BARTOCCINI, Renato
Nacque a Roma il 25 ag. 1893, da Goffredo, artigiano, e da Marianna Balducci. Compì i suoi studi a Roma ed era ancora studente universitario quando partì volontario per la guerra del 1915-18, nel corso della quale rimase feritoe fu riconosciuto meritevole di numerose decorazioni: una medaglia d'argento, due medaglie di bronzo, una croce di guerra, due medaglie d'argento francesi. Prima che la guerra finisse, riuscì a conseguire la laurea in archeologia (13 genn. 1917). Fra i suoi maestri nell'università era anche lo storico-antiquario-epigrafista Dante Vaglieri; nel 1918 il B. ne sposò la figlia, Bianca.
Nel 1920 R. Paribeni, direttore delle missioni italiane in Levante, gli assegnò il primo importante incarico: il B. fu inviato in Egitto per studiare una fortezza romana, il Qaşr ash-Sham) non lontano dal Cairo. Su questo tema tenne poi una comunicazione nel VI congresso di studi romani. Nello stesso 1920 fu nominato ispettore presso la Soprintendenza ai monumenti e scavi della Tripolitania, allora diretta da P. Romanelli, che gli affidò gli scavi di Sabratha. Il B. seguì tuttavia anche gli altri lavori che erano in corso nella regione, pubblicando nel frattempo i primi dei suoi numerosi scritti di tema africano: Guida del Museo di Tripoli, Tripoli 1923; Le ricerche archeologiche in Tripolitania, in Rivista della Tripolitania, I (1924), n. 1-2, pp. 59-73; Restauri nel castello di Tripoli, in Bollettino d'arte, XVIII (1924), pp. 279-284. Numerosi articoli del B. compaiono inoltre in vari fascicoli del Notiziario del ministero delle Colonie e dell'Ideacoloniale.
Nominato egli stesso soprintendente nel 1923, dopo il rimpatrio del Romanelli, il B. conservò tale carica fino al 1928.
Il bilancio della sua attività, svolta con l'appoggio del governatore Volpi di Misurata, è di proporzioni notevoli: il complesso di scoperte più rilevanti è quello della zona del foro di Sabratha (due templi, due basiliche cristiane, la curia), ma nel frattempo furono portati avanti anche scavi e studi a Leptis Magna (arco dei Severi, terme), restauri a Tripoli (castello), a Bab el Horria (mura), a Tagiura (moschea). Il B. curò inoltre la risistemazione delle collezioni leptitane, e continuò a scrivere articoli e monografie: Il foro imperiale di Lepcis (Leptis Magna), in Africa italiana, I (1927), n. 1, pp. 53-74; alcuni altri articoli sempre in Africa italiana, I (1927), n. 3 e II (1929), n. 2; Guida di Sabratha, Roma 1928; Guida di Lepcis (Leptis Magna), ibid. 1928; Le terme di Lepcis, Bergamo 1929. Negli anni fra il 1927 e il 1929 il B. collaborò, con articoli di soggetto archeologico, a importanti quotidiani, quali il Corriere della sera e La Stampa. Sempre nel periodo "tripolitano", il B. organizzò anche il I convegno internazionale di archeologia cristiana (1925).
Accanto a questa attività febbrile di carattere organizzativo e scientifico, vanno registrate le prese di posizione politiche: come altri noti archeologi del tempo, il B., dopo aver aderito al nazionalismo, aderì anche al fascismo.
Le operazioni da lui portate avanti in Tripolitania sono del resto inquadrabili in quella che viene comunemente definita "archeologia coloniale": la sfumatura negativa indubbiamente contenuta in questa definizione, però, più degli aspetti politici concerne quelli metodologici. Quegli scavi (e non solo quelli condotti nelle colonie) erano giganteschi sterri, lontanissimi dal rigore dei metodi stratigrafici oggi da molti ritenuti indispensabili; il recupero dei materiali si limitava in genere alle "opere d'arte", trascurando le testimonianze di "cultura materiale"; si accumulavano enormi masse di reperti e di dati, e poi era arduo trovare il tempo di pubblicarli adeguatamente. Ciò non toglie che l'importanza dei monumenti indagati fosse notevole, l'estensione dei lavori talvolta impressionante.
Alle tendenze proprie, nel bene e nel male, dell'archeologia del suo tempo, il B. aggiungeva le sue personali di "uomo d'azione" instancabile. La sua attività proseguì perciò intensissima anche dopo il suo rientro in Italia (1928). Fra 1929 e 1933 fu direttore dell'Ufficio autonomo per gli scavi, i monumenti e le opere d'arte della provincia di Ravenna: continuò il restauro di S. Vitale (iniziato da C. Ricci), ripristinando fra l'altro l'ingresso ed il livello pavimentale originali; curò i restauri anche di S. Giovanni Battista (dove scoprì la capsella-reliquiario in marmo del V secolo, con Scene dei magi, dell'Ascensione ecc., ora nel Museo arcivescovile) e di S. Giovanni Evangelista. Fu anche direttore dell'Istituto di studi bizantini, nonché della rivista Felix Ravenna, in cui pubblicò numerosissimi articoli sui suoi importanti rinvenimenti e restauri. Ma qualche scritto di questi anni è ancora dedicato alla sua attività in Tripolitania, come L'arco quadrifronte dei Severi a Lepcis, in Africa italiana, IV (1931), n. 1-2, pp. 32-152.
Contemporaneamente, come capo della missione archeologica italiana in Transgiordania, iniziava scavi ad Amman, che sarebbero proseguiti in sette campagne fra 1929 e 1939. E i risultati sarebbero stati copiosi: sull'acropoli sarebbe stata rimessa in luce l'antica roccia sacra degli Ammoniti, poi incorporata in un tempio romano dedicato a Marco Aurelio; da ricordare inoltre l'esplorazione dell'agorà (questa volta con studi anche sulla ceramica), nonché quella di tutta la regione fino alla Siria. Di quest'attività il B. diede notizia: Ricerche e scoperte della missione italiana in Amman, in Bollettino dell'Associazione internazionale per gli studi mediterranei, I (1930), n. 3, pp. 15-17; altri articoli nelle annate III (1932), n. 2, pp. 16-23, e IV (1933), n. 4-5, p. 10, dello stesso periodico; inoltre La roccia sacra degli Ammoniti, in Atti del IV congresso di studi romani, Roma 1938, pp. 103-108; Un decennio di ricerche e di scavi italiani in Transgiordania, in Bollettino del R. Istituto di archeologia e storia dell'arte, IX (1940), n. 1-6, pp. 75-81.
Nel corso di quegli stessi anni, compiva passi avanti la carriera del B. nell'amministrazione: nel 1933era direttore del Museo nazionale di Taranto, nel 1934 soprintendente ai monumenti e scavi delle Puglie; per un breve periodo, a partire dal 1936, resse anche il Provveditorato agli studi di Bari.
Nel periodo pugliese, il B. si occupò della riorganizzazione e catalogazione del Museo di Taranto, avviando il restauro degli ori provenienti dalle ricche tombe delle zone circostanti; a Lucera condusse scavi nell'anfiteatro e studiò le piccole terrecotte conservate nella collezione antiquaria della città; a Lecce diresse lo scavo dell'anfiteatro; a Canne esplorò il sepolcreto, che attribuì ai caduti romani e cartaginesi della battaglia del 216 a. C., d'accordo con M. Gervasio (attribuzione che fu successivamente posta in dubbio da N. Degrassi e F. Tiné Bertocchi, la quale ultima proseguì l'esplorazione dei sepolcri e stabilì che si trattava di vari nuclei di un cimitero medievale). Fra gli scritti di questo periodo si possono ricordare quattro articoli apparsi in Japigia, VI (1935), n. 1-2, pp. 123-131 e 225-262; VII (1936), n. 1, pp. 11-53; e IX (1941), n. 3-4, pp. 185-213 e 241-298: Sculture romane nel Museo di Canosa, La tomba degli ori di Canosa, Anfiteatro e gladiatori in Lucera, Arte e religione nella stipe votiva di Lucera; inoltre Il teatro romano di Lecce, in Dioniso, V (1935), n. 3, pp. 103-109. Anche in Puglia il B. proseguì la sua attività pubblicistica, collaborando stavolta con la Gazzetta del Mezzogiorno.
Scoppiata la seconda guerra mondiale, il B., su domanda del governo delle Isole italiane dell'Egeo, era nominato (1940) soprintendente alle antichità a Rodi: condusse scavi e restauri a Rodi stessa, soprattutto nel porto e nella zona nordorientale adiacente, dove un'ampia via colonnata romana si sovrappone alle fasi ellenistiche, e in altre città dell'isola, come Lindos (acropoli, teatro) e Camiros (stoà, templi). La morte in guerra del figlio Vittorio, caduto con il suo aereo presso Malta (medaglia d'argento alla memoria), lo indusse a presentare domanda di rientro in Italia (1941). Fu destinato alla Soprintendenza di Milano, che però non raggiunse perché - nel frattempo - venne richiamato in servizio militare di complemento come ufficiale di Stato Maggiore: come tale, coordinò in Grecia l'ufficio assistenza. Nel periodo della Repubblica di Salò il ministero dell'Educazione Nazionale gli affidò (1944) il salvataggio delle opere d'arte minacciate dalla guerra, alcune delle quali trasportate in ricoveri predisposti nelle Isole Borromee e a Venezia. Ma nello stesso 1944 fu successivamente collocato in congedo, e gli fu affidata un'altra missione: tutelare il patrimonio della Scuola archeologica italiana di Atene, in quel periodo ufficialmente chiusa.
Dopo la guerra, la lunga fedeltà al fascismo fu contestata al B., che fu sottoposto al giudizio della Commissione di epurazione del ministero della Pubblica Istruzione: ma ne uscì prosciolto. Fu destinato all'ufficio esportazione opere d'arte, e successivamente (1950) nominato soprintendente alle antichità dell'Etruria meridionale.
In tale veste, avviò la ripresa degli scavi di Caere e Tarquinia, e diresse quelli di Vulci e di Lucus Feroniae. In collaborazione con l'architetto Franco Minissi curò la nuova sistemazione del Museo di Villa Giulia: anche se tale sistemazione è stata da varie parti criticata, va riconosciuto al B. il merito di essersi battuto perché il Museo non cambiasse sede, conservando così la sua collocazione storica. Di tutte queste attività resta testimonianza in scritti come Le pitture etrusche di Tarquinia, Milano 1955; Gliultimi scavi nell'Etruria meridionale e il riordinamento del Museo di Villa Giulia, in Tyrrhenica, ibid. 1957; Santa Severa (Roma): scavi e ricerche nel sito dell'antica Pyrgi (1957-58), in Atti dell'Accad. naz. dei Lincei, Notizie degli scavi, s. 8, XIII (1959), pp. 113-263, in collab. con vari autori; Colonia Iulia Felix Lucus Feroniae, Roma 1960; Vulci, ibid. 1960; L'anfiteatro di Lucus Feroniae e il suo fondatore, in Rendiconti della Pontificia Accademia romana di archeologia, XXXIII (1961), pp. 173-189; Il tempio grande di Vulci, in Études Etrusco-Italiques, XXXI (1963), pp. 9-12.
A partire dal 1952, fu ancora a capo di una missione archeologica in Libia: lavorò a Leptis Magna nel foro severiano e nel porto, e studiò a Sabratha monumenti esplorati durante i suoi precedenti soggiorni in Tripolitania. Facendo seguito a La curia di Sabratha, in Quaderni di archeologia della Libia, I (1949), pp. 29-58, poté così pubblicare Ilporto romano di Leptis Magna (in collaborazione con A. Zanelli), Roma 1958; Il tempio antoniniano di Sabratha, in Libya antiqua, I (1964), pp. 21 -42.
Nel 1955-56, infine, fu soprintendente reggente alle antichità di Roma; studiò fra l'altro un celebre sarcofago di Velletri (pubblicato in Rendiconti della Pontificia Accademia romana di archeologia, XXX [1958], pp. 63-69). Anche in questi ultimi anni di servizio, e dopo la messa a riposo, continuò la sua attività di divulgazione (fra l'altro in Le Vie d'Italia e del mondo) e di studio, fino alla morte, avvenuta a Roma il 9 ott. 1963.
Fu socio dell'Accademia nazionale di S. Luca e della Pontificia Accademia romana di archeologia, membro dell'Istituto archeologico germanico e dell'Istituto di studi romani, nonché collaboratore dell'Istituto della Enciclopedia Italiana. Le documentazioni dell'attività di ricerca e la corrispondenza del B. sono conservate presso l'istituto di archeologia dell'università di Perugia.
Fonti e Bibl.: G. Becatti, Archeologia, in Cinquant'anni di vitaintellettuale italiana (1896-1946). Scritti in onore di B. Croce peril suo ottantesimo anniversario, II, Napoli 1950, pp. 193-221; P. Romanelli, R. B., in Studi romani, XI (1963), pp. 706-708; R. B., in Felix Ravenna, s. 3, XXXVII (1963), pp. 119-121; R. Panetta, R. B., in Boll. d'informazione Centumcellae, IV (1962-63), n. 4, pp. 53-56; M. Moretti, R. B., in Bollett. d'arte, s. 4, XLIX (1964), p. 191; P. Romanelli, Commemorazione di R. B. e Salvatore Aurigemma, in Rendic. della Pontificia Accad. romana di archeologia, s. 3, XXXVII (1964-65), pp. 13-23; G. Caputo, R. B. (1893-1963), in Studi etruschi, XXXIII (1965), pp. 655-656; D. Manacorda, Per un'indagine sull'archeologia italiana durante il ventennio fascista, in Archeologia medievale, IX (1982), pp. 443-470 e soprattutto pp. 447 s., 468. I principi museografici che sono alla base di numerosi progetti ed interventi, fra cui quello di Villa Giulia, sono esposti da F. Minissi, Conservazione dei beni storico-artistici e ambientali. Restauro e musealizzazione, Roma 1978.