971); i racconti Arturo, in Racconti italiani, Milano 1969, pp. 71-84, e Ombre sulla spiaggia, in I narratori veneti. 25 racconti, a cura di G. Crovato - A. Frasson, Venezia 1981, pp. 157-170; la traduzione delle Satire di Orazio, Roma 1978, e il saggio Marlene Dietrich, in Le dive, Roma-Bari 1985.
Fonti e Bibl.: Necr. in Giornale di Vicenza, Il Messaggero, La Repubblica, 11 apr. 1986; recensioni di C. Garboli, in La Fiera letteraria, 6 luglio 1967, pp. 19 s.; F. Bandini, in Comunità, ottobre 1967, pp. 96 ss.; G. Sommavilla, in Letture, dicembre 1967, pp. 835-838; L. De Simone, in La Fiera letteraria, 28 giugno 1971, pp. 10 s.; M. Veladiano, in Giornale di Vicenza, 26 maggio 1985; C. Garboli, in Paragone, XXXVII (1986), nn. 434-436, pp. 140 s. Vedi anche: A. Frasson, Resoconti di letture, Milano 1974, pp. 210-214; G. Spagnoletti, Scrittori di un secolo, II, Milano 1974, pp. 1044-1047; N. Pozza, R. G., in Ritratti vicentini, Vicenza 1987; E. Franzina, Prove di stampa. R. G. e la stampa veneta tra fascismo e post-fascismo (1940-1950), Padova 1989.