REGOLATORE (fr. régulateur; sp. regulador; ted. Regler; ingl. governor)
Regolatori di velocità. - I regolatori di velocità delle macchine motrici sono meccanismi destinati a limitare entro un intervallo fissato gli scarti di velocità dovuti alle variazioni della coppia resistente, provocando analoghe variazioni della coppia motrice. Non tutte le motrici hanno bisogno del regolatore: può darsi infatti che già naturalmente, in seguito ad aumenti di velocità ammissibili, la coppia motrice diminuisca dal massimo fino a zero, e viceversa. Di tali proprietà autoregolatrici godono molti motori elettrici. Invece le turbine idrauliche, le turbine e le macchine altermative a vapore, e i motori a combustione interna non ne godono affatto o solo in misura insufficiente, e quindi devono essere muniti di regolatore.
Nell'insieme delle operazioni che costituiscono la regolazione è utile distinguere due parti, una esterna e l'altra interna alla macchina. La regolazione automatica esterna è basata essenzialmente su di un congegno sensibile alle variazioni di velocità e che traduce questa sua sensibilità nello spostamento di altri organi, vincendo le resistenze che si oppongono al moto. La regolazione interna utilizza l'azione del regolatore esterno per spostare quegli organi del motore dai quali dipende la coppia motrice. Questa seconda parte è dunque strettamente legata al tipo di motrice e cambia profondameme quando si passa da una categoria all'altra delle macchine sopra ricordate. La prima parte invece dipende dal tipo del motore solo per ciò che riguarda il fabbisogno di una maggiore o minore energia per la regolazione, e per qualche particolare esigenza, mentre per il resto può esser composta dei medesimi organi per categorie molto diverse di motori. E ad essa che in senso più ristretto si dà il nome di regolatore.
Le più significative classificazioni dei regolatori sono quelle impostate sui criterî relativi: alla natura del loro organo sensibile alle variazioni di velocità; al collegamento di questo organo col comando della motrice; al tipo di prestazione richiesto dal regolatore.
Per quanto riguarda il primo criterio, il regolatore può essere sensibile solo alle velocità angolari - e allora viene detto da alcuni tachimetrico, per la sua analogia coi misuratori di velocità - oppure può essere sensibile anche alle accelerazioni angolari (regolatore accelerometrico o d'inerzia). Nel primo caso il regolatore avverte solo gli effetti dell'avvenuto squilibrio dinamico; nel secondo caso avverte anche le cause. Si vedrà in seguito che un regolatore non può mai essere esclusivamente accelerometrico; è invece opportuno che possieda entrambe le qualità per assicurare la prontezza del suo intervento nei casi di brusche variazioni della coppia resistente, ad es., per il completo improvviso distacco del carico.
In ogni caso si trova nel regolatore un organo soggetto a una forza, attiva, dipendente dalla velocità o dall'accelerazione, equilibrata da una forza, antagonista, variabile a seconda della posizione. Come forze attive nei tipi tachimetrici sono usate quasi esclusivamente le forze centrifughe sia di masse solide sia, in alcune applicazioni più moderne, di masse liquide (turboregolatori). È stata proposta anche l'utilizzazione delle azioni girostatiche (Vocca). Nei tipi accelerometrici sono attive le forze tangenziali sulla corona di un volano. Come forze antagoniste servono pesi, opportunamente applicati perché la loro azione dipenda dalla posizione, e molle.
Per quanto riguarda il secondo criterio di classificazione, si distinguono i regolatori diretti, in cui il collegamento fra l'organo sensibile - masse centrifughe o corona d'inerzia, ecc. - e l'organo di comando - collare - è semplicemente cinematico, cioè costituito da leve, guide, ecc., che non modificano, se non per le resistenze passive, il lavoro reso disponibile in seguito alla variazione dell'energia cinetica, e i regolatori indiretti, in cui il collare del regolatore comanda la distribuzione di un servomotore, il quale è alimentato da altra fonte di energia, e con essa agisce sulla distribuzione della motrice da regolare.
Per quanto riguarda, infine, il terzo criterio di classificazione, si distinguono i regolatori ad azione continua e moderata da quelli ad azione intermittente e totale. I primi intervengono non appena la variazione di velocità abbia superato il limite della loro sensibilità, e agiscono solo nella misura richiesta per ricondurre la coppia motrice al nuovo valore della coppia resistente: sono quindi usati come regolatori di marcia. I secondi invece intervengono solo quando la velocità ha superato notevolmente il valore di regime, e agiscono radicalmente, annullando la coppia motrice. Possono quindi essere usati o come regolatori di sicurezza, per il caso di avaria del regolatore di marcia, ovvero come regolatori di massima delle motrici sprovviste di regolazione automatica, come sono di solito quelle destinate alla locomozione; oppure ancora come grossolani regolatori di marcia, secondo il sistema cosiddetto per tutto o niente.
La differenza sostanziale fra i regolatori di sicurezza e quelli di massima sta in ciò, che nei primi è bene che i meccanismi siano disposti in modo che la motrice non riprenda a funzionare senza una manovra del personale preposto alla sorveglianza della macchina, che così potra accertare e riparare l'inconveniente che ha provocato lo scatto del regolatore; nei secondi invece la ripresa avverrà automaticamente non appena la velocità sarà scesa a valori ammissibili.
Proprietà dei regolatori. - In relazione con le loro finalità, già dichiarate al principio, i regolatori devono possedere alcune proprietà tra le quali hanno speciale importanza la stabilità, l'irregolarità permanente e transitoria e il lavoro di regolazione.
Il sistema complessivo della regolazione è stabile nel senso più largo se a ogni variazione di velocità fa corrispondere una variazione della coppia motrice in senso contrario e di ampiezza tale da far ritornare la macchina in equilibrio con moto oscillatorio smorzato. La stabilità è goduta solo in un certo campo di regolazione, fuori del quale il regolatore non è più capace di ristabilire l'equilibrio dinamico.
Grado d'irregolarità totale è definito il quoziente della differenza fra la velocità massima, corrispondente alla marcia a vuoto, e la velocità minima, corrispondente alla marcia a pieno carico, per la velocità media. Nel fenomeno dell'irregolarità possiamo ravvisare tre cause: la insensibilità interna, per cui, data l'esistenza di attriti nelle sue guide e articolazioni, il regolatore non avverte le forze eccitatrici prima che siano variate di una quantità finita; l'insensibilità esterna, dovuta agli attriti negli organi esterni della regolazione; e la staticità, proprietà strettamente connessa con la stabilità ma non identificabile con essa, cioè quella per cui ogni posizione del collare del regolatore corrisponde a un diverso valore della velocità media di regime. Grosso modo possiamo dire che il grado d'irregolarità totale è la somma della staticità e della media delle insensibilità totali agli estremi del campo di regolazione.
Si è accennato anche a una irregolarità transitoria. Di fatto durante gl'indugi della regolazione, prodotti dalla insensibilità e dall'inerzia del motore, la velocità può subire variazioni notevoli, che sono poi annullate del tutto o in parte quando si è raggiunto il regime corrispondente alle nuove condizioni di carico.
Lavoro di regolazione è il lavoro delle resistenze che i distributori oppongono al loro spostamento completo, dalla posizione di marcia a vuoto a quella di pieno carico. Esso dipende dalla grandezza e dal tipo della motrice. Raggiunge i suoi maggiori valori per le turbine idrauliche, i minori per i motori a combustione interna.
Poiché il lavoro di regolazione, per i regolatori diretti (senza servomotore), è dato dalle stesse forze che provocano l'insensibilità esterna, è naturale che esista una relazione fra queste due proprietà. Precisamente nell'ipotesi che le forze siano costanti, si trova che il lavoro di regolazione è proporzionale al grado d'insensibilità esterna, inteso come il rapporto tra lo scarto massimo di velocità non avvertito dal regolatore per questa causa e la velocità media.
Regolatori diretti a masse centrifughe. - Il moto relativo dei centri delle masse rispetto all'asse di rotazione può svolgersi in un piano longitudinale o trasversale. Nel primo caso il collare assume la forma di un manicotto che si trasla lungo l'asse (regolatore a manicotto), nel secondo quella di un anello variamente sfasato sull'albero che lo porta (regolatore assiale).
Si può considerare come prototipo dei regolatori a manicotto il pendolo conico di Watt (fig. 1), detto così perché se i bracci sono imperniati sull'asse e, come forza antagonista della forza centrifuga, è usato solo il peso delle stesse masse centrifughe, la velocità angolare di regime è uguale alla pulsazione di un pendolo lungo quanto la proiezione del braccio sull'asse di rotazione.
Altri schemi di regolatori in cui la forza antagonista oltre che dal peso delle masse centrifughe è costituita anche da urne che gravano sul collare, sono presentati nella fig. 2. I varî tipi differiscono per essere le masse portate da bracci oscillanti (a, b, c) o da bielle (e, f), o nel loro punto di articolazione (d); per essere i bracci aperti diritti (a, d, e), a ginocchio (c) oppure incrociati (b, f).
La fig. 3, mostra, invece, regolatori in cui la forza centrifuga è equilibrata soprattutto dalla reazione di molle variamente disposte: longitudinalmente nelle prime tre figure, trasversalmente nelle d, e, in entrambe le direzioni nella f. Particolarmente opportuni sono i tipi d, ed e (Hartung), in quanto reagendo in essi le molle direttamente contro le masse, le articolazioni del regolatore risultano pressoché scariche e quindi sviluppano attriti assai minori che in altri tipi. Per questo pregio di grande sensibilità interna, oltre che per altri favorevoli caratteri costruttivi, lo schema d può considerarsi come quello della maggioranza dei regolatori di marcia oggi in uso.
I regolatori assiali possono avere schemi molto somiglianti a quelli dei tipi longitudinali a molle. Così nella fig. 4 si vedono le masse centrifughe m imperniate in A a bracci solidali con l'asse di rotazione, richiamate dalla tensione delle molle f e collegate mediante le biellette b al collare c.
Regolatori diretti accelerometrici. - Lo schema più semplice di regolatore sensibile alle accelerazioni angolari è quello della fig. 5, costituito da un anello pesante collegato all'asse di rotazione da molle. Un tipo così fatto non potrebbe però trovare pratico impiego come regolatore di marcia, in quanto essendo necessariamente affetto da una certa, per quanto piccola, insensibilità, non impedirebbe alla velocità di variare entro limiti comunque ampî, purché le variazioni si producessero con sufficiente lentezza.
È dunque necessario completare lo schema con l'aggiunta di masse centrifughe, che conferiscano al regolatore anche proprietà tachimetriche. A titolo d'esempio sono presentati nella fig. 6 due schemi: il primo è ricavato da quello della fig. 4, trasportando il collare c all'esterno e dandogli la forma di un volano; il secondo è invece ricavato dallo schema della fig. 5, con l'aggiunta di leve a squadra l, che portano le masse centrifughe. In entrambi gli schemi uno stesso sistema di molle, riducibili anche a una sola, come nel regolatore Lentz, serve a contrastare gli effetti sia della velocità sia dell'accelerazione, purché sia definito un solo senso di rotazione. Il grado d'irregolarità permanente dei regolatori misti è quello del solo sistema tachimetrico: risulta ridotto invece il grado d'irregolarità transitoria.
Regolazione indiretta. - Il motore posto a servizio del regolatore per il governo della motrice è di solito una macchina a stantuffo a doppio effetto, o ad altra disposizione analoga (v. servomotori) con un distributore a cassetto cilindrico, che secondo le posizioni assunte tiene chiuse entrambe le camere del servomotore, ovvero le pone in comunicazione sia col serbatoio contenente il liquido compresso sia con una vasca di raccolta dello scarico.
L'utilizzazione del servomotore nella regolazione non può consistere semplicemente nel collegarne il cassetto al collare del regolatore e lo stelo alla distribuzione della motrice, perché uno stato di regime del sistema è possibile soltanto quando le luci del cassetto del servomotore sono chiuse, ciò che accade per una sola posizione del cassetto. Quindi se il moto del cassetto dipendesse solo da quello del collare del regolatore, il funzionamento a regime avverrebbe per una sola velocità. Comunque grande fosse la staticità del regolatore la regolazione sarebbe "astatica", e instabile. Si dimostra infatti che le oscillazioni della velocità intorno all'unico valore ammissibile non sarebbero smorzate.
Bisogna dunque far sì che le posizioni del cassetto siano funzione non solo della velocità (posizione del collare), ma anche della coppia motrice (stelo del servomotore). La fig. 7 mostra il più semplice sistema di asservimento: è caratteristica di esso la leva a tre fulcri A B C, che stabilisce una relazione lineare fra i moti del collare, del cassetto e dello stelo. Che in questo modo il sistema abbia acquistato una staticità è facile vedere pensando che sono posizioni di regime tutte quelle per cui la leva passa per B, sicché a ogni posizione di C (coppia motrice) corrisponde una diversa posizione di A (velocità). Che il sistema sia anche divenuto stabile, si dimostra analizzando la cosiddetta equazione del servomotore, cioè la relazione lineare fra i tre spostamenti di A, di B e di C, interpretati rispettivamente come proporzionali alla velocità, alla rapidità di variazione della coppia motrice, e alla coppia. Ne discende una equazione differenziale del tipo:
dove γ è lo scarto relativo della velocità dal suo valore di regime, δ è il grado d'irregolarità permanente del regolatore, Tc è il tempo necessario per il passaggio dalla massima coppia motrice a zero, Ta è il tempo necessario per il passaggio dal riposo alla velocità di regime, sotto una coppia acceleratrice uguale alla coppia motrice massima. L'equazione (1) definisce un moto oscillatorio smorzato; tanto più smorzato quanto minore è il rapporto Tc/δTa: il moto sarebbe addirittura aperiodico se si potesse fare il rapporto suddetto minore di ¼.
Ora, per rendere piccolo il tempo di chiusura Tc, occorre che il servomotore sia molto energico, e quindi abbia larghe luci di passaggio attraverso il cassetto, e forti pressioni di fluido; perché sia grande il tempo di avviamento Ta, bisogna che la motrice abbia un rilevante momento di inerzia, e perché sia grande δ occorre usare un tipo di regolatore a sufficiente staticità.
Quest'ultima qualità può coesistere con un grado d'irregolarità permanente ridotto addirittura a zero (salvo l'insensibilità) o anche negativo, ricorrendo ai sistemi isodromi o iperisodromi, nei quali la leva a tre fulcri, od organo analogo di altri schemi, non è collegata al servomotore rigidamente, ma con l'interposizione di meccanismi deformabili. Nello schema della fig. 8 l'isodromia è data dall'interposizione di un freno a olio e dall'aggiunta di una molla. Il sistema non può essere a regime finché la molla non si sia distesa e quindi il punto C sia tornato nella posizione iniziale. Lo stesso vale, come sappiamo, per B; quindi anche A deve tornare sempre allo stesso punto e la velocità di regime è una sola.
Le cose stanno però ora ben diversamente che nel caso del mancato asservimento, perché il freno a olio durante i movimenti rapidi si comporta come un'asta rigida e il regolatore mette la motrice in condizioni di equilibrio dinamico a una velocità diversa da quella di origine. Successivamente, a poco a poco, il freno cede sotto la spinta della molla, il cassetto è spostato e fa rientrare in azione il servomotore provocando un eccesso di regolazione che ripristina la velocità iniziale.
Qualche volta, per grandi lavori di regolazione, il principio del servomotore è applicato in due gradi: il regolatore comanda il cassetto di un primo servomotore piccolo che a sua volta aziona il cassetto del servomotore maggiore.
Turboregolatori. - Possono chiamarsi così quei regolatori nei quali l'organo sensibile alle velocità è il liquido contenuto in una pompa centrifuga: il collare del regolatore è solidale con uno stantuffo o con una membrana, sollecitati dalla pressione del liquido, che è proporzionale al quadrato della velocità, e con l'azione antagonista di una molla (fig. 9: Calzoni).
Un regolatore di questo genere si presta particolarmente per la connessione con un servomotore, il cui liquido agente è quello stesso compresso dalla pompa centrifuga. Così nello schema della fig. 10 (Sulzer), il cassetto distributore è in equilibrio sotto l'azione della pressione creata dalla centrifuga sotto lo stantuffo S e della spinta della molla antagonista K. Quando la velocità aumenta, prevale l'azione della pressione, il cassetto s'innalza e scopre la luce di scarico della camera inferiore 2 del servomotore, il cui stantuffo differenziale sotto la pressione che si esercita permanentemente nella camera superiore 1 si abbassa e muove l'albero del regolatore. Per mezzo della leva L, la tensione della molla è fatta dipendere dalle posizioni del servomotore: da esse dipende quindi anche la pressione dell'olio capace di equilibrare questa tensione. Si è così realizzato l'asservimento rigido, con una certa staticità, perché a ogni valore della coppia motrice corrisponde un diverso valore della velocità di regime. Nello schema della fig. 10 si vede accennato anche un asservimento idraulico che concorre col primo. È costituito da un tubo fra la camera 3 del servomotore e una camera superiore allo stantuffo del cassetto. Il liquido racchiuso nel sistema formato dal tubo e dalle due camere tende a mantenere un volume costante e quindi stabilisce un altro legame quasi rigido fra lo stantuffo motore e il cassetto.
Variazione del regime dei regolatori. - I dispositivi che permettono di variare a volontà la velocità di regime di una motrice provvista di regolatore automatico sono diversi secondo l'importanza delle variazioni desiderate.
Se le variazioni sono molto piccole, inferiori al grado di staticità del regolatore, può bastare una modificazione del meccanismo di connessione fra il collare e la distribuzione o il servomotore. Ciò equivale di fatto a cambiare la funzione velocità-coppia. Agendo in questo modo però si restringe il campo massimo di regolazione, perché a una delle posizioni estreme del collare non corrisponderà più la coppia limite (massima o nulla). Per la validità del metodo occorrerà dunque impiegare regolatori a forte staticità, utilizzati normalmente solo per una frazione del loro campo di regolazione.
Variazioni più importanti di velocità si possono avere agendo sull'equilibrio degli organi interni del regolatore: modificando, per es., la tensione di una molla ausiliaria applicata alla leva del regolatore. L'importanza delle variazioni consentite dipende dall'importanza della molla ausiliaria rispetto alle molle antagoniste principali. Quando le variazioni richieste fossero molto grandi, è meglio agire direttamente su queste ultime, cosa che è abbastanza facile con gli schemi a molle longitudinali (a, b, c, f, della fig. 3), avendo riguardo a non alterare eccessivamente a staticità, e a conservare la stabilità.
Bibl.: M. Tolle, Die Regelung der Kraftmaschinen, Berlino 1909; M. Dornig, Macchine termiche e idrauliche, Milano 1932.
Regolatori elettrici.
I regolatori elettrici sono apparecchi destinati a mantenere costante, o a far variare, secondo una legge prefissata, una delle grandezze agenti in un circuito o in una macchina elettrica. La grandezza regolata può essere elettrica (intensità di corrente, differenza di potenziale, potenza, ecc.) o meccanica (velocità di un motore, coppia da esso sviluppata).
Si regola la corrente nei circuiti alimentati da forze elettromotrici costanti, inserendovi resistenze variabili (reostati) o reattanze variabili (reattori); la tensione fornita dalle batterie di accumulatori o dai trasformatori si regola variando, mediante sommatori o inseritori, il numero degli elementi in serie utilizzati nella batteria, ovvero il numero delle spire in serie utilizzate nel trasformatore; si regolano le forze elettromotrici agenti nei circuiti percorsi da correnti alternative polifasi, inserendovi regolatori a induzione, atti a indurvi forze elettromotrici supplementari, regolabili in ampiezza e in fase. La regolazione della tensione ai morsetti e della corrente erogata nelle macchine generatrici, nonché quella della velocità del rotore e della coppia meccanica sviluppata nei motori elettrici, si ottengono variando la corrente di eccitazione, la resistenza del circuito d'indotto, ovvero la posizione delle spazzole in talune macchine a collettore.
Anche i regolatori elettrici, come quelli meccanici, possono essere comandati dall'uomo, oppure automaticamente dalle stesse variazioni della grandezza da regolare. Il comando manuale può anche essere effettuato indirettamente mediante servomotori, e a distanza, inviando, mediante la chiusura di un interruttore, la corrente di eccitazione negli avvolgimenti di un elettromagnete o di un motore (relais), che mettono in moto gli organi di regolazione. Il comando automatico è effettuato da relais, i quali, inseriti nel circuito come ordinarî strumenti di misura, ogni qual volta le variazioni della grandezza sotto controllo rendono necessaria la regolazione, vengono percorsi da corrente e azionano il regolatore.
Ai regolatori elettrici si possono estendere molti dei criterî di classificazione e suddivisione che differenziano i regolatori usati negli altri campi della tecnica. Anche i regolatori elettrici possono essere statici o astatici, ed hanno un certo grado d'insensibilità, quando in essi si verificano giuochi o attriti meccanici. Essi possono effettuare la manovra direttamente (regolatori ad azione diretta) o indirettamente mediante servomotori (regolatori ad azione indiretta).
Regolazione degli alternatori (vedi anche dinamoelettriche, macchine). - Quando più alternatori sono disposti in parallelo a produrre energia elettrica, come avviene di regola nei grandi complessi di produzione, le velocità delle singole macchine vengono mantenute fra loro invariabilmente proporzionali dalle coppie sincronizzanti che automaticamente sorgono quando una di esse tende a perdere il passo. La velocità del complesso, e quindi la frequenza delle correnti, viene mantenuta costante, entro limiti prefissati, dai regolatori meccanici di tutte le motrici contemporaneamente. La potenza erogata da ogni singola macchina, e quindi la coppia trasmessale dalla rispettiva motrice, è definita anch'essa dalla posizione del regolatore di quest'ultima, che controlla l'ammissione del fluido motore. Nessuna ulteriore regolazione è quindi necessario effettuare su queste grandezze.
I regolatori elettrici provvedono a controllare il valore della tensione fornita dal complesso generatore, per mantenerla costante, o farla crescere leggermente col carico (regolazione ipercompound), onde ottenere la costanza della tensione in un punto a valle della linea di trasmissione.
La regolazione della tensione si ottiene variando l'eccitazione degli alternatori, e di conseguenza i relativi flussi induttori, ai quali, qualora la velocità sia costante, sono proporzionali le forze elettromotrici sviluppate.
Si provvede inoltre, su ogni macchina, all'inserzione di un regolatore limitatore d'intensità, che provvede a ridurre l'eccitazione dell'alternatore quando il carico tende a superare notevolmente il valore normale, onde evitare l'apertura troppo frequente dell'interruttore automatico di protezione, comandato dal relais di massima corrente (v. relais). I limitatori d'intensità sono analoghi ai regolatori di tensione, e contemporaneamente a questi essi verranno in appresso descritti.
L'eccitazione è ottenuta, nei moderni impianti, derivando la corrente continua da una dinamo (eccitatrice), calettata sullo stesso asse dell'alternatore. La regolazione dell'eccitazione dell'alternatore si fa, di regola, variando l'eccitazione dell'eccitatrice, si evita così qualunque organo di regolazione nel circuito delle correnti di eccitazione dell'alternatore, che raggiungono spesso intensità di molte centinaia di ampère.
Sul circuito di eccitazione dell'eccitatrice (fig. 11) sono disposti in serie due reostati (reostati di campo): uno (R′) per la regolazione manuale del valore medio dell'eccitazione, e l'altro (R″) per la regolazione automatica rapida.
I reostati di campo (fig. 12) sono resistenze variabili per gradi, costituite da spirali di materiale metallico di alta resistività (generalmente costantana), avvolte su supporti isolanti, o fissate a un telaio, e collegate a una tastiera, sulla quale si sposta una spazzola, manovrata a mano, mediante un volantino, o dal regolatore automatico. I grossi reostati, nei quali il calore sviluppato per effetto Joule non può essere tutto smaltito nell'aria per refrigerazione naturale, vengono immersi nell'olio.
Un regolatore automatico di tensione si può schematicamente concepire (fig. 11) come un voltmetro a induzione inserito fra i morsetti dell'alternatore, capace di trascinare nel suo moto il cursore del reostato di campo. La coppia resistente può essere fornita da un peso P sostenuto da un filo avvolto su un tamburo, o da una molla elastica. Nel primo caso, la tensione capace di equilibrare la coppia resistente è una sola, e il regolatore è astatico; nel secondo, il regolatore può assumere posizioni diverse di equilibrio sotto tensioni diverse, e ha quindi un certo grado di staticità.
Per evitare oscillazioni pendolari, provocate dall'inerzia delle masse in moto, che si ripercuoterebbero in oscillazioni della tensione regolata, occorre sempre introdurre nel regolatore un dispositivo di smorzamento: nel nostro caso, esso potrebbe essere semplicemente costituito da un magnete permanente M, atto a indurre correnti parassite nel disco in moto. Spesso, poi, si esalta volutamente l'inevitabile insensibilità meccanica del regolatore di tensione, allo scopo di permettere al reostato di campo di restare in equilibrio in una delle posizioni della sua scala discontinua, senza oscillare continuamente fra due di esse, quando la regolazione esatta della tensione coorrisponderebbe a una posizione intermedia.
Negl'impianti polifasi, i regolatori di tensione vengono fatti governare da un campo rotante creato dal sistema polifase delle tensioni, onde renderli sensibili anche alle sovratensioni dissimmetriche provocate da fenomeni transitorî.
Per ottenere la regolazione ipercompound della tensione, si rende il regolatore sensibile anche al valore del carico, facendo percorrere l'avvolgimento attraversato dalla corrente voltmetrica anche da una frazione della corrente di linea. D'altronde, tutti i regolatori di tensione che verranno descritti si possono adattare a funzionare da regolatori d'intensità, quando vengano fatti governare, anziché dalla corrente voltmetrica, da una corrente proporzionale a quella di linea, ottenuta mediante un trasformatore riduttore di corrente.
Sul concetto informatore del voltmetro a induzione è basato il regolatore rapido ad azione diretta Brown Boveri, ideato da Guttinger; altri regolatori sono quelli Thury e Tirrill (v. dinamoelettriche, macchine). Il regolatore Mes è analogo al Tirrill nel principio di funzionamento, ma eostruttivamente più semplice e adatto per piccole macchine (fig. 13; a destra è indicato il particolare). Il reostato di campo della dinamo viene cortocircuitato attraverso il contatto che periodicamente si verifica fra i martelletti K e N, a causa del moto di oscillazione impresso a quest'ultimo da un eccentrico E calettato sull'asse della dinamo. La posizione di riposo del martelletto N è regolata dal gancio U, solidale con il nucleo P di un relais voltmetrico S: da questa posizione dipende la durata del contatto e quindi il tempo di corto circuito del reostato.
Regolazione delle dinamo (v. anche dinamoelettriche, macchine). - Nelle dinamo a tensione costante la velocità viene mantenuta costante dal regolatore meccanico della motrice; la coppia e la corrente variano in ragione del carico e non occorre provvedere alla loro regolazione: solo un limitatore d'intensità, o un relais di massima corrente, possono provvedere a diseccitare la macchina in caso di corto circuito. L'unica grandezza da controllare con i regolatori elettrici è la tensione ai morsetti della macchina, la quale anche qui può essere mantenuta costante, o si può fare crescere col carico, onde compensare, con la sua regolazione, le cadute di tensione lungo la linea di trasmissione.
Anche nelle dinamo la regolazione della tensione ai morsetti si ottiene variando la corrente di eccitazione, mediante la manovra del reostato di campo: nelle dinamo a eccitazione derivata, questo è inserito in serie nel circuito di eccitazione. A comandare il reostato di campo si adottano regolatori automatici analoghi, e talvolta identici, a quelli usati per la regolazione degli alternatori; l'organo che più differisce nei due casi è il relais voltmetrico, che deve essere sensibile, per la regolazione delle dinamo, alle correnti continue. I regolatori di tipo Thury, Tirrill e Mes differiscono pertanto assai poco da quelli analoghi usati per correnti alternate; nel regolatore Guttinger, il motore a induzione a tamburo di alluminio è sostituito da un motore a corrente continua, del tipo di quelli usati nei contatori di energia elettrica per corrente continua.
Più frequentemente le dinamo a tensione costante sono fornite di eccitazione composta (compound), e ogni regolazione della tensione diviene inutile, essendo la macchina autoregolatrice per tensione costante o crescente col carico.
Nelle dinamo a corrente costante, destinate all'alimentazione di circuiti nei quali si vogliono contenere le variazioni della corrente entro limiti prefissati, occorre all'uopo variare la tensione ai morsetti proporzionalmente alla resistenza del circuito esterno.
Queste macchine hanno assunto grande diffusione specialmente nell'industria elettrochimica e in quella della saldatura elettrica, caratterizzate dall'impiego di tensioni modeste e di forti correnti, la cui intensità occorre mantenere costante, ad onta delle variazioni brusche e impreviste della resistenza dei circuiti di utilizzazione.
Anche le dinamo eccitate in serie, che più generalmente si usano all'erogazione di corrente costante, possono essere regolate mediante reostati di campo: essi sono inseriti, in queste macchine, in parallelo col circuito magnetizzante, e permettono di ridurre la corrente di eccitazione, che in esso circola, rispetto a quella, costante, di armatura, quando la diminuita resistenza del circuito esterno richiede una riduzione della tensione ai morsetti. Il comando del reostato è affidato ai regolatori automatici di corrente, analoghi a quelli di tensione, ma comprendenti, quale organo di comando, invece del relais voltmetrico, un relais ampermetrico, sensibile alle variazioni della corrente erogata. La regolazione della tensione ai morsetti, e quindi della corrente erogata dalle dinamo in serie può anche essere ottenuta mediante spostamento delle spazzole: questo metodo, caratteristico delle vecchie macchine Thomson Houston, richiede particolari accorgimenti per evitare gli scintillamenti al collettore.
Le più svariate possibilità di regolazione e di utilizzazione delle correnti continue a intensità costante sono offerte dalla metadinamo, di recente ideazione ed incipiente diffusione nella tecnica. Questa macchina si può concepire come una dinamo, nella quale le funzioni d'induttore e d'indotto sono assolte contemporaneamente dal rotore. Lo statore manca spesso del tutto, o è mantenuto per funzioni accessorie. Il collettore convoglia al rotore le correnti di eccitazione e ne deriva quelle indotte; le spazzole sono all'uopo più numerose che nelle comuni dinamo, e, a seconda delle loro connessioni mutue, con la linea di alimentazione e con i circuiti di utilizzazione, la metadinamo può funzionare: da trasformatrice di correnti continue (metatrasformatrice), che nella più importante applicazione fornisce corrente costante, quando viene alimentata a tensione costante, o viceversa; da generatrice di corrente costante (metageneratrice); o, infine, da motore (metamotore) alimentabile a corrente costante.
Fra i campi più importanti di applicazione della metadinamo, sono la trazione elettrica, dove i motori possono mediante essa venire alimentati a corrente costante, mentre la linea aerea fornisce tensione costante, e gl'impianti a bordo delle navi, che possono venire alimentati, in serie, a corrente costante, producendo l'energia elettrica mediante metageneratrici.
Realizzazione particolare di metadinamo generatrici, ancorché ideate molto prima delle altre, si possono considerare le Dinamo Rosenberg regolate per reazione d'indotto, destinate in origine ad alimentare a corrente costante i circuiti d'illuminazione nei treni, derivando il moto dagli assi del convoglio, dotati di velocità variabile e reversibile. La fig. 14 rappresenta schematicamente una di queste dinamo, utilizzata a fornire corrente in un circuito di saldatura ad arco: le forze elettromotrici agenti nel circuito di utilizzazione, facente capo alle spazzole B1 e B2, sono provoeate dal campo induttore principale F2, diretto in figura verso l'alto; questo non è direttamente generato dall'avvolgimento di eccitazione, disposto intorno al giogo magnetico, e percorso, come in una macchina eccitata in serie, dalle stesse correnti di utilizzazione. Queste generano, invece, un debole campo F1, diretto in figura in senso orizzontale, il quale induce nell'armatura una corrente, che si chiude attraverso le spazzole secondarie b1 e b2, poste in corto circuito; il campo principale F2 è costituito dal campo di reazione di questa corrente di corto circuito: esso si chiude attraverso i poli, che all'uopo sono forniti di espansioni molto sporgenti. Al campo primario F1 si oppone, senza tuttavia giungere ad annullarlo, il campo di reazione F3, generato dalle correnti principali di utilizzazione: ad un aumento di queste corrisponde quindi una riduzione del campo primario F1 e dell'eccitazione generale della macchina, col ritorno istantaneo di quelle stesse correnti al valore primitivo. Il valore costante della corrente da erogare si può regolare variando lo spessore dell'interferro, mediante lo spostamento dei poli, ottenuto, come è illustrato in figura, con viti comandate da volantini.
Regolazione della tensione nelle trasmissioni di energia a grande distanza. - Lungo una linea di trasmissione di energia elettrica si verifica, per la sua impedenza, una caduta di tensione, la cui entità varia col carico: è quindi necessario provvedere alla regolazione della tensione in arrivo, per ottenere la sua costanza, necessaria agli scopi della utilizzazione.
Nelle linee di trasmissione di corrente alternata, per le quali, a causa della loro importanza, il problema presenta il più grande interesse, la regolazione richiesta si può ottenere seguendo tre principî diversi: si può, in primo luogo, rendere costante la caduta di tensione, mercé l'inserzione, all'estremo di arrivo, di condensatori o di motori sincroni sovraeccitati, atti ad assorbire carichi capacitivi, e regolare quindi, indipendentemente dal carico, per valore costante la tensione in partenza. Per questo, che è il metodo principe per la regolazione della tensione nelle grandi trasmissioni di energia elettrica, v. rifasamento.
Si può, in secondo luogo, conoscendo la caduta di tensione in funzione del carico, regolare l'eccitazione degli alternatori in relazione a quest'ultimo, in modo da compensare la caduta variabile mediante una variazione contraria della tensione ai morsetti degli alternatori (regolazione ipercompound). Occorre all'uopo soltanto che i regolatori di tensione dei generatori vengano resi sensibili anche alle variazioni del carico, e si è visto come ciò si possa ottenere, fornendoli di un circuito ampermetrico oltre a quello voltmetrico. Questo sistema molto semplice non può essere adottato quando gli alternatori forniscono energia a più di una sottostazione, ché allora la regolazione non potrebbe seguire le esigenze dei diversi carichi. La regolazione della tensione dei generatori non può, d'altra parte, essere illimitata: per ragioni costruttive, essa raramente può eccedere il 2000 del valore medio della tensione.
Il terzo metodo per la regolazione per valore costante della tensione nel circuito di utilizzazione, che può essere anche adottato ogni volta che da una tensione variabile se ne voglia ricavare una costante, consiste nel collegare gli utilizzatori alla linea di trasmissione attraverso trasformatori a rapporto variabile, ovvero nell'inserire, in serie con la linea e il circuito di utilizzazione, un regolatore a induzione, capace d'indurre nel circuito forze elettromotrici alternative, delle quali si può regolare l'ampiezza e la fase, in modo che risulti costante la loro somma vettoriale con la tensione fornita in arrivo dalla linea di trasmissione.
I trasformatori a rapporto variabile possono essere costituiti dagli stessi trasformatori riduttori di tensione della sottostazione. Essi si adottano anche per l'alimentazione di motori regolati per tensione variabile, e costituiscono, ad esempio, il mezzo più comodo di regolazione in alcuni locomotori elettrici a corrente alternata, nei quali la presenza del trasformatore è già imposta da altre ragioni.
L'avvolgimento secondario di un trasformatore (fig. 15) è collegato in punti diversi ai morsetti di una tastiera, ed un corsoio, scorrendo su di essa, permette di derivare la corrente secondaria utilizzando un numero variabile di spire secondarie. Si può così ottenere, manovrando il corsoio, di derivare tensioni secondarie variabili, se il primario è alimentato a tensione costante, ovvero tensione secondaria costante, anche se l'alimentazione primaria è fatta a tensione variabile.
Ostacolano l'uso di un dispositivo così semplice le difficoltà che sorgono quando si voglia manovrare il corsoio sotto carico: se esso è più stretto dell'intervallo esistente fra due morsetti successivi, la corrente viene interrotta durante la commutazione; se il corsoio è invece più largo di quell'intervallo, esso viene a toccare durante il suo movimento contemporaneamente due morsetti successivi della tastiera, e pone in corto circuito le spire fra essi comprese.
Si riesce a ovviare a queste difficoltà mediante l'uso di speciali dispositivi detti inseritori, che sono analoghi a quelli adottati nei sommatori per batterie di accumulatori. Il circuito di utilizzazione è collegato, come mostra la fig. 16, al centro di una spirale di reattanza L, i cui estremi fanno capo ai due corsoi c′e c″, fra loro solidali, e posti ad una distanza mutua sufficiente perché almeno uno di essi sia sempre a contatto con un morsetto della tastiera. Nella posizione b, l'alimentazione del circuito di utilizzazione è ancora assicurata attraverso il corsoio c′ e metà della spirale L; nella posizione c, il gruppo di spire interessato si trova chiuso in corto circuito attraverso la reattanza L, e il valore di questa è proporzionato a rendere tollerabile la corrente che in questa posizione si stabilisce.
Nei grossi trasformatori a prese variabili, nei quali può la commutazione, nonostante l'artificio descritto, risultare ancora difettosa, anche ricorrendo a commutatori immersi in olio, si provvede alla regolazione ricorrendo al doppio avvolgimento secondario (fig. 17). Durante il funzionamento di regime, i due rami del secondario alimentano in parallelo il circuito di utilizzazione. La commutazione viene effettuata sui due circuiti successivamente, previa apertura del rispettivo interruttore. Durante la manovra di uno dei contatti, il carico risulta interamente affidato all'altro avvolgimento, senza che questo venga danneggiato dal momentaneo sovraccarico, a causa della brevità della sua durata.
Analogo al trasformatore a prese variabili è l'autotrasformatore a prese variabili, che viene adottato in suo luogo quando la tensione regolata differisce di poco dal valore medio di quella non regolata. Primario e secondario sono (fig. 18), in questo apparecchio, riuniti in un unico avvolgimento, collegato a due morsetti fissi, ai quali fa capo il circuito primario, e ad una tastiera, sulla quale scorre il corsoio del circuito secondario. Anche qui può essere effettuata la commutazione mediante l'interposizione di spirali di reattanza. L'autotrasformatore risulta molto più economico del trasformatore equivalente, perché il suo unico avvolgimento risulta, nella parte più importante, percorso in senso inverso dalle correnti primaria e secondaria, ciò che porta a una riduzione notevole delle dissipazioni di energia per effetto Joule.
La manovra dei contatti mobili dei trasformatori e degli autotrasformatori a prese variabili viene effettuata, di regola, da apparecchi automatici di varia costituzione, governati da relais sensibili alle variazioni della tensione da regolare.
Hanno acquistato importanza in tempi recenti, per la crescente diffusione dei circuiti d'illuminazione a lampade in serie a corrente costante, i trasformatori autoregolatori per corrente secondaria costante, che sono capaci di fornire una corrente costante su un circuito secondario di resistenza variabile, quando vengano alimentati a tensione primaria costante. Sono (fig. 19) trasformatori a mantello, nei quali la spirale secondaria S può scorrere sul nucleo verticale del circuito magnetico, alla base del quale è fissa la spirale primaria P. L'azione elettrodinamica delle correnti, che hanno nei due avvolgimenti direzioni opposte, spinge verso l'alto la spirale mobile, il cui peso è già in parte equilibrato da un contrappeso T. Quando diminuisce la resistenza del circuito secondario, tende a crescere la corrente e l'azione elettrodinamica, vincendo il peso, provoca l'innalzamento della spirale mobile. Crescono, in tal modo, le dispersioni nel circuito magnetico, e, a parità di tensione primaria, quella secondaria risulta diminuita, e la corrente può riprendere, non ostante la mutata resistenza, il valore primitivo. Il valore della corrente secondaria costante può essere fissato regolando il carico del contrappeso.
Il regolatore a induzione è analogo a un motore a campo rotante ad indotto avvolto, che, impedendo la rotazione del rotore, vien fatto funzionare come un semplice trasformatore. Facendo percorrere le fasi dell'induttore da correnti polifasi, atte a generare un campo rotante, vengono da questo provocate nell'indotto delle forze elettromotrici alternative, la cui fase dipende dalla posizione geometrica in cui è stato fissato il rotore, mentre da questa posizione è indipendente la loro ampiezza. Gli avvolgimenti dello statore vengono collegati (fig. 20; a sinistra lo schema dei collegamenti, a destra lo schema elettrico dell'inserzione) in serie sulla linea, mentre quelli del rotore sono da questa derivati e connessi a stella. La tensione all'uscita del regolatore, pari alla somma vettoriale di quella applicata e di quella indotta dal campo rotante, varia al variare della posizione del rotore come indica il diagramma di fig. 21, nel quale i vettori V1, Es, V2 rappresentano rispettivamente la tensione a monte del regolatore, la forza elettromotrice fornita da questo, e la tensione a valle: il cerchio è il luogo sul quale varia, al variare della fase di Es, l'estremo di V2, quando V1 resta costante.
Si può proporzionare il regolatore in modo che tutte le variazioni della tensione applicata possano venire compensate mediante opportuni spostamenti di fase del rotore, sì da mantenere costante la tensione complessiva.
Si può ottenere d'indurre nel circuito una forza elettromotrice di fase costante e di ampiezza regolabile, mediante i regolatori doppi, che si ottengono dall'accoppiamento meccanico di due regolatori semplici uguali, aventi i rotori spostabili di angoli uguali in senso inverso: le due forze elettromotrici generate, uguali in ampiezza, e aventi rispetto alla tensione applicata fasi uguali e di segno opposto, si compongono in una forza elettromotrice in fase con la tensione applicata, e di ampiezza regolabile in valore e segno mediante la rotazione uguale ed opposta dei due rotori.
I regolatori a induzione di piccola e media potenza sono in aria, spesso ventilati artificialmente; quelli di grande potenza sono immersi in olio, e vengono regolati dall'esterno del cassone che li contiene.
Regolazione dei motori elettrici. - Sono descritti nella voce dinamoelettriche, macchine i metodi adottati per la regolazione elettrica della velocità del rotore e della coppia meccanica sviluppata nei motori elettrici dei diversi tipi.
Rimandiamo a quella voce anche per la descrizione delle possibilità di regolazione offerte dai sistemi di motori raggruppati in vario modo (regolazione Ward-Léonard della velocità per motori a corrente continua, raggruppamento in cascata dei motori polifasi a induzione e a commutazione).
Alcuni motori a corrente alternata vengono regolati mediante variazione della tensione di alimentazione: possono servire a fornire tensioni variabili i trasformatori a prese variabili e i regolatori a induzione già descritti.
Numerosi sono i motori a collettore che vengono regolati mediante spostamento delle spazzole: questo può essere effettuato a mano, mediante la manovra di una leva isolata, con esse solidale, ovvero automaticamente, mediante servomotori governati da relais.
I sistemi di regolazione di gran lunga più numerosi sono quelli fondati sulla manovra di reostati di campo, mediante i quali si varia la corrente di eccitazione, o di reostati di armatura, che, inseriti nel circuito di indotto, permettono di modificare le correnti da cui questo è percorso.
I reostati dei due tipi non differiscono sostanzialmente gli uni dagli altri, salvo che, talvolta, per le dimensioni: spesso i reostati di campo e di armatura sono riuniti in un solo apparecchio e fanno capo a un unico contattore, come, ad es., nei reostati di avviamento per alcuni motori a corrente continua.
La struttura dei reostati per piccoli motori è analoga a quella, già illustrata, dei reostati di campo delle dinamo. I grossi motori richiedono spesso reostati di tipo più complesso e adatti a disperdere l'energia, talora ingente, che in essi si trasforma in calore per effetto Joule.
Caratteristici sono i reostati per i motori da trazione, montati a bordo dei locomotori elettrici. I reostati per correnti continue sono sempre metallici, non essendo possibile adottare con quelle correnti resistenze liquide, a causa dei fenomeni elettrolitici da esse provocati. La fig. 22 mostra la disposizione caratteristica che assumono le sbarre costituenti le resistenze metalliche dei locomotori a corrente continua, per conciliare le esigenze di minimo ingombro con quelle della refrigerazione.
Questa può essere ottenuta, nei reostati più importanti, mediante circolazione d'olio o evaporazione d'acqua.
I grossi reostati per corrente alternata sono quasi esclusivamente a liquido: in un cassone metallico isolato è contenuta una soluzione acquosa di soda al 2 ÷ 2,5%, nella quale sono parzialmente immersi gli elettrodi, formati da lamine metalliche verticali. Regolando la loro immersione, si fa variare la superficie bagnata e quindi la resistenza offerta al passaggio della corrente da un elettrodo all'altro attraverso la soluzione. Si preferisce, in genere, anziché rendere mobili gli elettrodi metallici, regolare il livello della soluzione, spingendone una parte in un serbatoio ausiliario mediante aria compressa. Altre volte, la soluzione si fa circolare mediante una pompa, estraendola dal fondo del cassone e facendovela ricadere dall'alto: l'altezza del pelo liquido si varia regolando l'apertura del foro di uscita. La refrigerazione della soluzione si effettua per superficie, facendola circolare entro serpentini immersi nell'acqua corrente, o per vaporizzazione diretta, nel qual caso occorre provvedere periodicamente a reintegrare il liquido solvente, onde mantenere costante la concentrazione della soluzione.
I reostati dei locomotori sono regolati dal conducente mediante la manovra di uno speciale contattore, detto talvolta, con parola inglese, controller: in questo, le spazzole di rame strisciano sui contatti, anch'essi di rame, disposti secondo settori di corone circolari e calettati sull'albero che reca all'estremo il volantino o la manovella di comando. Altre volte, i diversi contatti sono comandati da eccentrici calettati sull'albero di manovra. Il problema principale da risolvere nei contattori da manovrare sotto carico è quello dell'estinzione degli archi che si formano all'apertura dei contatti. Essa può essere ottenuta mediante il loro soffiamento, pneumatico o magnetico, analogamente a quanto si fa in molti altri tipi d'interruttori di corrente (v. interruttore).
La figura 23 mostra l'interno di un controller a settori, mentre nella figura 24 è raffigurato un piccolo reostato di avviamento per motore trifase unito al suo controller.
Regolazione della tensone fornita dalle batterie di accumalatori. - La tensione ai capi della batteria viene mantenuta costante dai sommatori, che provvedono a inserire nuovi elementi in serie quando la scarica tende a ridurre la tensione. Altre volte, in serie con la batteria si dispone una dinamo (surdevoltrice), la cui forza elettromotrice regolabile si va a sommare in senso opportuno a quella fornita dalla batteria (vedi accumulatore).
Bibl.: Per la teoria della regolazione delle macchine elettriche, v. Lombardi, Corso teorico pratico di elettrotecnica, Milano 1926, e gli altri trattati di costruzioni elettromeccaniche in generale. Per la teoria del funzionamento dei regolatori, v. Juillard, Le régulateur automat. pour machines électr. pendant l'opér. de réglage, Losanna 1928.