ITALICO, REGNO
. Nasce, come unità politica indipendente, col re Odoacre; e inaugura il concetto dello stato costituito sopra il suolo d'Italia con una base territoriale bene definita, pari all'antica "diocesi italiciana". Geograficamente, nasce compiuto: è già Italia nel senso odierno. Il nome è ancora incerto ed entra nell'uso comune piuttosto che nella pratica ufficiale. Papa Gelasio, scrivendo ai vescovi dardanî, per la prima volta, nel 495, accenna a Odoacre "regnum Italiae tenenti".
Ma già con questo re la base territoriale viene scossa: la conquista africana dei Vandali inizia il moto di separazione, per cui le isole vanno perdute. Di esse, Odoacre ricupera solo la Sicilia. Teodorico allarga il regno d'Italia al di là delle Alpi con la Rezia e l'Illirico. Narsete lo reintegra, ma incorporandolo nell'Impero d'Oriente. Si riapre con Alboino la vicenda degli smembramenti, e la perpetua Liutprando con lo Stato della Chiesa. Carlomagno rispetta la tradizione d'un Regno Italico come sovranità indipendente, pure restaurando l'Impero; e tale resta fra le guerre interne dei Carolingi. La base territoriale è ancora longobarda: tranne il ducato di Benevento; però nell'812 una parte è annessa al regno, la contea di Chieti, e più tardi anche Ravenna. Organismo feudale: lo copre una fitta rete di comitati, ma i conti, sino all'834, serbano il carattere di pubblici ufficiali liberamente eletti e deposti dal principe. Non così dopo. Con le lotte di famiglia l'autorità sovrana si disperde; i suoi attributi passano ai conti, promovendo il concentrarsi di parecchi comitati in una sola famiglia, donde le nuove marche, quasi rivincita della tradizione provinciale romana. La crisi precipita sul finire dell'887 con lo scioglimento dell'Impero franco. I capi di queste marche si contendono la corona del Regno Italico, libero da ogni legame con potenze transalpine e caduto in balia delle forze locali.
Si svolge la ridda dei "re italici", né sempre italici (888-962): Berengario I (888), Guido (891), Ludovico (900), Ugo (926), Berengario II (950). I confini sono quasi gli stessi dell'ultimo periodo franco: a nord la cintura delle Alpi: ma la valle d'Aosta ecelesiasticamente è alla Borgogna, e pure la valle di Susa; chiude il Regno ad occidente la marca d'Ivrea, dalla cresta alpina, pare, all'Adda e alla Trebbia: ad oriente la marca del Friuli che abbraccia l'Istria non costiera e la valle dell'Adige sino a Formicaria presso Bolzano, e lascia íuori Venezia con un tratto di costa, ov'era Eraclea, a Plave maiori usque ad Plavisellam; corre a sud la marca di Spoleto lungo l'Adriatico sino alla foce del Biferno, scendendo poi verso il Tirreno sino quasi a Gaeta, a confine col Patrimonio della Chiesa, a nord del quale è la Marca Toscana. Entro questi confini, una nuova aristocrazia militare e terriera, né tutta indigena, parte reclutata d'oltralpe a ogni riardere di guerre per la corona, ne è l'arbitra suprema e si erge contro i poteri del re, che talvolta l'ha creata e sempre ne è creatura, padrone e servo ad un tempo. L'esercizio della sovranità è compromesso: dall'atteggiamento principesco di alcune marche (Adalberto II in Toscana, dice Liutprando, rex potius quam marchio poterat appellari) dalle aspirazioni imperiali di alcuni re; dal congiungersi delle due corone, regia e imperiale, sopra capo straniero (Arnolfo); dalla presenza di due re in un tempo solo, quia semper Italienses, dice Liutprando, geminis utì dominis volunt lusingati dalla speranza d'una maggiore libertà. Ma il processo di dissoluzione di questa feudalità regale non è completo. Vi è in essa la tendenza a un principio di unità economica ed amministrativa, per disciplinare con esso la vita del regno intorno a un centro unico, la capitale, e farlo assurgere a norma generale di tutto lo stato. Le stazioni doganali sono poste ai confini delle Alpi sui luoghi delle antiche stazioni romane; Pavia si giova del suo fiume per collegare insieme i mercati lontani; essa è caput regni, sede ordinaria del re, del suo governo, del tribunale supremo, della zecca; luogo di riunione delle assemblee e dell'esercito; il Palatium, già costruito da Teodorico nel cuore della città, accoglie tutti i redditi dello stato; la cancelleria vi è saldamente organizzata; notai e giudici vengono dalla Scuola pavese ove si studia il diritto romano. Dall'amministrazione palatina dipendono tutti i funzionarî. Vescovi, abati, conti tengono in Pavia una casa propria con una curtis, a volte con torre e cappella: segni d'unione dell'attività provinciale con il centro del regno. Ma la società non ha direttive in senso monarchico; tende verso l'autonomia di nuovi piccoli stati; il potere centrale, se si tolga il periodo di Ugo, accentratore perché nepotista, riuscendo egli a raccogliere le marche maggiori sopra famigliari proprî, è debole, incoerente, distratto dalle guerre interne, intento a cercare appoggi oltre le gerarchie consuete: quindi avanza il potere dei vescovi e, in corrispondenza, perde quello comitale, mentre città e campagne lasciate a sé stesse sotto la minaccia ungara e saracena, si stringono intorno alla Chiesa. Sono gli stessi re che a questa fanno concessioni di pubblici poteri perché abbia i mezzi e la facoltà della difesa; con Ugo i vescovadi assumono deciso carattere di signorie politiche e militari (dum miles esse inciperet, episcopus esse desineret, Liutprando); ed anche il popolo (concives) è chiamato e incitato a collaborare con i vescovi dai re stessi, che si sforzano di sottrarlo al peso della feudalità: così Berengario II in un diploma del 958. Ma il nemico prossimo è l'imperatore.
Con la vittoria di Ottone sopra Berengario il Regno Italico è congiunto alla persona dei re tedeschi, e smembrato: Verona e il Friuli gli sono tolti e formano, con Trento, una nuova marca per Enrico di Baviera, fratello di Ottone: da allom i re di Germania, e imperatori, compresero la necessità di dominare la via dell'Adige per poter intervenire nelle cose d'Italia. La riscossa di Arduino non ebbe seguito. Il concetto di "regnum" si annullò in quello dell'Impero. La distruzione del Palazzo di Pavia, considerato un intralcio allo sviluppo della vita cittadina, nel 1024, dopo l'inutile incendio del 1004, sancì il principio d'una nuova storia.
Bibl.: G. Romano, Le dominazioni barbariche, Milano 1909; R. Cessi, Regnum e Imperium, Bologna 1919; S. Pivano, Stato e Chiesa da Berengario I ad Arduino, Torino 1908; id., Da Berengario I ad Arduino, Firenze 1909; A. Solmi, Le stazioni doganali del Regno italico, in Rend. Ist. lomb., 1920, p. 577 segg.; L'ammin. finanz. del Regno italico, Pavia 1932; F. Landogna, L'unità del Regno ital. nell'alto Medioevo, in Nuova Rivista storica, X, 1926; P. Vaccari, Profilo stor. di Pavia, 1932.