Architettura, Regno di Sicilia
Una trattazione, anche sintetica, dell'architettura fridericiana nel Regno di Sicilia implica la risposta ad alcune questioni preliminari, necessarie alla definizione del tema. La prima riguarda l'opportunità, o meno, di estendere l'esame delle opere oltre quelle per le quali sia testimoniato o almeno lecito supporre un intervento, diretto o indiretto, di Federico II. Indipendentemente da ogni altra considerazione, il riconoscimento che un gran numero delle costruzioni riferibili, per via documentaria o per altri motivi, alla committenza imperiale siano di fatto interventi condotti su strutture preesistenti, come pure la constatazione che quasi tutte siano rimaste incompiute alla morte del sovrano (1250), o abbiano subito integrazioni, modificazioni e rifacimenti già negli anni immediatamente successivi, giustifica di per sé la necessità di ampliare i limiti dell'analisi, non solo ai fini della completezza del quadro, ma anche per sottolineare persistenze e, al contrario, novità riscontrabili nelle diverse situazioni. Per gli stessi motivi, circa i limiti cronologici da imporre alla trattazione, sembra utile prendere in considerazione un periodo esteso almeno dall'ultimo decennio del sec. XII al settimo del XIII, cioè dall'assunzione della corona di Sicilia da parte di Enrico VI (1194) alla definitiva sconfitta e morte di Manfredi (1266). Consegue già da tali considerazioni, e trova conferma dall'analisi delle opere, che all'architettura fridericiana non può essere riconosciuto carattere di vera unità, sia sotto l'aspetto linguistico-formale, sia per quanto riguarda modelli e scelte tipologiche. Il centralismo, che contraddistingue in tutti i campi l'amministrazione sveva, riguarda sicuramente gli obiettivi generali della politica edilizia e in particolare dell'organizzazione militare dello stato, dalla scelta dei siti ai modi e ai tempi di intervento, spingendosi sino al controllo minuto delle caratteristiche costruttive di singoli manufatti, finalizzati alle esigenze pratiche della difesa e del governo del territorio, se per il castello di Catania l'imperatore chiede personalmente notizie "de longitudine, latitudine, muri grossitie ac aliis omnibus […] que ad opus predicti castri expediunt" (Historia diplomatica, V, 2, p. 862); ma esclude l'imposizione di direttive progettuali e di comuni scelte linguistiche, se non per una generica adesione a modi di matrice gotica e occidentale. Anche nei casi, come la Porta di Capua, Castel del Monte e forse Castel Maniace, nei quali fattore determinante per il significato stesso dell'opera è l'invenzione di forme nuove ed eccezionali, queste sono il prodotto di specifici programmi, corrispondenti alla concezione del potere e alle aspirazioni di Federico, ma non esprimono un lessico architettonico comune, che possa essere definito propriamente fridericiano. In quest'ottica non trova luogo l'ipotesi, avanzata da alcuni studiosi, di riconoscere un ruolo progettuale a Federico stesso, genio universale e quindi artista e architetto, anche se appare probabile l'intervento dell'imperatore in alcune scelte a monte della progettazione. Nello stesso modo si chiariscono i compiti del prepositus edificiorum che è certamente un funzionario con specifiche mansioni tecnico-amministrative, estese contemporaneamente a un certo numero di edifici diversi, pertanto con ruolo rapportabile a quello di responsabile delle costruzioni, ma non necessariamente l'architetto-costruttore nel senso moderno del termine, compito che rimane affidato a figure, salvo forse poche eccezioni, rimaste anonime. Particolari incarichi amministrativi e di controllo su ampia scala appaiono attribuiti, in base alla documentazione esistente, ai giustizieri, talvolta impropriamente indicati anch'essi come progettisti.
Venendo al quadro delle opere, alle soglie del Duecento, l'attività architettonica del Regno normanno, in particolare nel campo dell'edilizia religiosa, presenta caratteri regionali essenzialmente conservativi: ne è esempio, in Puglia, la cattedrale di Bitonto, il cui cantiere prosegue a lungo nella prima metà del sec. XIII, ripetendo in ampia misura il modello stabilito in S. Nicola di Bari; ma anche edifici come i SS. Cataldo e Nicola di Lecce o il S. Sepolcro di Barletta, dove pure appaiono schemi e soluzioni nuove, rimangono legati per più aspetti alle tradizioni costruttive e decorative proprie delle maestranze locali. Simile discorso vale, in Sicilia, per la chiesa di S. Maria della Valle (la 'Badiazza'), che unisce influssi settentrionali a forme iconografiche e soluzioni strutturali bizantine e siculo-normanne; forse solo S. Maria degli Alemanni a Messina, realizzata dall'Ordine dei Cavalieri teutonici, rivela la piena affermazione di nuove concezioni, ma su questa chiesa molte sono le incertezze, dalla effettiva data di costruzione, alla reale consistenza dell'edificio, se coperto a volta o con semplice struttura lignea. Nel campo poi dell'architettura civile e militare, i normanni da un lato svilupparono, a Palermo, in nuove raffinate costruzioni, il tipo del palazzo suburbano con giardini e specchi d'acqua, ripreso dalla tradizione araba; dall'altro diffusero su tutto il territorio una rete di luoghi fortificati e di castelli, prevalentemente costituiti da un torrione fortificato (mastio, o donjon) collegato o posto all'interno di una cinta difensiva. Questo schema talvolta implica la rimodellazione del terreno, con la creazione di fossati e di una collina artificiale a sostegno della costruzione (motta), secondo un modello applicato nei paesi di provenienza dei conquistatori, che ne attesta l'origine settentrionale. La realizzazione e il controllo delle fortificazioni, dapprima con funzione di contenimento delle popolazioni indigene, e poi, con Ruggero II, di prevenzione dalle invasioni esterne, nel quadro di una sorta di 'difesa attiva' del territorio (Cuozzo-Martin, 1995), che prevedeva, pur nell'ambito di un sistema difensivo unitario, un'autonoma quanto rapida capacità di intervento da parte dei singoli apparati militari, era compito dei rappresentanti locali del potere centrale e dei vari feudatari laici ed ecclesiastici. Tale strategia, dipendente dall'affidabilità di questi ultimi, dovette rivelare i suoi limiti già nelle operazioni militari degli ultimi decenni del sec. XII; poi, dopo la presa del potere da parte degli Svevi, con l'improvvisa morte di Enrico VI (1197) e quella di Costanza (1198), e durante la minorità di Federico, l'organizzazione difensiva del territorio fu ulteriormente messa in crisi dai comportamenti e dalle rivendicazioni dei signori locali, che occuparono e rinforzarono a proprio vantaggio i castelli e le altre opere militari di loro pertinenza. Si comprende quindi come tra i primi atti compiuti dal giovane imperatore al suo ritorno nel Regno, dopo gli anni trascorsi in Germania (1212-1220), siano stati gli ordini di diroccamento dei castelli baronali e di riassunzione al demanio regio delle opere alienate o costruite successivamente alla morte di Guglielmo II, emanati già nelle Assise di Capua del 1221. Con questi provvedimenti, che non dovettero limitarsi ai soli aspetti 'distruttivi', ma che certamente riguardarono anche la riconversione delle strutture utili alla nuova organizzazione e alla difesa dello stato, si può indicare l'inizio di un'azione diretta di Federico in campo edilizio-architettonico. Le prime notizie relative a un'effettiva attività in tal senso risalgono agli anni 1223-1225, echeggiate, come è noto, dagli inascoltati consigli di prudenza che invia all'imperatore il vecchio consigliere Tommaso da Gaeta (sebbene i rimproveri di quest'ultimo sembrino riferirsi solo ai costosi lavori per il castello della sua città). Si può comunque presumere che ristrutturazioni e riorganizzazioni abbiano riguardato i siti posti a controllo dei percorsi di accesso al Regno e, in Sicilia, le postazioni interessate dalle operazioni militari contro i ribelli saraceni arroccati sui monti. Anche se mancano in proposito sicure conferme documentarie, è probabile che a questa prima fase debbano essere riferiti alcuni interventi che ripetono o rinnovano la tipologia del mastio normanno (castello di Scaletta e castello di Giuliana, in Sicilia; castelli di Terra di Lavoro affidati ai Cavalieri teutonici). Controverso invece è il riconoscimento della creazione, già nel corso del terzo decennio del sec. XIII, di impianti caratterizzati da uno schema quadrilatero più o meno regolare, con torri negli angoli e al centro dei lati, il cui impiego è stato ipotizzato nel castello di Barletta, in base agli scarsi resti attribuiti ad epoca sveva, ancora visibili nel rifacimento cinquecentesco dell'edificio. Il modello comunque, in certo modo, aveva già trovato applicazione nel castello di Bari, ricostruito all'inizio degli anni Trenta, ma il cui impianto originario (approssimativamente un trapezio, con torri angolari quadrangole) è generalmente riferito al periodo normanno. Quasi certamente lo stesso schema risulta adottato nel castello di Brindisi, che sembra essere invece una costruzione ex novo, ancora incompiuta nel 1232-1233, ma dove Federico aveva soggiornato in diverse riprese nel 1225 e nel 1228.
Accanto alle costruzioni militari, che in molti casi includevano spazi e strutture destinati ad ospitare il sovrano e la sua corte, altrettanto numerose sono le fabbriche specificamente residenziali promosse da Federico, urbane o extraurbane, come quelle definite dalle fonti sollatia e loca solaciorum, da porre in relazione con riserve di caccia o con altre attività ludiche, ma forse anche, in alcuni casi, con vere e proprie aziende produttive agricole. Al 1223 risale l'inizio della costruzione del palatium di Foggia, del quale rimane, secondo la tradizione, l'arco di un portale impostato su due mensole in forma di aquile, inserito in un edificio successivo ad inquadrare una lapide che ricorda la data ed il nome del costruttore, il protomagister Bartolomeo. La fitta decorazione scolpita dell'archivolto richiama le forme del tardoromanico locale, presenti nella cattedrale di S. Maria Icona Vetere, certificando, se effettivamente pertinente alla costruzione fridericiana, l'impiego in essa di maestranze regionali. Non lontano da Foggia, a conferma della predilezione di Federico per la Capitanata, dove si contano ventotto residenze oltre a ventitré castelli (Licinio, 1994), sorgevano la domus, del tutto scomparsa, di S. Lorenzo in Pantano, emula, in un paesaggio ricco di acque e di verde, delle residenze normanne siciliane, e quella di Apricena. La campagna di scavi condotta dal 1984 ha fornito notevoli informazioni sull'altra domus, di Fiorentino, dove, secondo le cronache, Federico morì il 13 dicembre 1250. Era costituita da due vani longitudinali di diversa lunghezza, ma entrambi ampi circa 6 m, comunicanti attraverso un'unica apertura e ritmati ciascuno da tre archi trasversali, che sostenevano una copertura, con volte o, forse, con impalcati lignei. Se la domus, come si suppone, si articolava su due piani (ma non sembra sia stata individuata la presenza di una scala), quello inferiore doveva essere adibito a funzioni pubbliche e amministrative. In questo caso l'edificio, massiccio e forato da rade aperture, doveva dominare il borgo sottostante e la campagna, generando un'impressione allo stesso tempo di protezione e di monito, che certamente era nel programma del sovrano committente (Beck, 1989).
L'aula a sviluppo longitudinale, divisa da archi trasversali a sostegno della copertura, costituisce nella sua semplicità una soluzione ricorrente per gli spazi residenziali delle costruzioni fridericiane. Una sala di questo tipo si osserva nel castello di Milazzo, raccordata a un preesistente mastio di età araba o normanna, quale parte, con funzione abitativa, del rifacimento svevo, ancora incompiuto nel 1239. Sviluppata su due piani, la stessa tipologia è adottata nell'ala residenziale che costituisce l'intero lato ovest del castello o palazzo di Gravina di Puglia, a pianta perfettamente rettangolare (58 x 29 m), attribuito all'architetto toscano Fuccio (ricordato da Vasari anche a Napoli per Castel dell'Ovo e Castel Capuano); in forma isolata invece, come a Fiorentino, questa struttura è ripresa nel cosiddetto Castelluccio di Gela, datato tra quarto e quinto decennio del sec. XIII. Il modello rimanda genericamente alle strutture presenti nei dormitori e nei refettori delle abbazie cistercensi e quindi al tema dei rapporti tra architettura fridericiana e maestranze appartenenti a questo Ordine, già più volte affermati sulla base di considerazioni tecniche e stilistiche (Haseloff, 1920; Cadei, 1980; Calò Mariani, 1984 e 1994), e confermati da poche ma precise testimonianze documentarie. Tra queste ultime, oltre al citatissimo passo della Chronica di S. Maria de Ferraria (1224), secondo cui Federico "accepit conversos […] ad construenda sibi castra et domicilia" (Ignoti monachi Cisterciensis, 1888, p. 38), è significativa nel 1236 (cioè dopo la prescrizione del capitolo generale dell'Ordine di richiamare nelle rispettive abbazie i conversi a servizio di signori laici) l'ammonizione rivolta all'abate di Casanova d'Abruzzo, "qui non solum imperatori sed etiam principibus et justiciariis multos conversos et monachos accomodavit" (Haseloff, 1920, p. 425); che sembra testimoniare, ancora a questa data, la presenza di Cistercensi in attività, edilizie e non, promosse da Federico e da altri membri della corte. In rapporto alle fabbriche è soprattutto l'impiego di elementi lessicali comuni (capitelli a foglie nervate e a crochets, profili di abachi e di cornici, pilastri e semipilastri circolari od ottagonali, finestre tonde e a lancetta, volte a crociera senza o con costoloni) che manifesta l'intervento nei cantieri imperiali di maestri formatisi in quelli dell'Ordine; come pure, nelle scelte progettuali, il ricorso a tracciati modulari e regolari, che si afferma nelle costruzioni castrali siciliane del quarto e quinto decennio, a Castel del Monte e nel castello di Lagopesole (v. Castelli, Regno di Sicilia, architettura).
Il castello di Augusta (dopo il 1233, finito nel 1242) e Castel Ursino a Catania (fondato tra il 1239 e il 1240 ma probabilmente ancora incompiuto alla morte di Federico) presentano un impianto planimetrico simile, perfettamente quadrato con torri negli angoli e al centro delle cortine alle quali si addossano corpi di fabbrica paralleli, sviluppati su uno o, in parte, su due livelli, con un vasto cortile al centro. Analoga è la potenzialità difensiva delle due strutture, affidata alla opportuna scelta del sito, a protezione sia della città che dalle eventuali minacce che potevano provenire da questa stessa, anche se per esse si è ipotizzata una funzione specifica diversa: sorta di fondaco fortificato per lo stivamento delle merci e della produzione agricola locale, in vista dell'imbarco e dell'esportazione, il castello di Augusta, strettamente collegato al porto; presidio militare urbano nel caso di Catania (Cadei, 1995). Le differenze più significative, oltre le dimensioni (maggiori ad Augusta, 62 m di lato contro i 50 m circa dell'Ursino) e gli apparecchi murari, riguardano invece la forma delle torri, tutte circolari a Catania, quadrate meno una, pentagonale (ma in origine forse prevista in forma ottagonale, a cavallo della cortina muraria), posta al centro del lato meridionale, ad Augusta. Per il terzo castello siciliano a pianta quadrata, il Castel Maniace a Siracusa, con torri rotonde solo nei quattro angoli, che ospitano scale e servizi igienici, la funzione residenziale e di rappresentanza è attestata con sicurezza dalla presenza di grandi camini e soprattutto dalla elevata qualità degli elementi architettonici, come basi, capitelli e colonne, del portale ad arco acuto, splendente di marmi policromi, fiancheggiato da due arieti bronzei antichi, e del grande finestrone affacciato sul mare. Insolita e di difficile interpretazione la disposizione spaziale del piano terra (quello superiore forse rimase incompiuto ed è comunque scomparso), in origine completamente occupato da venticinque volte a crociera quadrate su poderosi sostegni cilindrici, oggi in parte ripristinate. Per tale schema ipostilo è stato richiamato il modello delle moschee islamiche (De Angelis d'Ossat, 1968), contraddetto però dal rigore geometrico dell'impianto e dai caratteri 'gotici' dell'esecuzione, di matrice cistercense. Di questo spazio eccezionale è stata avanzata anche una lettura in chiave simbolica, come rappresentazione dell'Impero universale, o meglio traduzione in termini architettonici del Teatrum imperialis palacii, allegoria del potere imperiale, presente in un'immagine del Liber ad honorem Augusti di Pietro da Eboli (1905, c. 142r, tav. XLVIII), certamente conosciuta da Federico. Le ventiquattro volte a crociera del piano terra, serrate intorno alla campata centrale, rappresenterebbero le altrettante province occidentali dell'Impero; il vano centrale, ugualmente coperto a crociera ma su pilastri a fascio anziché cilindrici, che gli conferiscono un risalto particolare, potrebbe simbolizzare il Regno di Sicilia, o lo stesso imperatore, garante del reggimento politico della terra (Maurici, 1997). L'ipotesi ricondurrebbe l'ideazione di Castel Maniace a Federico stesso, attraverso la trasmissione di un preciso programma edilizio al suo costruttore, probabilmente il prepositus edificiorum Riccardo da Lentini, che opera anche nei castelli di Caltagirone, Milazzo, Augusta e Catania (in altro documento, del 1249, definito magister edificiorum imperialis curie, dove l'attributo 'maestro' riveste carattere piuttosto onorifico che tecnico e non appare decisivo per attribuire a Riccardo la qualifica di architetto).
Il tipo di impianto difensivo con pianta quadrangolare regolare, corte centrale, torri negli angoli, corpi di fabbrica addossati, paralleli a una o più delle quattro cortine perimetrali, appare in altre costruzioni fridericiane o comunque connesse alla committenza sveva. Fuori del Regno di Sicilia è impiegato nel castello di Prato, in Puglia in quello di Trani, documentato in costruzione nel 1233, ma non ancora compiuto nel 1240. In quest'ultimo si osservano alcune particolarità planimetriche, forse da mettere in relazione con le esigenze della difesa dal mare. In Campania il modello è presente nel piccolo castello di Cancello, fatto costruire (1247) da Tommaso II d'Aquino conte di Acerra e genero di Federico, e nel castello di Belvedere a Marano di Napoli, per il quale è possibile ipotizzare una prevalente funzione residenziale, anziché difensiva, come suggerisce l'affinità dello schema con quello della domus di Gravina, datata tra il 1227 e il 1229, ma forse più tarda. L'ipotizzata precoce datazione di questo impianto contrasta infatti con l'osservazione che la comparsa, nel panorama delle costruzioni fridericiane, di impianti rigorosamente quadrati o rettangolari sia successiva al ritorno dell'imperatore dalla spedizione in Terrasanta (1228-1229) e dipenda da un'esperienza, più o meno diretta, da parte di Federico delle costruzioni residenziali e militari bizantine e dei castelli omayyadi dei secc. VIII-IX, che presentano le medesime tipologie (Bottari, 1950; Krönig, 1950). D'altra parte lo schema della cinta muraria quadrata o rettangolare, ritmata da torri regolarmente disposte negli spigoli e lungo il perimetro, era già stato applicato anche in Europa, a partire da una rielaborazione dei castra romani e tardoantichi, in connessione con il sistema del mastio, in costruzioni certamente conosciute da Federico, come i castelli francesi realizzati dagli ingegneri di Filippo Augusto, o quelli tedeschi (Krönig in L'art dans l'Italie, V, 1978, pp. 929-951). Altri possibili e più vicini modelli delle tarde costruzioni fridericiane sono stati indicati nelle costruzioni militari dei crociati, che costituiscono di fatto il vero e proprio campo di applicazione sperimentale della scienza fortificatoria dell'Occidente e dei principi teorici dedotti dalla trattatistica antica, in contrapposizione e confronto diretto con le più avanzate tecnologie offensive e difensive islamiche. Recentemente Cadei ha avanzato l'ipotesi che lo schema quadrilatero con torri angolari costituisse il modello più diffuso per le fortificazioni cristiane d'Oltremare nel XII sec., sebbene poi abbandonato in favore di altre tipologie. Secondo lo studioso (Cadei, 2002) gli scavi del castello di Beit Guvrin, in Giudea, costruito da Folco d'Angiò, rivelerebbero tale disposizione, unita ad ali porticate parallele alle cortine, rappresentando un'anticipazione diretta delle costruzioni fridericiane; in precedenza Cadei (1989, 1992, 1995), sottolineando come la particolarità dei castelli fridericiani della seconda e ultima fase (Trani, Augusta, Catania, Siracusa) consista appunto nell'integrazione alle cortine esterne di vani paralleli a queste, con funzione essi stessi di baluardo, aveva indicato nel castello di Belvoir in Galilea ed in quello cosiddetto Saranda Kolonnes (delle Quaranta colonne) a Pafo nell'isola di Cipro, due esempi di sviluppo dello schema del mastio, incluso in una cinta muraria regolare munita con torri e corpi di fabbrica addossati. Più esattamente i due citati castelli crociati adottano il modello fortificativo della doppia cortina concentrica, insolito nel quadro fridericiano, ma applicato almeno nel castello di Trani e forse a Bari. Probabilmente non a caso, a confermare un rapporto diretto con esperienze del Mediterraneo orientale, a Trani è documentata per via epigrafica (1249) l'attività, con funzione di progettista, di Filippo Cinardo (Phelippe Chenart), un cipriota ricordato anche in altra occasione (Filippo da Novara, 1994) come castellano e ingegnere militare, cui sembra possa attribuirsi in particolare la cinta esterna ("circa castrum munitio talis et ante"). La stessa lapide comunque attribuisce la conduzione effettiva dei lavori al tranense Stefano di Romoaldo Carabarese, o secondo altra lettura a due distinti costruttori, Stefano da Trani e Romoaldo da Bari.
Ritornando al tema dell'impiego di impianti geometrici regolari nell'edilizia civile e militare fridericiana, una pianta rigorosamente quadrata si riscontra anche nel palazzo o castello di Lucera iniziato dopo la concessione imperiale ai saraceni di fortificare la città nel 1233. Qui lo schema geometrico dà luogo ad una soluzione architettonica singolare di cui è possibile restituire l'alzato, grazie a due disegni di Jean L. Desprez precedenti alla rovina definitiva della struttura (1790), e che presenta qualche affinità con il castello normanno di Adrano in Sicilia e con quello probabilmente fridericiano di Termoli (Molise). Come questi, si trattava di una sorta di poderoso donjon, poggiato su un basamento troncopiramidale, inserito entro un recinto della stessa forma, poco più ampio, ma, a differenza di Adrano e Termoli, il mastio di Lucera si apriva in un cortile quadrato interno, sviluppato su tre livelli, sul quale affacciavano gli ingressi e le principali fonti di luce degli ambienti abitativi, e che si trasformava, all'altezza dell'ultimo piano, in un ottagono, mediante raccordi angolari a cuffia. In una prima fase, corrispondente alla seconda metà del quarto decennio del sec. XIII, sembra che il palazzo-castello fridericiano avesse un aspetto diverso e un più accentuato carattere residenziale e rappresentativo, essendo anche arricchito di sculture antiche, appositamente trasportate, per ordine dell'imperatore, alcune da Napoli e altre, bronzee, da Grottaferrata, che probabilmente decoravano una fontana. In seguito, forse solo in epoca angioina, quando si perfezionò il carattere difensivo della struttura, fu creato il basamento a scarpa, collegando il donjon con il muro di recinzione esterno, ugualmente a pianta quadrata, mediante un sistema di volte a semibotte rampante, in modo da realizzare una galleria munita di freccere, divisa in due livelli da un solaio intermedio.
La presenza di sculture ornamentali, l'impianto regolare, con il cortile centrale aperto verso il cielo in figura di ottagono, e più in generale l'impostazione rigorosamente geometrica della pianta, sono caratteristiche che in certo modo ritornano in Castel del Monte, la più singolare e forse la più problematica delle costruzioni fridericiane. Eretto, a partire dal 1240, o secondo alcuni studiosi (Musca, 1981; Licinio, 1994) già prossimo alla conclusione a tale data, in posizione isolata sulla cima di una collina che domina la pianura circostante, il castello non sembra presentare una particolare importanza sotto l'aspetto propriamente militare, anche se gli può essere attribuito un ruolo difensivo come anello di collegamento visivo a distanza tra le fortificazioni e le residenze imperiali di Melfi, Lagopesole, Gravina e del Garagnone. Per quanto riguarda la specifica funzione dell'edificio, costituito, intorno alla corte ottagonale, da due serie sovrapposte di sale trapezoidali del tutto simili l'una all'altra, con otto torrette angolari, pure ottagonali, alcune delle quali alloggiano le scale e i servizi igienici, sono state avanzate ipotesi diverse, da quella semplicemente abitativa (ma la fabbrica, pur dotata di un complesso sistema di approvvigionamento idrico e di servizi igienici, manca invece di locali sicuramente adibiti a cucine, necessari per un soggiorno prolungato) o di residenza di caccia, fino a quella di osservatorio astronomico o infine di pura e astratta rappresentazione del potere sovrano, sorta di 'tempio laico' eretto alla maestà imperiale. In effetti il senso fortemente simbolico del castello si esprime, oltre che nella forma, nell'impiego di materiali di pregio (cipollino e marmi brecciati che incorniciano le aperture interne) e di sculture antiche, nella presenza di chiavi di volta e capitelli decorati, e in generale nell'elevata qualità dell'esecuzione.
Di un tale programma rappresentativo, che in realtà, in modi diversi, investe l'intera produzione edilizia fridericiana, intenzionalmente rivolta, già a partire dalla fine degli anni Venti, a proiettare fisicamente e visibilmente la 'onnipresenza' di Federico sul territorio (Calò Mariani, 1994), ulteriore strumento è il classicismo, espressione simbolica dell'ideologia imperiale, che a Castel del Monte si manifesta specificamente in alcune modalità costruttive (citazione dell'opus reticulatum nei paramenti parietali interni) e soprattutto nel portale con timpano triangolare, ripreso in quello del castello di Prato e molto simile a quello adottato nel prospetto verso la città della Porta di Capua o Porta delle Torri. Il ricorso a forme e a tipologie classiche assume un palese significato politico e strumentale in questo monumento, collocato in corrispondenza del ponte sul Volturno, che segnava l'accesso al Regno dai territori pontifici. In esso l'impianto architettonico si lega indissolubilmente all'impiego della scultura di ispirazione antica e di elementi di spoglio architettonici e figurativi desunti dai monumenti romani della città, a conferma di un uso del classicismo in senso ancora medievale, come legittimazione della figura e dell'autorità imperiale, non leggibile in termini di anticipazione umanistica, cioè di opzione linguistico-formale (Bologna, 1989). Della costruzione fridericiana, distrutta nel 1557 per sostituirla con un moderno bastione difensivo, rimangono solo, dopo i lavori di liberazione condotti nel 1928, le basi poligonali di due torri, rivestite da un imponente bugnato in calcare bianco. Per quanto riguarda la facciata verso Roma, il monumento è stato ricostruito, con qualche variante, sulla base di descrizioni medievali e rinascimentali (Andrea Ungaro; Jacopo da Cessole; Scipione Sannelli) e di un disegno di Francesco di Giorgio Martini (un'altra rappresentazione cinquecentesca, più schematica, della stessa fronte si conserva a Vienna). Essa era costituita da due torri cilindriche, erette sopra basamenti poligonali, che serravano un alto prospetto, sviluppato su tre livelli, quello dell'ingresso e due piani di logge, chiuse o aperte (soluzione, quest'ultima, che prevederebbe l'esistenza di un retrostante corpo di fabbrica, coperto con volte come è testimoniato da antiche descrizioni, ma non rappresentato nella moderna restituzione di Carl Arnold Willemsen). A coronamento di questa fronte una robusta cornice su mensole, sormontata da un parapetto con merli, e ovunque una profusione di lapidi, di busti e di sculture, tra le quali una raffigurazione dell'imperatore in trono, ribadivano il significato monitorio e trionfalistico della struttura. Il prospetto verso Capua presentava invece il portale ad arco sormontato da una cornice architravata e da un timpano triangolare, simile come si è detto a quello di Castel del Monte, noto da un altro disegno di Francesco di Giorgio, che mostra una soluzione sintattica apparentemente più rigorosa rispetto all'esempio pugliese.
La costruzione della Porta fu condotta tra il 1234 e il 1239-1240, in base a un impianto planimetrico regolato da precisi rapporti numerici e geometrici (Pane, 2000), il cui disegno è stato da alcuni studiosi attribuito direttamente all'imperatore, interpretando in tal senso la testimonianza prodotta da Riccardo di San Germano ("super pontem castellum fieri iubet quod ipse manu propria consignavit"; Riccardo di San Germano, 1936-1938, p. 188); laddove, escludendosi un diretto intervento progettuale di Federico, al verbo consignare dovrebbe essere più probabilmente attribuito il significato di approvazione, forse con apposizione di un sigillo. Esecutori, sotto il controllo di Nicola de Cicala, giustiziere di Terra di Lavoro successivamente incaricato delle fortificazioni di Capitanata, furono un "Domnus Bisancius", monaco cistercense, e Lifante, definito protomagister nelle carte imperiali. Sembra che da parte di questi due personaggi siano stati commessi errori o scorrettezze nel corso dei lavori o delle operazioni amministrative, poiché nei loro confronti fu aperta un'inchiesta al termine della costruzione; nell'impresa intervennero anche altri artefici, un Palmezio de Calve e un "Criscius Amalfitanus". I modelli della fabbrica sono stati variamente indicati: per il prospetto serrato tra le torri cilindriche, nelle porte urbiche romane (in particolare Porta Ostiense e Porta Appia); per la struttura parietale con nicchie e con colonne sporgenti su mensole, nella Porta Aurea di Spalato; per la decorazione con impiego di sculture, busti e clipei, negli archi trionfali e nell'Arco di Augusto a Rimini, oltre che in esempi locali, come l'anfiteatro romano di Capua. Ma il disegno d'insieme sembra denunciare anche puntuali riferimenti a esempi protoislamici (è stato proposto un confronto con la porta del Qasr-al-Hair al Gharb, in realtà originariamente non isolata e di proporzioni più ridotte, ora ricostruita nel Museo di Damasco), che confermano, insieme al trattamento dei dettagli, dove motivi gotici e cistercensi si intersecano con forme di derivazione araba, il carattere eclettico, non archeologico, del classicismo imperiale.
La ricerca dei possibili modelli ha interessato anche gli studi su Castel del Monte, il cui impianto con ali rigorosamente parallele al perimetro ottagonale, sviluppate attorno al cortile della medesima forma, presenta ovviamente suggestive analogie con gli esempi del gruppo di castelli a schema quadrilatero regolare, con i quali risulta omogeneo anche per la presenza di forme riferibili a maestranze cistercensi. Ma la pianta ottagonale ad ali non trova corrispondenze negli esempi nordafricani, palestinesi e siriani di epoca bizantina e omayyade, e nemmeno nei castelli dei crociati; per cui i riferimenti sembrano doversi indirizzare verso costruzioni nordeuropee, che adottano questa figura geometrica per il donjon interno alla cinta o in fortificazioni isolate, ma anche in costruzioni con funzione residenziale. Più convincente, in rapporto alla dimensione simbolica di Castel del Monte, che la scelta dell'ottagono, se a Federico deve essere fatta risalire un'indicazione in proposito, possa essere stata suggerita dal richiamo a impianti anche non specificamente difensivi, ma connessi all'ideologia sveva, come la Cappella Palatina di Aquisgrana, dove Federico fu incoronato nel 1215 re di Germania, se non addirittura alla forma della corona imperiale (Staats, 1976); così pure, dall'Oriente, una suggestione poté venire, durante il soggiorno dell'imperatore a Gerusalemme nel corso della sesta crociata, dalla visita alla moschea di Omar (la Cupola della Roccia), che nel secolo precedente era stata sede dei Templari. Le ricerche più recenti hanno di nuovo evidenziato i rapporti dell'edificio con la raffinata cultura abitativa islamica, nella presenza di un perfezionato sistema di approvvigionamento e di eliminazione delle acque con tubazioni in pietra, argilla e rame, e nell'organizzazione spaziale, che ricorda la struttura funzionale tipica dei palazzi abbasidi, con gli ambienti disposti in unità autonome in base a percorsi obbligati, condizionati dall'apertura degli accessi, e alla collocazione degli spazi di servizio.
Impianti a matrice ottagonale, con funzione residenziale o difensiva, sono presenti anche in altre fabbriche di età sveva, sia in forma isolata che integrati entro strutture più complesse. Al primo tipo appartiene la cosiddetta Torre di Federico a Enna, che in origine sorgeva al centro di un recinto ugualmente ottagonale. Di cronologia incerta, già attribuita al periodo aragonese, fu ritenuta sveva da Giuseppe Agnello e dagli studiosi successivi; recentemente ne è stata confermata la datazione duecentesca, riferendola agli anni di Manfredi, in quanto le soluzioni adottate presuppongono l'esperienza dell'architettura castellare fridericiana matura (Federico II e la Sicilia, 1995). L'edificio si articola su tre livelli, l'ultimo, attualmente ridotto a terrazza, era coperto in origine con una volta di altezza ridotta, di cui rimangono le imposte di due costoloni, mentre i piani sottostanti presentano coperture a ombrello costolonate, che richiamano quelle esistenti nelle torri, esternamente tonde, di Castel Ursino. Volte ombrelliformi a otto spicchi si osservano anche nella torre ovest del castello di Salemi, ugualmente a pianta circolare, che, per l'apparecchio murario diverso da quello delle cortine adiacenti, sembra essere un donjon normanno, inizialmente isolato, poi inserito nella successiva fortificazione sveva; qui le volte sarebbero state eseguite all'epoca di Manfredi, in sostituzione di precedenti impalcati lignei. Entrambe le strutture, la torre di Enna e quella di Salemi, rimandano al modello del mastio di matrice settentrionale e indicano il permanere di questa tipologia difensiva nel quadro dell'architettura fortificatoria tardofridericiana.
Il tipo del castello con mastio d'altra parte è ricorrente nell'intero quadro cronologico dell'architettura fridericiana. Oltre gli esempi ricordati in precedenza (Scaletta, Milazzo, Termoli), merita una menzione particolare, tra le costruzioni forse riferibili alla prima fase dell'attività costruttiva promossa dall'imperatore, l'imponente torre pentagonale del castello di Giuliana in Sicilia, probabilmente eretta in funzione repressiva contro la rivolta musulmana degli anni 1222-1226; più tardi, a quanto sembra, la torre fu integrata con le ali residenziali oblique e con una cinta muraria rivolta verso l'abitato. Nel 1230 la necessità di riorganizzare la linea difensiva lungo il confine con i territori pontifici impose, insieme alla rifortificazione dei presidi esistenti di Terra di Lavoro, la ricostruzione della Rocca Ianula (soprastante l'abitato di San Germano-Montecassino), già demolita nel 1221 a seguito delle disposizioni assunte nella dieta di Capua; i lavori, sotto la direzione del castellano Filippo de Citro, interessarono il ridotto, che fu munito di un mastio pentagonale e poi, tra 1235 e 1239, di un'ulteriore fortificazione avanzata, configurando un insolito impianto a doppio recinto, che trova pochi riscontri tra le opere difensive del Regno, ma invece evidenti analogie con alcuni castelli alsaziani d'età sveva (Birkenfels, Ortenberg). Alla fase matura dell'architettura fridericiana si attribuisce la costruzione, o almeno la ristrutturazione mediante la realizzazione di una volta a crociera nel suo piano superiore, della Torre Pisana, che costituisce il mastio del cosiddetto Castello di Lombardia a Enna, organizzato in tre corti, sul versante opposto della città rispetto alla già ricordata torre ottagonale. Nel quale importanti lavori di rifacimento fatti eseguire da Manfredi, dopo le distruzioni susseguenti alla rivolta del 1257, sono testimoniati da Niccolò Jamsilla. Ancora alla tipologia della fortificazione con mastio è riferibile il castello di Caserta Vecchia, dove il poderoso elemento cilindrico in conci di tufo, con basamento a bugnato di travertino che richiama quelli delle torri di Capua, è da collegare alle nozze del conte Riccardo di Lauro con la figlia di Federico, Violante, avvenute nel 1247, e alla conseguente trasformazione dell'impianto iniziale in residenza fortificata. Da ultimo un esempio di impianto con mastio è rappresentato dal castello di Lagopesole, a pianta rettangolare allungata divisa in due corti di diversa ampiezza; un donjon a pianta quadrata, isolato e non in asse con le cortine perimetrali, si eleva all'interno del cortile minore, già ritenuto il nucleo originario della costruzione, esistente fin dal 1128-1129, indicata da una fonte con il termine oppidum. Viceversa, secondo altra ipotesi (Cadei, Lagopesole, 1996), l'intero circuito murario esterno, strutturalmente unitario, costituirebbe una preesistenza, entro la quale, tra la fine del regno di Federico e quello di Manfredi, sarebbero state realizzate le ali residenziali, innestate alle murature esterne con procedimento di 'cuci e scuci'; nella stessa fase di lavori sarebbe stato eretto il mastio, che contiene un appartamento di elevata qualità abitativa. A un periodo precedente, presvevo o protosvevo, sarebbe invece riferibile la cappella, la cui abside appare contemporanea all'esecuzione del muro di cinta, e che ricalca soluzioni adottate in Terrasanta già nel sec. XII. Comunque la cappella fu ristrutturata e ampliata nel corso dei lavori di metà Duecento e pertanto costituisce l'unico impianto religioso intatto, esistente in una costruzione del Regno di Sicilia, attribuibile a un'iniziativa di Federico o di Manfredi.
Nel campo dell'architettura sacra, gli interventi riferibili a Federico II sono molto pochi. L'imperatore intervenne alla consacrazione della cattedrale di Cosenza (1222), ma è improbabile che l'avvenimento possa essere messo in rapporto con un impegno nella ricostruzione dell'edificio, dopo i danni subiti nel terremoto del 1184; a una committenza imperiale, in base a una tradizione storica tuttavia tarda, è attribuita la costruzione di una chiesa cistercense rimasta incompiuta, la basilica del Murgo, presso Lentini, destinata ad accogliere monaci provenienti dalla vicina S. Maria di Roccadia. Nei limitati resti della fabbrica, iniziata intorno al 1225 (o secondo una recente ipotesi anche prima), è effettivamente possibile riscontrare precise analogie con soluzioni di dettaglio presenti nelle più tarde costruzioni di Castel del Monte e di Castel Maniace; ma queste osservazioni non vanno oltre la conferma della presenza di maestranze legate all'Ordine, attive nei cantieri imperiali, e dei rapporti, ovviamente vari e diversi da luogo a luogo e da edificio a edificio, tra architettura cistercense e fridericiana. Si è già detto della chiesa di S. Maria degli Alemanni a Messina, da mettere in relazione con l'attività dei Cavalieri teutonici, per molto tempo appoggiati da Federico, che nella sua azione politica si avvalse dei consigli e dell'opera diplomatica del Gran Maestro dell'Ordine, Ermanno di Salza. Le soluzioni presenti nell'edificio, come pure quelle degli altri impianti affidati ai Cavalieri teutonici in Italia meridionale (Barletta, Brindisi) e in Sicilia (chiesa della Magione a Palermo), non presentano però caratteri unitari, o riferibili all'ideologia imperiale. Un programma orientato in questo senso è stato ipotizzato nell'originaria concezione della collegiata, ora cattedrale, di Altamura (circa 1245), insignita del titolo di basilica palatina come S. Nicola di Bari, per l'insolita strutturazione del corpo longitudinale mediante pilastri intercalati a colonne che evidenziano la campata centrale (forse idealmente destinata ad accogliere, ovvero a rappresentare, la presenza del sovrano), contrapposta alla modesta rilevanza attribuita allo spazio absidale (Bonelli-Bozzoni, 1982); ma il sistema di articolazione dei fianchi mediante una serie di arcate profonde (successivamente trasformate in cappelle), e sormontate da loggiati, se pertinente al progetto iniziale e non alla più tarda ristrutturazione angioina, testimonia un evidente richiamo al modello della chiesa barese e ai valori della tradizione normanna. In un'ottica imperiale potrebbe essere interpretata anche la cattedrale foggiana di S. Maria Icona Vetere, che presenta una singolare caratteristica iconografica, con presbiterio ottagonale innestato sull'intera ampiezza delle tre navate; soluzione applicata anche nella chiesa di S. Maria Maggiore di Lanciano (1227), dove il portale laterale a timpano è simile a quelli della Porta di Capua e di Castel del Monte. In Sicilia, oltre gli esempi già ricordati, nulla può essere messo in diretta relazione con Federico: edifici come S. Maria di Randazzo e S. Francesco di Palermo, di epoca fridericiana o postfridericiana, pur nell'accentuazione dei profili acuti, che richiama accenti svevi, replicano partiti decorativi siculo-normanni; mentre la chiesa cistercense di S. Nicola di Agrigento, di assai controversa datazione, si connette a modelli transalpini propri dell'Ordine.
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