PANNAIN, Remo. –
Nacque a Roma il 24 giugno 1901 dal chimico Ernesto e da Luisa Baraini. Partecipò alla marcia su Roma e si laureò il 6 dicembre 1922 presso la facoltà giuridica di Napoli, dove aveva incrociato come maestri Arturo Rocco e Alfredo De Marsico. Praticante nello studio legale di Giovanni Napolitano, divenne uditore giudiziario a Napoli il 15 giugno 1925; dal 1° ottobre seguente vice-pretore a Milano, indi pretore a Venosa (11 aprile 1926), Montesarchio (2 febbraio 1928) e Modugno (1° dicembre 1931). Giudice del tribunale di Genova dal 25 gennaio 1932, il 28 gennaio 1935 fu trasferito alla I sezione civile di Roma, dove rimase in ruolo sino al dicembre 1938. Dalla moglie Lucia Roidi, sposata a Napoli il 9 ottobre 1927, ebbe i figli Aldo e Adriana.
Risalgono al 1929 gli opuscoli Il delitto di violazione di sequestro e di pegnoramento nel codice penale vigente e nel progetto Rocco (Napoli 1929); e Critica di un “Saggio di conciliazione del libero arbitrio e della teoria positiva” (Napoli 1929), che traeva spunto da un testo del belga Octave Picard (1927) per sferrare un attacco alla scuola positiva.
Libero docente di diritto penale dal 1930, Pannain tenne corsi a Genova (gennaio 1933) e Camerino (dal 1935-36 al 1938). La prolusione genovese si prefiggeva una «definizione giuridica», ossia né sociologica né antropologica, del delitto politico (in Rivista italiana di diritto penale, V [1933], parte II, pp. 715-740). Allo stesso anno risalgono le monografie Le sanzioni degli atti processuali penali... (Napoli 1933) e Il delitto di “favoreggiamento” - articoli 378 e 379 c.p. (Napoli 1933), saggi del gusto classificatorio ed esegetico proprio del tecnicismo giuridico.
La produzione fu ritenuta priva di «grande valore scientifico» dalla commissione del concorso a cattedra dell’Università di Cagliari (autunno 1933), la quale incoraggiò il candidato ad adottare una metodologia piú rigorosa e ad aprirsi alla comparazione. La Prefazione alla monografia Gli elementi essenziali ed accidentali del reato (Roma 1936), licenziata nel «primo giorno dell’Impero», precisava che la ricerca aveva «tenuto conto della dottrina straniera, ma senza feticismo, anzi con un po’ di prevenzione, perché soprattutto» desideravo valorizzare «il genio italiano». L’autore attribuiva il discredito della «legislazione penale fascista» a «obliqui fini politici». E ammoniva che «il giurista non deve dare giudizi; deve elaborare la legge» (ibid., pp. VII-VIII).
Nel concorso camerte per lo straordinariato dell’ottobre 1936 i giudizi lusinghieri valsero a Pannain soltanto il quarto posto; piú tardi egli avrebbe gettato qualche ombra su uno dei ternati, probabilmente Giovanni Leone (lettera di Pannain al ministro, Roma 13 novembre 1944). Due anni dopo vinse, insieme con Silvio Ranieri e Tullio Delogu, il concorso di diritto e procedura penale bandito ancora da Camerino: la minoranza della commissione (presidente Arturo Rocco, relatore De Marsico) gli obiettò carenze metodologiche e sistematiche.
Intanto, all’inizio del 1938, Pannain, già nel comitato di direzione della rivista foggiana La Corte d’assise, diveniva direttore della gloriosa Rivista Penale (LXIV [1938], f. 1, p. 2). Tra le voci da lui redatte in quel periodo per il Nuovo Digesto Italiano spicca quella sui delitti contro la Personalità internazionale dello Stato (IX, Torino 1939, pp. 1047-1098), la quale da un lato enfatizzava i valori dell’unità, sovranità e indipendenza anche «finanziaria» del paese, dall’altro caldeggiava la severa repressione del disfattismo e della sovversione anti-nazionale (specie di stampo anarchico e comunista) che alimentava «l’avventata canèa antifascista da parte di sciagurati rinnegati figli d’Italia in danno della madre Patria».
Straordinario dal 1° gennaio 1939 (ordinario dopo un triennio) Pannain, unico docente di ruolo presso la facoltà giuridica di Camerino, vi insegnò diritto penale, procedura penale, filosofia del diritto e diritto agrario; fu preside dal 1939 al 1950 nonché, nel 1950-51, rettore. Chiamato nel 1940 dalla facoltà di Giurisprudenza di Bari, non ottenne il nulla osta dal ministero. Nello stesso anno presentò istanza di trasferimento all’Università di Genova, la quale nel 1943 gli preferì un neo-vincitore di concorso (Giuliano Vassalli) «fortemente raccomandato in campo politico, pur se oggi si atteggi ad antifascista ufficiale» (lettera di Pannain al ministro, Roma 13 novembre 1944). Dal 1° novembre 1951 l’Università di Trieste lo chiamò come successore di Girolamo Bellavista. Infine il 1° novembre 1958, grazie all’appoggio di Vassalli, Pannain prese servizio a Napoli come titolare di procedura penale: rigettando il ricorso di Gaetano Foschini, il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione gli riconobbe una piú qualificata competenza processualistica, comprovata dalla circostanza d’aver superato, vent’anni prima, l’ultimo concorso ‘congiunto’ di diritto e procedura penale. Dal 1° novembre 1960 Pannain subentrò proprio a Vassalli sulla cattedra napoletana di diritto penale. Anni dopo, Leone lo pregò di ritirare, a favore di Aldo Moro, la domanda di trasferimento alla facoltà di Scienze politiche di Roma (Leone, 1987, pp. 5-6).
Pannain fu combattivo protagonista della penalistica italiana nella turbolenta stagione del secondo dopoguerra. Già il 27 novembre 1944 egli licenziava il saggio, pronto da qualche mese, La riforma della legislazione (in Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Camerino, XVI-XVIII [1942-44]), «manifesto programmatico» (Lacchè, 2010, p. 276) di quel milieu di ancor giovani professori – come Leone e Delogu – ostili alla ventilata tabula rasa dell’edificio legislativo mussoliniano. Sprezzante verso il «servilismo e pavido zelo» degli antifascisti tardivi, l’autore era persuaso che un vaglio tecnico e non politico avrebbe comportato la caducazione dei soli codici della navigazione e penali militari (imperfetti) e di quello (autoritario e statolatrico) di procedura civile (La riforma della legislazione, cit., pp. 17-21 e 35); mentre la codificazione penale non gli pareva affatto il precipitato dell’ideologia fascista, come pretendeva il guardasigilli Umberto Tupini (rel. 28 luglio 1944 al d.legisl.lgt. 10 agosto 1944, n. 224, in Verbali del Consiglio dei Ministri, Luglio 1943 - Maggio 1948. Ed. critica, III, a cura di A.G. Ricci, Roma 1995, p. 94), bensí «opera di giuristi colti e seri» che si erano ispirati alla cultura penalistica anteriore al 1922 e che ora rischiavano di vedersi emarginare da «orecchianti» ansiosi di «rifarsi una verginità» (La riforma della legislazione, cit., pp. 28-29 e 47-48).
Quando, nei primi giorni del 1945, Tupini nominò due commissioni incaricate di apportare modifiche urgenti ai codici penali, Pannain fu inserito in quella per il penale sostanziale, presieduta da Giovanni Porzio e composta, tra gli altri, da Vassalli. Si dimise il 10 febbraio, forse perché conscio che essa non sarebbe approdata al paventato epilogo (Piasenza, 1979, p. 289): e, difatti, i commissari si pronunciarono a «leggera maggioranza» per il mantenimento del codice penale Rocco (Notizie e spunti sulla riforma dei codici penali, in Archivio Penale, I [1945], parte I, pp. 56-57).
Ma Pannain intendeva trasformare la questione contingente in una sfida culturale di ampio respiro. A tal fine, coadiuvato dal redattore capo Gaetano Foschini e dal segretario Ugo de Leone, fondò nei primi mesi del 1945 Archivio Penale, periodico «di indirizzo e di ideologia» (Lacchè, 2010, p. 282, nt. 39; ma v. l’autodifesa di Pannain: Nel decennale della rivista, in Archivio Penale, XI [1955], parte I, pp. 325-326). La densa presentazione del primo fascicolo incitava a non rassegnarsi all’«umiliazione» della disfatta bellica; insinuava che, «chi piú chi meno, ogni italiano [avesse] delle colpe da espiare»; insisteva sulla centralità del diritto nella ricostruzione nazionale e sull’urgenza di «alimentare e rinsaldare» il principio di legalità; e suggeriva che la scienza giuridica, pur senza «spigolare» nella «politica legislativa», non si rinserrasse nella «caparbia contemplazione» del suo «castello eburneo», cosí cedendo agli «incompetenti» la tribuna del dibattito pubblico (L’Archivio Penale, ibid., I [1945], parte I, pp. 3-9).
Entro tali coordinate Archivio Penale promosse una campagna per conservare in vigore i codici Rocco (salvo qualche emendamento dalle piú vistose contaminazioni ideologiche del regime), sul presupposto che essi fossero il prodotto del «genio italico» sopravvissuto, durante il ventennio, grazie al «coraggio» dei giuristi (Leone, 1987, p. 3). Costoro, ammetteva il direttore, dopo aver contratto una momentanea «febbre di imitazione e di servilismo (scientifico, non politico)» verso «gli eccessi del formalismo teutonico», avevano poi fortunamente attinto all’«equilibrio» e al «buon senso latini» (L’Archivio Penale [1945], cit., p. 6; da notare che nel volume La struttura del reato (Milano 1958, p. 18) Pannain ancora stigmatizzava il perdurante «mal vezzo dell’esotismo» nei riguardi della dottrina germanica). L’asserita distanza dalle aberrazioni dei colleghi nazifascisti non solo legittimava l’«euforia assolutoria» dei penalisti italiani (Seminara, 2011), ma consentiva di pronosticare la compatibilità della codificazione del 1930, parto pregevole d’una generazione ante-marcia «purtroppo quasi estinta», con il futuro assetto democratico e costituzionale: scalfire quell’«opera granitica» per ripristinare i codici liberali del 1889 e 1913 avrebbe segnato un «vero regresso» (Notizie e spunti..., cit., pp. 58-59). Insomma, durante il «limbo istituzionale» Pannain si inscriveva tra gli ‘illusi’ cultori della «continuità costituzionale» (P. Calamandrei, Nel limbo istituzionale, in Il Ponte, I, n. 1 [apr. 1945], pp. 4-19). La crociata di Archivio Penale in difesa dei codici del 1930 si esaurí soltanto nel 1949-50, col fallimento del progetto di riforma.
Nella primavera del 1945, in polemica con l’Alto Commissariato per l’epurazione, Pannain si schierò a sostegno di quei giudici, «eroi silenziosi e sconosciuti», che assolvevano i gerarchi attenendosi al canone carrariano e democratico (non, dunque, una «trovata» fascista) della separatezza tra politica e giustizia. Al contempo egli colse nell’irrogazione delle sanzioni contro il fascismo un baratto tra il «sacro principio della irretroattività» e le «esigenze della politica»: a suo parere, la «sanguinosa ferita al bel corpo della Giustizia» avrebbe forse risparmiato «la guerra civile», ma, «se la Giustizia si prostituisce con la politica [...], la civiltà rovina» (Problemi e notizie della magistratura. Giustizia e politica, in Archivio Penale, I [1945], parte I, f. 3-4 [mar.-apr.], pp. 234-235. Cfr. anche Una protesta dei magistrati, ibid., f. 5-6 [mag.-giu.], pp. 336-337).
La nomina di Palmiro Togliatti a guardasigilli suscitò in Pannain il timore che il neo-ministro anteponesse «l’ordine internazionale» agli interessi del paese, con nocumento all’indipendenza della magistratura (Al Ministero della Giustizia, ibid., I [1945], parte I, pp. 465-466). Già all’inizio del 1946, tuttavia, il penalista romano registrava con sollievo che la Corte di cassazione, per effetto di un’interpretazione restrittiva del concetto di collaborazionismo, annullava le condanne emesse dalle corti d’assise straordinarie (Cass. Pen., sez. II, 4-7 febbraio 1946, ibid., II [1946], parte II, pp. 97-88). Pannain elogiò in particolare la II sezione penale della Suprema Corte la quale, sotto la presidenza di Vincenzo De Ficchy, Michele Giuliano, Antonio Serena Monghini e Ruffo Mangini, aveva giudicato «con la mente di giuristi e col buon senso latino [...] fatti terribili e dolorosi»: essa aveva saputo assecondare le attese «di giustizia» ma anche «di pacificazione» e «di umanità», a fronte del giustizialismo di talune «Corti di Assise del Nord» rivelatesi «tribunali di popolo assetati solo di sangue» (L’opera della Corte Suprema di Cassazione, ibid., II [1946], parte I, pp. 331-332; per ulteriori elogi al «gigante» De Ficchy cfr. Magistrati a riposo, ibid., VI [1950], parte I, p. 343).
Giovandosi anche dell’amnistia Togliatti, Pannain difese vittoriosamente esponenti di spicco della cessata dittatura, mentre sulla rivista deplorava l’iniqua applicazione giurisprudenziale del provvedimento di clemenza e la sopraggiunta incostituzionalità delle sanzioni contro il fascismo (Incerta applicazione delle leggi penali eccezionali e improrogabilità della loro abrogazione. Nota a Cass. Pen., sez. II, 17 luglio 1947, ibid., IV [1948], parte II, pp. 187-188).
Un suo breve corsivo arrivò a qualificare L’attentato a Togliatti (ibid., IV [1948], parte I, pp. 276-277) un atto di legittima difesa contro un’ideologia eversiva e anti-democratica. Già scettico sulla Costituente (La Costituente ovvero del trionfo dell’aristocrazia, ibid., II [1946], p. 345), Pannain definí la neonata Costituzione compromissoria, «ipertrofica e ridondante», mentre rivolse un pensiero «reverente» e provocatorio allo Statuto albertino e a Vittorio Emanuele III (La Costituzione, ibid., IV [1948], parte I, p. 74; v. Carissimi, 1980, p. 489).
Ormai avvocato di grido, Pannain non ridusse l’impegno scientifico. Se Il possesso nel diritto penale (Roma 1946) fu stroncato da Carnelutti, che definí l’autore «dogmatico intransigente» (in Rivista di diritto processuale, II [1947], I, p. 161) e lo indusse a temere per il prosieguo della carriera accademica (come lo stesso Pannain rivelò in Archivio Penale, III [1947], parte I, p. 506), una certa fortuna arrise al Manuale di diritto penale, la cui Parte generale, apparsa in piena guerra (Roma 1942), fu piú volte riveduta e ampliata (Torino 19502, Torino 19623, Torino 19674). La Parte speciale (Torino 1957, Torino 1962) concerneva i delitti contro la personalità dello Stato, il sentimento religioso, la moralità pubblica e il buon costume, l’integrità e la sanità della stirpe. A specifiche figure criminose erano dedicati anche i volumi sui Delitti contro la moralità pubblica e il buon costume (Torino 1952); I delitti contro la vita e la incolumità individuale (Torino 1965) e I delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (Napoli 1966), tutti d’impronta normativistica.
D’altronde Pannain propugnava «un rigoroso metodo tecnico-giuridico», in base al quale anche i princìpi andavano desunti dalle norme positive (Manuale, Parte generale [ed. 1942], dedica [Natale 1941], pp. 6 e 23; Manuale [ed. 1967], pp. 66-67). Dei tre momenti logici della scienza penale enucleati da Arturo Rocco egli dichiarava di privilegiare la dogmatica rispetto all’esegesi (da sottrarre al «pedestre leguleio») e alla critica («prerogativa degli impotenti»: Manuale [ed. 1942], p. 22; posizioni confermate nell’ed. 19502, pp. 42-43, ma attenuate nell’ed. 19623, p. 52). In realtà, se talune pagine di Pannain denotavano un parossistico ossequio al diritto positivo, altre non disdegnavano la ricerca della ratio legis e del sentimento umanitario aleggiante nell’ordinamento (Civello, 2015, pp. 551-553, 546, 566). Lo preoccupava, invero, la «minaccia» d’una «rinascenza giusnaturalistica» (Manuale [ed. 1967], p. 4) che lo spinse a polemizzare con Giuseppe Maggiore e Giuseppe Bettiol (Il diritto penale e la morale, in Scritti giuridici in onore di Vincenzo Manzini, Padova 1954, pp. 343-360).
La teoria del reato di Pannain, concettualmente robusta, aderiva all’impostazione bipartita ed espungeva l’antigiuridicità dagli elementi costitutivi (La struttura del reato, Milano 1958, pp. 6, 11, 14, con disamina dei codici russo e jugoslavo; v. già Gli elementi essenziali ed accidentali del reato, Roma 1936). L’ultima edizione della Parte generale del Manuale (1967) si aprí al confronto con le tesi di Hans Welzel e con la teoria finalistica dell’azione.
Sul versante, da lui poco praticato, della procedura Pannain censurò la novella del 1955 al c.p.p., irridendone il ‘demagogico’ e inefficiente garantismo (Osservazioni sul tema “Legislazione processuale penale”, in R. Pannain - E. Morgera, Legislazione processuale penale, Trieste 1955, pp. 31-43; R. Pannain, La riforma della procedura penale, in Archivio Penale, XI [1955], parte I, pp. 370-374). Egli intervenne anche sull’organizzazione degli studi universitari: spinse per la separazione delle cattedre penalistiche (Autonomia delle università, ibid., I [1945], parte I, p. 233), denunciò i guasti dell’«autonomia» delle sedi, auspicò una didattica piú attenta al formante giurisprudenziale e un tirocinio comune a magistrati e avvocati (R. Pannain - G. Niccolaj - L. Storace, La formazione universitaria e forense dei giovani, in VIII Congresso nazionale giuridico-forense [Milano, 13-15 settembre 1965], Milano 1965, pp. 3-20).
Si spense a Roma il 15 aprile 1967, ancora saldamente alla guida di Archivio Penale.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Istruzione Universitaria, Fascicoli Professori Universitari, III sr. (1940-1970), b. 457 e b. 553; Ministero dell’Educazione Nazionale, Bollettino ufficiale. II - Atti di amministrazione, 61-I, n. 6 (8 febbraio 1934), p. 367 (concorso Cagliari); ibid., 64-I, n. 14 (8 aprile 1937), p. 879 (concorso Camerino 1936); ibid., 66-I, n. 7 (16 febbraio 1939), pp. 342-346 (concorso Camerino 1938 e partecipazione alla marcia su Roma); ibid., 69-II, n. 42 (15 ottobre 1942), pp. 3401-3402; ibid., Lettera di P. al ministro (Roma, 13 novembre 1944); Panorama biografico degli italiani d’oggi, a cura di G. Vaccaro, II, Roma 1956, p. 1137; P., R., in Novissimo Digesto Italiano, XII, Torino 1965, p. 360; E. Eula, R.P., in Rivista Penale, XCI (1967), n. 4-5, pp. 287-288; R.P., in Rivista italiana di diritto e procedura penale, n.s., X (1967), p. 569; Gius. Sabatini, R.P., uomo, giurista e avvocato, in Quaderni giuridici, V (1968), pp. 97-107 e in Archivio Penale, XXIV (1968), f. III-IV, pp. 91-100; Ricordo di R.P., in Archivio Penale, XXIV (1968), f. III-IV, pp. 89-90; G. Neppi Modona - L. Violante, Poteri dello Stato e sistema penale. Corso di lezioni universitarie, Torino 1978, pp. 190-192; P. Piasenza, Tecnicismo giuridico e continuità dello Stato: il dibattito sulla riforma del codice penale e della legge di pubblica sicurezza, in Politica del diritto, X (1979), 3, pp. 261, 263-264, 268, 271, 277, 280-282, 289; C. Carissimi, Ideologie penali e tecnicismo giuridico nel dibattito alla Costituente, in Scelte della Costituente e cultura giuridica, a cura di U. De Siervo, II, Bologna 1980, pp. 483, 488-489, 494-495, 497; G. Leone, Ricordo di R.P., in Archivio Penale, XXXIX (1987), n. 14, pp. 3-6; G. Neppi Modona, Principio di legalità e giustizia penale nel periodo fascista, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XXXVI (2007), Principio di legalità e diritto penale (per Mario Sbriccoli), t. II, pp. 984-985; M. Franzinelli, L’amnistia Togliatti. 22 giugno 1946: colpo di spugna sui crimini fascisti, Milano 2007, pp. 34, 59-61, 154, 189, 289; L. Lacchè, «Sistemare il terreno e sgombrare le macerie». Gli anni della “Costituzione provvisoria”, in L’inconscio inquisitorio. L’eredità del codice Rocco nella cultura processualpenalistica italiana, a cura di L. Garlati, Milano 2010, pp. 276, 280-286, 288, 292, 302-303; R. Orlandi, Diritti individuali e processo penale nell’Italia repubblicana, in Diritti individuali e processo penale nell’Italia repubblicana. Materiali dall’incontro di studio Ferrara, 12-13 novembre 2010, a cura di D. Negri - M. Pifferi, Milano 2011, pp. 54, 60, 62; L. Garlati, Novità nel segno della continuità: brevi riflessioni sulla processual penalistica italiana di ieri e di oggi, ibid., pp. 288-294; S. Seminara, Sul metodo tecnico-giuridico e sull’evoluzione della penalistica italiana nella prima metà del XX secolo, in Studi in onore di Mario Romano, I, Napoli 2011, pp. 611 e 614; D. Castronuovo, P.,R., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), dir. da I. Birocchi et. al., Bologna 2013, II, pp. 1497-1498; F. Colao, Giustizia e politica. Il processo penale nell’Italia repubblicana, Milano 2013, pp. 3-8, 20, 87-89; G. Civello, Il contributo di R.P. alla dottrina penale d’Italia. Nel 70° anno dalla fondazione di Archivio Penale (1945-2015), in Archivio Penale, LXVII (2015), 2, pp. 537-566.