prezzi, regolazione dei
Forma di regolamentazione esercitata attraverso l’imposizione di p. al consumo, con l’obiettivo di garantire un reddito (p. minimi), o con finalità coerenti con la politica antimonopolistica (p. massimi). Il primo caso trova applicazione in politiche di sostegno a particolari settori, come avvenuto, per es. prima del 1992, con la Politica Agraria Comune (PAC). Il secondo caso si riferisce usualmente alla regolamentazione dei monopoli naturali (➔ monopolio naturale).
Il controllo dei p. può attuarsi in 3 diverse modalità, a seconda che si applichino vincoli al margine di profitto, al rendimento del capitale (rate of return regulation, ROR) o venga fissato un p. massimo (price cap regulation, CAP ➔ price cap). La prima modalità presuppone una perfetta informazione sulla struttura dei costi del regolato. L’autorità, infatti, dovrebbe essere in grado di fissare i p. determinando una percentuale di profitti massimi sui costi unitari. Tuttavia, il livello ottimale dei costi unitari è informazione privata dell’impresa, che potrebbe avere interesse ad allontanarsi da tali livelli aumentandone l’entità in maniera tale da ottenere un maggiore volume di profitti, dato il margine fissato dal regolatore. Il metodo ROR, che ha incontrato fortuna nelle politiche degli USA, prevede la fissazione di un limite al tasso di rendimento sul capitale, dati il capitale e i costi. Questa tecnica presenta alcuni svantaggi, in quanto può incentivare l’impresa a deviare dall’efficienza produttiva: essa si troverà a operare una massimizzazione del profitto sotto il vincolo imposto dal regolatore. Il modello Averch-Johnson (1962) mostra come in questo caso risulti razionale per l’azienda non minimizzare i costi, scegliendo sempre la composizione della tecnica produttiva a più elevata intensità di capitale, metodologia che ha incontrato un ampio utilizzo, per es. nella privatizzazione della British Telecom. Si prevede la fissazione di un p. massimo consentito inferiore a quello di monopolio. Secondo una versione dinamica di quest’indice (formula IPC), può essere imposto che il livello dei p. dei beni o dei servizi offerti dall’impresa regolamentata aumenti di anno in anno di una frazione dell’incremento dei p. al consumo. In questo caso, l’incremento dei p. regolamentati è sempre inferiore all’inflazione, provocandone così una diminuzione in termini reali.
L’autorità preposta alla fissazione dei p. si propone di limitare extra-rendite; tuttavia, deve anche curarsi del fatto che l’impresa possa sopravvivere nel lungo periodo e accumulare risorse per svilupparsi. Il bilanciamento di questo trade off (➔) è possibile solo qualora il regolatore possieda un’informazione completa sulla struttura di costo dell’impresa; di norma, invece, tali dati fanno parte del patrimonio informativo privato dell’azienda. Tale gap informativo può essere superato attraverso la yardstick competition e la yardstick regulation (➔ yardstick).
Nell’ottobre del 1944 furono istituiti il Comitato Interministeriale dei Prezzi (CIP) e i Comitati Provinciali dei Prezzi (CPP), con la finalità di calmierare i p. in un periodo di estrema emergenza. I Comitati disposero dapprima di un ampio potere, con la facoltà di fissare i p. per qualsiasi bene, successivamente furono previste due classi di merci: una prima con p. amministrati e una seconda con p. sorvegliati, per i quali i produttori avevano l’obbligo di comunicare eventuali variazioni, informando i Comitati sulle cause che le avevano indotte. Nel corso degli anni, classi di beni sono passate dalla prima alla seconda categoria (zucchero, pane, latte), in ragione della maturata concorrenzialità del settore. Nel 1994 la categoria dei p. sorvegliati è stata soppressa, insieme al CIP e al CPP, le cui competenze sono state trasferite al CIPE (➔).