CIALENTE, Renato
Nacque a Treviglio (Bergamo) il 2 febbr. 1897da Alfredo, ufficiale di fanteria, e da Elsa Wieselberger. Iniziò a recitare quindicenne nel teatro del collegio Baragiola, in Svizzera a Riva San Vitale, dove frequentava il ginnasio, in Basi e bote di Boito e nell'Avaro di Molière. Visto il lusinghiero successo, il padre decise di sottoporlo al giudizio di Ermete Zacconi: la prova riuscì e Zacconi lo accolse nella sua compagnia. Tra la prima. audizione e la scrittura passò del tempo, e il C. debuttò in data controversa (alcuni biografi sostengono nel 1914, altri nel 1916)con la compagnia del teatro Argentina di Roma. Lasciato il teatro per "le scene della guerra", vi tornò nel 1921 con la compagnia Betrone, in cui rimase fino al 1924 con il ruolo diprimo attor giovane. Alla scuola del Betrone il C. andò costruendo uno stile focoso ed irruento, sorretto unicamente dall'uso attento della voce e dei gesti e dal fascino personale.
Eligio Possenti lo descrive, in una interpretazione del tempo (Il beffardo di N. Berrini): "alto nella persona, magro, diritto, portava il frac: con eleganza e traeva sotto la sparato bianco e lucido intonazioni vive e impetuose".
Nel 1924iniziò ad assistere con crescente entusiasmo agli spettacoli di Tatiana Pavlova, Sogno d'amore, La signorina Giuna, Kasatka;la geniale artista russa aveva introdotto sulle scene italiane, oltre ad una dizione sconcertante, alle parrúcche viola all'estrosità delle interpretazioni, l'insegnamento stanislavskijano col suo portato di approfondimento psicologico e di interiorizzazione dei personaggi. Il C. riconobbe in questo teatro l'ideale, adatto alla sua sensibilità e alla sua serietà di artista e, scritturato come attor giovane al posto di Alberto Capozzi - un attore cinematografico ormai abituato ad una recitazione vuota e ridondante-, iniziò ad affinare coil grande impegno e disciplina le sue capacità d'attore, guadagnandosi la stima della Pavlova, che lo definiva "un vero russo", e del pubblico.
Il Motto di Stanislavskij "amate il teatro, non voi stessi a teatro" diventa il motto del C.: "Dedicarsi interamente, esclusivamente al teatro; sacrificargli ogni esterna ambizione, thiudersi nello studio come in un chiostro; vivere di febbre, respirare soltanto teatro, considerare tutta la vita... come una serie di operazioni inerenti al teatro" (R-. Cialente, Le mie parti, in Il Dramma, febbr. 1940).
Negli anni che seguirono egli diede vita a personaggi profondamente diversi tra loro, dal seducente giovane dell'Ufficiale della guardia di Molnár, al torbido e sensuale protagonista di Gelosia di M. P. Arcybašev, all'angosciato borghese di Una cosa di carne diRosso di San Secondo, all'impettito e pomposo burocrate nel Revisore di Gogol, alternando con uguale bravura il tragico al comico e impegnandosi con la stessa attenzione in ruoli di minor rilievo. Sotto la guida del regista russo Nemirović-Davčenko, chiamato dalla Pavlova a dirigere la sua compagnia, il C. divenne il primo attore italiano capace di subordinare la recitazione al complesso dell'allestimento e di adattarsi ad una concezione più moderna della regia.
Davčenko indirizzò la ricerca interpretativa dei C. all'individuazione del "clima" del dramma e del "seme" di ogni sentimento, attraverso un lungo lavoro sul testo: "Preferisco giungere alla comprensione di un'opera d'arte attraverso il filtro del mio pensiero piuttosto che a quello del puro sentimento. E, in fatto di teatro... nego il solista ed affermo l'orchestra" (ibid.).
Fu, per queste qualità, l'interprete ideale dei drammaturghi più complessi dei tempo come Rosso di San Secondo (che lo volle protagonista in alcune delle sue opere: L'avventura terrestre, 1924; Una cosa di carne, la cui rappresentazione, vietata a Torino dalla censura nel 1924, ottenne un grande successo a Buenos Aires e a Milano nel 1925; La scalza, 1925; Tra vestiti che ballano, 1926; La signora Falkestein, 1929) e Pirandello, che lo prediligeva tra gli interpreti delle sue opere ("Ebbi a Milano la fortuna di conoscere Pirandello e gli chiesi quale attore lo avesse colpito di più per la fedeltà dei personaggio e per forza interpretativa. Mi fece il nome di Renato che lui non aveva potuto dimenficare nella mirabile interpretazione de Ilberretto a sonagli, La signora Morli uno e due, Il gioco delle parti": V. De Sica, in IlDramma, p. 35).
L'autore preferito del C. rimase però Dostoevskij (fu nel 1927 Raskol'nikoV in Delitto e castigo), per la dranunaticità della sua opera e per la profonda attenzione alla psicologia dei personaggi che gli facilitavano quel processo di immedesimazione teorizzato dal suo maestro, ma estraneo alla sua reale figura d'artista, orientato piuttosto alla stilizzazione dei caratteri, adatto, per i modi aristocratici, l'aspetto gradevole, l'approccio essenzialmente intellettuale alpersonaggio - disegnato a piccoli tratti senza angosce o coinvolgimenti emotivi - ai ruoli di amante cinico e distratto delle commedie di moda.
L'incontro con Elsa Merlini, con la quale formò compagnia dal 1934, condizionò l'evoluzione del C. verso un genere leggero: nonostante l'impegno dell'attrice ad uscire dal genere comico-sentimentale, che le. aveva assicurato il successo, e l'esperienza condotta dal C. insieme con la Pavlova, la compagnia fu costretta a proporre un repertorio misto che alternava ad opere di maggior impegno, come Ilgabbiano di Čechov rappresentato a Roma nel 1934 con scarsa fortuna, le commedie d'intreccio, che avevano lanciato la Merlini ("Quante commedie ungheresi sia stato obbligato a recitare questo grande signore del teatro, io non saprei neppure dirlo. Il capocomico, il pubblico tutti volevano quel repertorio. Le platee si riempivano di spettatori plaudenti alle eleganti storielle di Herczég, Lakatos, Fodor, mentre Renato mi confidava il suo cruccio, la sua avversione a dar vita a personaggi sciocchi, mondani, a dover seralmente indossare il frac e vivere personaggi che lui non sentiva": V. De Sica). Nel 1938formò insieme con Andreina Pagnani una compagnia di giro allestendo Il viaggio di Bernstein, I figli di R. Mughini, L'orchidea di S. Benelli e Mulini a vento di E. Anton. Tornato, nella stagione successiva, con la Merfini, rappresentò, nel 1939, Marionette che passione di Rosso di San Secondo e La signora Morli uno e due di Pirandello, imponendosi come il miglior interprete del teatro pirandelliano; nel 1940, Piccola città di Th. Wilder. Accolto con eccezionale favore dal pubblico - "al terzo atto il pubblico scattava in piedi ad applaudire Renato Cialente che con tanta emozione e maestria, da grandissimo attore concludeva una battuta" (V. De Sica) - l'interpretazione del regista in Piccola città, ricca di sfumature e di contenuta drammaticità, faceva prevedere rinizio di una fase nuova nella recitazione del Cialente. Ma la crisi in cui versava il teatro durante la guerra indusse i due attori a sciogliere la compagnia e ad intensificare Pattività cinematografica.
Nei numerosi film girati tra il 1941 e il 1943 (1941: Manovre d'amore; Piccolo mondo antico; La fuggitiva; Ultimo ballo; La regina di Navarra;1942: Una notte dopo l'Opera; Un colpo di pistola; La morte civile; La contessa Castiglione; Gioco pericoloso;1943: Corto circuito; Mater dolorosa; Non mi muovo!)il C. non riuscì ad uscire dal cliché dell'eroe freddo e fa, scinoso delle produzioni precedenti (1921: Come due navi che s'incontrano nella notte; Piccola amica;1926: La bellezza del mondo;1933: La maestrina; Melodramma; L'impiegata di papà;1934: Lisetta; Paprika;1937: L'albero di Adamo;1938: Pietro Micca;1939: La vedova; Le due madri; Mille lire al mese; Traversata nera; Lotte nell'ombra; Il cavaliere di San Marco). Nel 1943 formò una compagnia con Paiuto di Remigio Paone, raccogliendo numerosi attori (Sandro Ruffini., Tina Lattanzi, Annibale Betrone, Elena Zareschi, Aldo Silvani, Mario Gallina) e presentando un repertorio ambizioso: L'albergo dei poveri di Gorkij e un adattamento dell'Amieto di Shakespeare curato da Montale. "Allestire L'albergo dei poveri di Gorkij - commenta Paone - aveva per lui e per me un particolare significato: voleva essere una manifestazione, la sola che ci fosse consentita, del bisogno spirituale di rendere consistenti i nostri sentimenti". Alla prima (teatro Argentina di Roma) il C. confermò, nella parte del barone, la sua maturità l'interprete, ottenendo un enorme successo; all'uscita dal teatro fu investito da un automezzo militare tedesco.
Morì a Roma il 25 nov. 1943.
Bibl.: S. D'Amico, Iltramonto del grande attore, Milano 1929, pp. 126-133; G. Rocca, Teatrodel mio tempo, Osimo 1935, pp. 79-84; E. F. Palmieri, Teatro ital. del nostro tempo, Bologna 1939, p. 252; M. Intaglietta, R. C., in Il Dramma, febbraio 1940, n. 323, pp. 27 s.; C. G. Viola, R. C., in Scenario, IX(1940), pp. 274 s.; S. Pugliese, Ricordo di R. C., ibid., XII (1943), pp. 391-93; R. C., in IlDramma, dicembre 1953, n. 193, pp. 30-58 (contiene uno scritto del C.; contributi di F. Terni Cialente, V. De Sica, L. Ridenti; testim. di E. Merlini, R. Paone G. Salvini, P. M. Rosso di San Secondo, P. Grassi, O. Vergani, C. Trabucco, E. Possenti, V. Pandoffi, L. Lucignani, G. Giannini, L. Ramo, A. G. Bragaglia, G. Michelotti, A. Fiocco, A. Bertolini); N. Pepe, R. C., in Teatro scenario, 22 nov. 1953, p. 16; N. Leonelli, Attori tragici-attori comici, I, Milano 1940, p. 242; F. Cialente, Le quattro ragazze Wieselberger, Milano 1976, passim (per la morte, pp. 231 ss.); Enc. d. Spett., III, coll. 723 ss.