RELAZIONE
Filosofia. - È uno dei concetti filosofici più problematici e più ricchi di storia. In generale esso designa ogni rapporto collegante, in maniera essenziale o accidentale, due contenuti di pensiero. Mentre, quindi, il problema che più comunemente si dice della "relatività" (v. perciò relativismo) concerne specialmente il rapporto che collega la realtà pensata alla realtà pensante, sottoponendo in un modo o nell'altro la prima alla condizione della seconda, il problema della "relazione" è quello che si presenta quando si rifletta sul legame che variamente stringe e inquadra i varî elementi del pensato, e s'indaghi la natura oggettiva o soggettiva di tale legame rispetto a quella degli stessi elementi.
Il concetto specifico di relazione si può dire sorga con Aristotele, perché nelle Categorie (aristoteliche nel contenuto se non nella stesura) la locuzione πρός τι (letteralmente "rispetto a qualcosa"), che già era venuta assumendo un valore tecnico nella terminologia platonico-accademica, è senz'altro elevata a designazione specifica di una delle "categorie", ossia dei predicati generalissimi della realtà, e cioè della classe costituita da tutti quei predicati la cui concepibilità era dipendente da una loro relazione con un altro predicato. Questa classificazione aristotelica dei predicati relazionali, accettata poi anche dalla dottrina stoica delle categorie, non vale peraltro a risolvere quel problema della relazione in sé considerata, che anzi non risulta da essa ancora posto. Contribuisce tuttavia a farne avvertire l'esigenza: e così già nello scetticismo esso si presenta in forma esplicita, se pure atteggiato nel senso più elementare, e cioè in quello della contrapposizione del nesso relazionale, giudicato meramente soggettivo, alla dualità o molteplicità degli elementi legati da tale nesso, ritenuti essi soli partecipi dell'oggettività del reale. Questa negazione dell'oggettività della relazione, concepita come fenomeno puramente mentale, torna del resto anche in pensatori non sospetti di scetticismo, come, p. es., in Plotino; e il neoplatonizzante Boezio ribatte: relatio nihil addit ad esse relativi.
S'intende, d'altronde, come anche il neoplatonismo dovesse essere indotto a sospingere la relazione fuori del quadro oggettivo della realtà. Viveva in esso energica l'eredità dell'eleatismo: e nessuno si poteva dire tanto nemico del concetto della relazione quanto Parmenide, il cui ente era tutto definito in funzione della sua irrelatività ad altro. L'esse relative (la cui realtà e verità vive già nella sostanza, se non nella consapevole affermazione, del pensiero di Eraclito, come poi in quello di Protagora, che però la sposta sul diverso piano del relativismo gnoseologico) è infatti immediatamente negativo di quell'esse absolute, che ogni conseguente realismo deve considerare indispensabile alla realtà, e che tanto più indispensabile doveva essere considerato da quell'estremo realista logico che fu Parmenide. La relazione infirma la realtà dei suoi elementi, in quanto mostra come nessuno di essi abbia esistenza per sé, ma sia solo in funzione dell'altro. Ogni realismo deve quindi escludere la relazione dalla realta che ritiene propriamente tale: e se, per non contraddirsi, vuol ritenere reale tutto il reale, deve considerare ogni relazione come irreale. Questo motivo di pensiero manifesta la sua influenza attraverso tutta la teologia medievale, che da esso è spinta a porsi ultimamente come "teologia negativa", appunto in quanto ogni "teologia positiva", definendo Dio e quindi ponendolo in relazione con certi attributi, lo determina e condiziona, e con ciò lo priva del carattere di assolutezza. Questo non toglie che, specialmente per l'influsso delle distinzioni aristoteliche, la filosofia scolastica cerchi di ammettere anche i nessi relazionali nel quadro della realtà: ma l'imbarazzo in cui essa cade è già evidente nello stesso tentativo di conciliare affermazione e negazione distinguendo le relationes reales (o secundum esse) dalle relationes rationis (o secundum dici), le prime oggettive e le altre soltanto soggettive. Il nominalismo medievale, d'altronde, fermo alla sua negazione empiristica di ogni realtà trascendente il dato sensibile, mantiene anche nei riguardi delle relazioni il giudizio di mero soggettivismo espresso a loro carico già nell'antichità.
Il problema si ripropone naturalmente nell'età moderna. Nel suo intrinseco adialettismo, mirante a liberare l'assoluta res da ogni condizione che possa non farla essere per se e causa sui, lo Spinoza rinnova la violenta esclusione eleatica di ogni realtà relazionale dall'ambito della realtà autentica: la negazione della qualità cartesiana delle res è in lui direttamente determinata dall'idea che, se le res fossero due, sussisterebbe tra esse una relazione che le limiterebbe entrambe. Così, quelle che il Leibniz chiama relations non esistono né come realtà pertinenti alle monadi finite né come realtà pertinenti alla monade infinita, ma solo come forma in cui quest'ultima pensa e quindi determina la coesistenza di quelle. Minore difficoltà ad ammettere la realtà delle relazioni incontra invece l'empirismo, appunto in quanto è in esso parzialmente o totalmente superato quel presupposto realistico che per l'accoglimento dei nessi di relazione nel mondo oggettivo delle cose costituisce il più duro ostacolo. Concepito il contenuto della conoscenza come risultante dai dati sensibili e dalle loro elaborazioni associative, le relazioni possono bene essere accolte nell'ambito di queste ultime, di cui vengono anzi a costituire una serie importantissima. Di qui la particolare cura con la quale empiristi come Locke e Hume cercano di determinare e classificare i varî tipi delle relazioni, dimostrandone la genesi in seno all'esperienza senziente e riflettente.
Ma la vera importanza del concetto di relazione - il quale nell'età realistica rappresenta, si può dire, il più energico tra i problemi che, sembrando riferirsi soltanto alla natura oggettiva del pensato, forzano la riflessione a volgersi alla natura soggettiva del pensante - viene naturalmente in luce quando si fa strada una più adeguata valutazione dell'opera che il pensiero svolge nella costituzione stessa del suo oggetto. Già in Kant la relazione è una delle quattro categorie fondamentali, comprendente sotto di sé quelle della sostanzialità (relazione della sostanza con l'attributo), della causalità (relazione della causa con l'effetto), e della reciprocità (relazione dei reciproci): e chi rammenti come la causalità sia in fondo la categoria fondamentale di tutta la critica kantiana, in quanto metodologia della scienza della causalità naturale, può ben scorgere l'implicita importanza già qui assegnata alla sovrastante categoria della relazione. Ciò che in Kant è implicito, diviene esplicito nel dialettismo postkantiano: già per Fichte la base di ogni possibile riferire è nella fondamentale attività dell'Io, e per Schelling la relazione è categoria primaria. Se del resto si rammenta quel che si è detto a proposito della necessità che spingeva l'antico realismo adialettico a liberare l'assoluto da ogni forma di relazione, s'intende facilmente come la scoperta della fondamentale dialetticità di ogni pensiero e quindi di ogni reale debba portare con sé una rivalutazione illimitata del concetto di relazione. Chi avverte come l'assoluto non possa mai essere lo scevro di relazione e cioè l'opposto del relativo, perché in tal caso è in relazione di contrarietà col relativo e quindi esso stesso relativo al relativo, scorge con ciò come l'assoluto non possa essere che la stessa relazione di quel che già si diceva assoluto e relativo. Questa relazione è infatti lo spirito: e il più moderno idealismo italiano, che mira a concepire più adeguatamente questo spirito cogliendolo nella sua concreta e presente storicità e attualità, non nega quella sua sostanziale identità con la relazione, ma anzi approfondisce analogamente lo stesso concetto di quest'ultima liberandola dall'astratto aspetto che la presenta come oggettivistica "relazione", e mostrando come essa di fatto consista in un soggettivistico "riferire". La necessità logica di questa conclusione è d'altronde implicitamente provata anche da coloro che pur non si pongono dal punto di vista propriamente idealistico. Così, per es., il neokantismo, sia nelle formulazioni della scuola di Marburgo sia in quelle assai diverse del Renouvier, attribuisce all'idea di relazione importanza massima considerandola come forma generale di ogni pensiero e giudizio. E, in una sfera speculativamente meno profonda, questa stessa idea, che nella sua irriducibile spiritualità costituisce ancor oggi uno dei più imbarazzanti ostacoli sulla via di ogni materialismo e realismo, conduce, per es., anche la psicologia empirica a scorgere solo nella "legge di relazione" (cioè nell'attività riferente e unificante dello spirito) l'unità psichica ormai altrimenti ingiustificabile dopo la dissoluzione humiana dell'antico concetto sostanzialistico dell'anima.
Teologia. - Per il concetto di relazione (sussistente), elemento fondamentale nella teologia cattolica, vedi trinità.