greco-romana, religione
La religione greca è un politeismo sorto attraverso un lungo processo di formazione in cui elementi pre-ellenici, di origine mediterranea e orientale, si fondono con elementi propri delle popolazioni di stirpe indoeuropea stanziate nella penisola, specie di quelle micenee. Data l’assenza di testi sacri, le fonti letterarie sulla religione sono, in origine, rappresentate dai poeti, da Omero in primo luogo. Nella poesia omerica, in particolare, si definisce la tendenza verso una concezione perfettamente antropomorfa delle divinità, che rimarrà costante nella religione ufficiale e civica. Col tempo la divinità antropomorfa richiederà una dimora conforme alle sue proporzioni e al suo carattere, e nasce, profondamente differente dalle immense costruzioni sacre orientali, il tempio greco, che ospita quasi sempre una sola divinità. Più tardi richiederà anche l’immagine statuaria in cui forma umana ed essenza divina coincidono. In Esiodo la supremazia assoluta di Zeus, già ripetutamente accennata nei poemi omerici, diventa, come più tardi in Eschilo e Pindaro, base di tutto il sistema olimpico. La divisione politica della Grecia arcaica in un gran numero di città-Stato dominate dalle famiglie aristocratiche resesi indipendenti è all’origine della molteplicità di forme particolari del culto, che tuttavia nelle loro grandi linee non si scostano dallo spirito comune della religione greca. I singoli Stati avranno le proprie divinità poliadi, le proprie feste, i propri giochi solenni, il proprio calendario, i propri miti locali, ma le forme fondamentali del culto e della mitologia saranno ovunque le stesse. Con lo sviluppo dell’industria e del commercio, il popolo si libera gradualmente dalla oppressione aristocratica e prima (secc. 7°-6° a.C.) mediante la tirannide, e dopo (dal sec. 5°) nella classica forma della democrazia, le masse popolari entrano nella vita pubblica. Parallelamente, anche in campo religioso avvengono cambiamenti, in quanto tipi di culto «nuovi» (in realtà antichissimi, ma rimasti fuori dello Stato), misterici e orgiastici, e divinità «nuove» come Demetra e Dioniso vengono a occupare posizioni preminenti nella religione pubblica. Nello sviluppo storico della religione romana, la prima tappa di cui possiamo farci un’idea abbastanza precisa è, con ogni probabilità, strettamente connessa con l’unificazione di Roma, più precisamente dei colli Palatino, Quirinale e Capitolino, il cui presupposto era il prosciugamento del foro e la cessazione del suo uso sepolcrale; l’arcaico calendario romano sembra la magna charta religiosa della città unificata. Le 45 feste con nomi propri derivati ora da nomi divini (Vestalia, Quirinalia, Saturnalia ecc.), ora da azioni rituali (Tubilustrium, Regifugium, Equirria ecc.), mediante l’osservazione dei luoghi di culto e del personale sacerdotale che coinvolgono (elementi che naturalmente non figurano nel calendario stesso, ma per i quali a ragione si suppone un grande conservatorismo rituale permettono di notare l’intenzione di fondere le varie regioni, prima indipendenti, della città). Non posteriore alla sistemazione del calendario dovette essere quella dei sacerdozi pubblici, che si raggruppano in quattro collegia (pontefici; auguri; duoviri sacris faciundis; triumviri epulones) e in alcune sodalitates (tra cui Arvali, Luperci, Sali, Feziali). La religione romana era un politeismo organico con un pantheon articolato, avente a capo una divinità suprema, Giove. Le divinità maggiori sono figure complesse con funzioni varie e organicamente collegate e con nessi di culto tra di loro. Una caratteristica costante della religione romana rimase la grande prevalenza dell’aspetto rituale sopra quello mitologico: le figure divine e i loro rapporti reciproci si concretano, anziché in racconti sulle loro gesta e sui loro nessi genealogici, in determinati tipi di rito. Un altro tratto eminente della religione romana è che da culti, feste e templi privati si distingueva nettamente l’ambito della religione pubblica, cioè quella esercitata e amministrata dallo Stato come tale: le feste pubbliche erano celebrate pro populo romano dai sacerdoti che agivano in nome dello Stato. Forse in nessun’altra grande religione la centralizzazione statale e la netta distinzione tra soggetto privato e soggetto pubblico (lo Stato) hanno assunto un così deciso rilievo.