VIABILITÀ, REGNO D'ITALIA E REGNO DI GERMANIA
Federico II aveva ereditato un Impero che si estendeva dal Mare del Nord fino alla Sicilia e dalla contea di Borgogna e dalla Provenza fino alla Slesia: la rete stradale ampiamente ramificata che lo attraversava recava l'impronta di due tradizioni differenti. Nei territori situati a nord-est della linea segnata dal Reno-Meno-Danubio ‒ il percorso dell'antico limes ‒ si era sviluppata, durante il Medioevo, una rete viaria che rappresentava il frutto di un'evoluzione naturale, non pianificata, dove sia la direzione sia le caratteristiche fisiche delle vie corrispondevano ad esigenze probabilmente limitate. Tutto quanto, invece, si trovava a ovest e a sud di questa linea era una terra antica, un tempo conquistata dai romani, e portava il segno della loro civiltà. Qui sia la fondazione degli insediamenti più importanti che la creazione della rete stradale che li collegava risaliva all'antichità: le tracce di entrambi, in misura maggiore a sud delle Alpi che a nord, continuavano a dominare le strutture del paesaggio. Nei due territori si viveva inoltre sulla base di tradizioni giuridiche diverse, una circostanza importante sotto il profilo della viabilità nel suo complesso, almeno nella misura in cui esse comportavano un trattamento della rete stradale differente e, anche per tradizione, di diversa intensità.
Il Regno d'Italia. Le generazioni che vissero sotto il regno di Federico II continuarono ad approfittare dell'estesa rete stradale che l'Italia aveva ereditato dall'antichità. Ma, d'altra parte, furono anche le prime ad applicarsi in grande stile ai problemi delle strade e a riportare di nuovo quest'eredità materiale e giuridica alla sua passata dignità.
Gli studiosi hanno sostenuto talvolta che né la legislazione di Federico II né le sue lettere circolari, giunte fino a noi in gran copia, avrebbero preso in considerazione le strade (Fasoli, 1980, p. 30). Quest'affermazione non corrisponde del tutto alla realtà, ma può essere chiarita agevolmente facendo riferimento alle fonti. È necessario, in effetti, esaminare in maniera molto approfondita il lascito scritto dell'imperatore per imbattersi in tracce del suo interesse per le strade. Anche se pochi, gli elementi che vi si riscontrano sono assai eloquenti e ben si adattano al quadro generale dell'epoca. Infatti, come si vedrà, il silenzio del sovrano su determinate materie non è casuale, bensì motivato da fondate ragioni.
Nella pace di Costanza (1183) il nonno e il padre di Federico II ‒ Federico Barbarossa ed Enrico VI ‒ avevano concesso le regalie ai comuni lombardi fra cui anche quelle relative a strade e ponti. A riprova del fatto che la rete stradale nel suo insieme materiale era passata sotto la competenza dei comuni, fu pattuito che questi ultimi, se l'imperatore si fosse recato in Lombardia, avrebbero dovuto sistemare per lui le strade e i ponti sulla via dell'andata e del ritorno: "Nobis intrantibus in Lombardiam […] vias et pontes bona fide sine fraude et sufficienter reficient in eundo et redeundo" (Die Urkunden Friedrichs I., 1975-1990, 4, nr. 848, cap. 29).
I diritti e i doveri che i comuni lombardi si erano conquistati con le loro lotte furono conferiti in seguito anche agli altri comuni italiani maggiori, di regola attraverso privilegi, per cui il sovrano era dispensato dall'occuparsi materialmente della rete stradale e se ne assumeva l'onere soltanto laddove e nella misura in cui disponeva ancora delle regalie: per il resto s'interessava di un'altra dimensione dei problemi stradali.
Sempre nell'ambito della concessione di regalie rientra un documento del 1217 con il quale Federico II, per ricompensare gli abitanti di San Miniato (v.) della loro fedeltà nella disputa per l'Impero, donò loro la località di S. Genesio insieme a tutti i diritti ad essa connessi, inclusa "la strada", accordando quindi anche il diritto di deviarla verso l'insediamento arroccato (Historia diplomatica, I, pp. 497 s.). In altre parole il privilegio significava che il sovrano consentiva al piccolo borgo toscano di disporre del percorso di questo tratto della Via Francigena. Nel medesimo ambito della concessione di questo tipo di regalie si inseriscono altri tre privilegi: nel 1220 Federico confermò all'arcivescovo Simeone di Ravenna i suoi privilegi e fra questi il comitato di Argenta "cum omni iurisdictione, cum […] paludibus, stratis, viis" (Acta Imperii inedita, I, nr. 186, p. 163); in un altro documento dello stesso anno, seguendo l'esempio di suo nonno e di suo padre, come viene detto nel relativo documento, egli confermò agli advocati di Lucca la loro posizione come missi domini imperatoris, alla quale fra l'altro era connessa la giurisdizione sulle strade (ibid., nr. 207, p. 185: "viarum public[arum destructores] mulcta faciendi"); nel terzo documento, del 1248, Federico concesse al conte Tommaso di Savoia il dominio su Torino, con il ponte locale e altro ancora, un atto che ricadeva ugualmente nell'ambito della concessione di regalie (ibid., nr. 413, pp. 357 s.).
In questi esempi si manifesta tuttavia solo un interessamento occasionale del sovrano per il patrimonio materiale delle strade. Infatti, se nei suoi provvedimenti prendeva in considerazione il tema delle strade, ciò era inserito in tematiche di più ampia portata.
Questa politica riguardante la viabilità era stata formulata da Federico già nella dieta di Spira del febbraio 1219, dedicata alla regolazione della situazione italiana. Richiamandosi al suo dovere regale di 'mantenere le strade aperte e sicure' ("cum maiestatem regalem deceat stratas apertas et securas tenere"), ordinò in un mandato ai ferraresi ‒ che erano in conflitto con Modena ‒ di non continuare a procurare fastidi ai modenesi, pena l'ammenda di 2.000 marchi d'argento, ma di consentire il libero passaggio sul loro territorio all'andata e al ritorno (Historia diplomatica, I, p. 602). Proprio sotto questo duplice aspetto dell'ordinamento pubblico relativo alle strade, nel periodo successivo la sua attenzione fu rivolta affinché la libera circolazione non fosse ostacolata.
Oltre dieci anni dopo la dieta di Spira, nel 1231, l'imperatore ricompose una lite fra i comuni di Genova e di Tortona. Mise i tortonesi ‒ che usavano la strada che collegava Genova a Tortona ‒ sotto la sua protezione e minacciò chi avesse attaccato i cittadini o le loro merci sulla strada di un'ammenda di 20 aurei (Gabotto, 1909, nr. 120). Dalla fine degli anni Trenta, a partire dalla costituzione dei vicariati generali (v.), l'impegno per la sicurezza sulle strade assunse una dimensione più ampia che comprendeva l'intero Regno d'Italia. Quando Federico nel 1239 insediò suo figlio Enzo come legato generale per l'Italia, gli fu affidato, fra l'altro, il compito di procedere contro i ribelli e di ripulire le strade dai briganti (Regesta Imperii, V, 1, nr. 2458). Si trovò così una formula che poteva essere ripresa regolarmente nella creazione di ogni distretto di vicariato e nella definizione dei compiti di ogni nuovo vicario insediato. La ritroviamo, per esempio nel gennaio 1240, in occasione della nomina di Pandolfo di Fasanella a capitano generale della Tuscia (ibid., nr. 2691); Federico la adottò inoltre nel febbraio 1246 nella nomina di suo figlio, Federico d'Antiochia, a vicario generale della Tuscia (ibid., nr. 3538); la si incontra di nuovo nel novembre 1248 all'atto della nomina del conte Tommaso di Savoia a vicario generale della Lombardia da Pavia in su (ibid., nr. 3732); infine, nel giugno 1249, è presente nella nomina dello stesso Tommaso a legato generale della Lombardia dal Lambro in su (ibid., nr. 3782).
Per Federico i vicariati divennero un mezzo per manifestare indirettamente la sua presenza in quelle parti del Regnum che si trovavano sotto il suo controllo o sotto quello dei comuni alleati con lui, per ristabilire attraverso di loro la sicurezza sulle strade e procedere contro i banditi di strada. Ma essi divennero al contempo uno strumento idoneo al controllo del passaggio sulle strade, in modo da ostacolare le comunicazioni e lo scambio di notizie fra i suoi nemici.
Dopo la creazione di questo sistema di controllo, per chi viaggiava attraverso l'Italia era consigliabile munirsi in anticipo di una littera, oppure di un conductus o salvus conductus, ovverosia di un salvacondotto, se desiderava arrivare a destinazione senza essere importunato o destare sospetti. Infatti le strade erano controllate da funzionari di Federico o dall'amministrazione dei comuni a lui soggetti, a quanto sembra, con grande efficacia. I funzionari dell'imperatore e i suoi alleati avrebbero vigilato sia sulle persone che viaggiavano individualmente sia sui gruppi. I salvacondotti, rilasciati al viaggiatore da un'autorità, menzionavano il nome del titolare del documento e lo scopo del viaggio, enumeravano nel dettaglio il suo seguito ‒ nel caso l'avesse ‒ e potevano addirittura precisare il periodo di validità del permesso stesso.
Nel 1243, per esempio, un messo del vicario imperiale Galvano Lancia ottenne una lettera di questo tenore valida per un mese (Acta Imperii inedita, I, p. 333). In un salvacondotto del sovrano dello stesso anno, rilasciato a un cittadino di Capua, ma che in particolare era indirizzato al podestà e al consiglio di Mantova, si diceva che dovevano lasciar transitare liberamente per il loro territorio il titolare di quel salvacondotto, che era in viaggio con uno scudiero, un cavallo e le sue cose ("cum uno scuterio, una equitatura et rebus suis"; Historia diplomatica, VI, p. 82). In un salvacondotto del 1238 che il sovrano fece rilasciare a uno dei suoi fideles, Gerardo di Sinzich, si poteva leggere che l'interessato aveva ottenuto il permesso di rientrare in Germania e che viaggiava con cinque servitori e sette cavalli (Regesta Imperii, V, 1, nr. 2306).
Grazie a questo tipo di controlli Federico ‒ quando temeva che i mercenari reclutati potessero disertare dalle sue truppe ‒ riuscì nel 1243 a tenere insieme il suo esercito, ordinando al podestà di Mantova di arrestare i tedeschi che viaggiavano senza salvacondotto imperiale: "absque specialis nostri culminis licteris de conductu" (Acta Imperii inedita, I, nr. 696, p. 555). Il sistema di vigilanza dimostrò la sua efficacia anche quando si verificò la rottura definitiva fra papa e imperatore e si creò un aperto conflitto con la Curia. Alla scomunica lanciata da papa Gregorio IX (1239) e al suo invito rivolto agli alti dignitari ecclesiastici di presentarsi a Roma per un concilio generale, Federico reagì con una lettera circolare con la quale esortava tutti i suoi fedeli a ostacolare il viaggio dei prelati che avrebbero attraversato l'Impero diretti al concilio di Roma e a farli prigionieri; inoltre, per rendere allettante l'esecuzione di quest'ordine prometteva come bottino a chi avesse agito in conformità dei suoi intenti gli averi e i cavalli dei prigionieri (Regesta Imperii, V, 1, nr. 3145). L'efficacia di questi controlli è testimoniata non solo dai resoconti sulla cattura dei prelati in mare e in terra, ma anche dalla circostanza che il progettato concilio romano non ebbe luogo.
Fino alla fine del suo regno Federico dedicò un impegno costante a ostacolare la circolazione della corrispondenza e i contatti con Roma e il papa. Questa volontà è attestata dal cronista parmense che raccontò come nel 1246 le persone incaricate del trasporto di missive papali temettero, a causa di ciò, di perdere mani e piedi (Annales, 1863, p. 671), o, anche, dal privilegio con cui l'imperatore nel 1248 investì Torino e altre località al conte Tommaso di Savoia: infatti, alla cessione della sovranità era legato, fra l'altro, l'obbligo di sbarrare la strada che attraversava le Alpi a tutti i nemici dell'imperatore e di impedirne il passaggio a chiunque non fosse munito di salvacondotto (Acta Imperii inedita, I, nr. 412, pp. 356 s.).
L'interruzione delle comunicazioni fra i suoi avversari per mezzo dello sbarramento delle strade era una risorsa politica e strategica abituale a quel tempo e non fu praticata soltanto da Federico ma anche dai suoi nemici, come lo stesso imperatore dovette sperimentare pochi anni dopo il suo ritorno in Italia. La Lega lombarda, rinnovata nel 1226, aveva allora deciso, sotto la minaccia di sanzioni, che nessun membro della Lega avrebbe potuto stabilire contatti con l'imperatore senza l'autorizzazione dei rettori (Regesta Imperii, V, 3, nr. 12935). Quando Verona, che apparteneva alla Lega, sbarrò le Chiuse d'Adige (clusas Veronensium), impedendo in tal modo il passaggio all'esercito che il figlio di Federico, Enrico (VII), conduceva dal Nord per rafforzare la posizione di potere imperiale, la dieta convocata a Cremona allo scopo di regolare gli affari italiani non poté svolgersi: re Enrico rimase accampato per sei settimane a Bressanone e alla fine dovette riprendere la via del ritorno senza aver concluso nulla. La chiusura delle strade fu praticata del resto anche da Gregorio IX contro Federico: in un'enciclica del marzo 1240 Federico gli rimproverò di aver sbarrato le strade che attraversavano le Marche e il ducato di Spoleto necessarie all'approvvigionamento dell'esercito imperiale, con l'intento di affamare quelle truppe o di distoglierle dall'assedio di Milano (M.G.H., Constitutiones, 1896, II, nr. 224).
Le esperienze vissute nel 1226 con la Lega lombarda indussero Federico a redigere un'enciclica in cui i membri della Lega furono dichiarati nemici dell'Impero, fu proibito il commercio con loro e si chiese a tutti i destinatari del suo scritto di chiudere le strade ai suddetti membri (Regesta Imperii, V, 1, nr. 1658). In seguito Federico procedette a esercitare un controllo attivo sulle strade. Per esempio nel 1236 avocò a sé le regalie dei capitoli di Trento e Bressanone, centri situati entrambi lungo la strada del Brennero proveniente dall'Impero, per affidarne l'amministrazione a funzionari imperiali (Riedmann, 1980). Alcuni anni più tardi si apprende da due documenti (1240 e 1241) che la Leventina ‒ attraverso la quale correva il tratto meridionale della strada che scendeva dal passo del S. Gottardo ‒ era controllata da funzionari imperiali (Güterbock, 1908). Anche il resto della strada, dove si congiungevano le vie provenienti dal S. Gottardo, dal Lucomagno e dal passo del S. Bernardo, era in mano all'imperatore, i cui funzionari controllavano Como, Monte Ceneri e Bellinzona (Regesta Imperii, V, 1, nrr. 3157, 3183), e intorno al 1240 anche lo sbocco della strada che dal passo del Settimo scendeva a Lecco (Szabó, 1992, p. 112).
Con estrema chiarezza si coglie la volontà del sovrano di controllare posizioni chiave della rete stradale, esaminando le misure prese per la Via Francigena, che rappresentava un accesso classico alla Toscana e un passaggio attraverso questa regione: nel tratto meridionale della strada era situato il castello di S. Quirico d'Orcia, che nel 1213 era presieduto da un castellano imperiale e che fu controllato anche nel periodo successivo da funzionari imperiali (von der Nahmer, s.d. [ma 1965], p. 131). Invece nella zona nordoccidentale della Toscana, dove la Via Francigena si avvia a valicare gli Appennini in direzione dell'Emilia, era ubicata la fortezza di Pontremoli, che nel 1167 aveva sbarrato la strada verso il Nord a Federico Barbarossa. Nel 1239 la fortezza si era consegnata a Federico II (Regesta Imperii, V, 1, nr. 2609a), che nel 1247 si era assicurato anche il controllo del tratto settentrionale della strada, impadronendosi delle fortezze di Fornovo e Medesano (ibid., nr. 3638a). Ma poi perse definitivamente Fornovo e solo temporaneamente Medesano (ibid., nr. 3672b); invece si aggiunse alle sue conquiste Berceto, che fino a quel momento era stata sotto il controllo di Parma (ibid., nr. 3672c). Nell'estate del 1249, quando perse la località di Pontremoli, pur continuando a mantenere nelle sue mani il castello, l'imperatore in uno dei suoi mandati segnalò l'importanza strategica di questa stazione di passaggio definendola un punto chiave dei collegamenti fra il Nord e il Sud: "tamquam deficientibus aliis viarum passagiis, inde superest unica clavis et ianua que nostris fidelibus reserare potest et claudere transitum et regressum" (Historia diplomatica, VI, p. 498).
Dopo che la pace di Costanza del 1183 aveva trasferito ai comuni le regalie e quindi anche la vigilanza e la cura delle strade e dei ponti che rientravano nel loro ambito d'amministrazione, essi si erano applicati a questo compito con crescente intensità, come si può individuare con chiarezza dalle testimonianze.
All'interno delle città si cominciò a raddrizzare le strade con iniziative di grande portata, registrando con l'aiuto della corda, uno degli strumenti di misurazione classici, l'allineamento delle facciate, come accadde a Treviso nel 1207, e si decise di demolire parti sporgenti di edifici o di farle retrocedere, come nel caso di Vicenza nel 1193-1208 (Bocchi, 1995, p. 490). Per chiarire una volta per tutte ai cittadini anche sul piano ottico la larghezza delle strade, vi furono posti dei cippi, come per esempio accadde a Siena (1222), a Bologna (1245) o a Brescia (1249). In questo contesto si stabilì per lo più anche la larghezza delle strade, come accadde a Treviso (1231), dove le stratae maiores dovevano avere un'ampiezza di 14 pedes e le stratae minores di 6, anche se naturalmente queste misure erano soggette a variazioni da un comune all'altro.
Per dare una forma ordinata alla crescita della città e alla trasformazione della terra fino a quel momento coltivata in terreno edificabile ‒ che si trattasse della città o dei suoi sobborghi ‒ furono tracciate nuove strade (Sznura, 1975), lungo le quali gli immigranti costruirono le loro abitazioni. Furono disegnate nuove piazze destinate alla vita pubblica e al commercio quotidiano, come accadde per esempio a Bologna e a Siena. Inoltre i comuni avviarono un programma di pavimentazione di grande portata (a Treviso nel 1218, a Parma nel 1231, a Reggio nel 1241, a Bologna nel 1250), che via via fu esteso a tutte le strade allo scopo di eliminare gradualmente dalle città sporcizia e fango. Le acque di scarico maleodoranti in parte erano già state convogliate in canali che correvano sotto le strade (Schiaparelli, 1902).
Il nuovo ideale di un reticolo regolare di strade e di piazze correttamente squadrate fu realizzato dai comuni nella fondazione dei nuovi insediamenti ‒ i borghi franchi ‒ come si può osservare a Cittadella presso Padova (1220), a Castelfranco presso Bologna (1226-1227), a Cherasco presso Alba (1248) o a Villanova di Albenga nel 1250 (Bocchi, 1995, p. 482).
In modo analogo alle strade cittadine i comuni si fecero carico anche delle strade extraurbane che attraversavano il loro territorio, che erano sottoposte a manutenzione con regolarità e non solo se l'imperatore scendeva in Italia. Anche qui ci imbattiamo di nuovo in misurazioni il cui scopo era, da un lato, quello di fissare e assicurare l'ampiezza delle strade, dall'altro, di suddividere le strade in segmenti per le riparazioni e assegnarle alle communitates del territorio, come avvenne a Padova (1236) o a Reggio (1242).
Infine, per quanto concerne le strade di campagna, fin dall'antichità nel Regnum il suolo coltivato era reso accessibile da una fitta rete di vie pubbliche, come dimostra l'esempio di Lucca, dove intorno all'anno Mille circa il sessanta per cento dei campi coltivati era raggiungibile da una via publica per lo meno su un lato, mentre soltanto il ventotto per cento dei terreni era circondato da tutti i lati da altri terreni e, di conseguenza, era privo di un accesso individuale a una strada pubblica (Szabó, 2001, pp. 156-157). L'uso di questa rete viaria era aperto a chiunque e i comuni, come testimoniano gli statuti, vigilavano sulla sua integrità. Ai proprietari di terreni che non disponevano di strade veniva indicato l'accesso alla via publica attraverso un terreno vicino, o tramite un accordo diretto con il proprietario, o con una decisione di arbitrato.
Per le diverse iniziative connesse alle strade il comune ‒ e anche il comune rurale ‒ si avvaleva di commissioni di due o tre cittadini insediati ad hoc (duo, treshomines, boni homines, fratres penitentie, viatores, ecc.), da cui si sviluppò nella seconda metà del XIII sec. un regolare ufficio preposto alle strade. In questo contesto fu spesso d'aiuto anche il rinato diritto romano, le cui prescrizioni vennero riprese alla lettera, come accadde per esempio a Pisa, quando si trattò di salvaguardare la via publica dagli abusi dei privati (Constitutum usus [1870], costituzione 43 del 1233, già nel Codice Yale [New Haven, Beinecke Library, ms. 415, c. 56v] della fine del sec. XII), o a Milano nel 1216 quando in caso di mancato accesso ad un terreno furono indicate le servitù del suolo (Liber consuetudinum, 1949, rubr. 18.5, p. 104), o a Bologna quando gli abitanti del comitatus dovettero essere obbligati ad eseguire lavori stradali (Statuti di Bologna, II, 1869, p. 617). Con la cessione delle regalie ai comuni, questi ultimi erano responsabili non solo dell'insieme materiale della rete stradale, ma anche del mantenimento del diritto e dell'ordine, ossia della sicurezza delle strade del territorio comunale. Per adempiere a questo compito i comuni avevano creato un sistema di sicurezza attivo e passivo, che si rese efficace accanto all'ordinamento giuridico tutelato dall'imperatore. Si trattava di un sistema attivo quando i comuni vigilavano sulle strade del loro territorio ‒ come per esempio Pistoia, nel 1222, durante il periodo della fiera ‒ mentre era passivo quando i comuni, pur non esercitando una vigilanza diretta sulle strade, prevedevano di concedere un risarcimento per il danno subito a causa di rapine avvenute sulle strade. Questo tipo di garanzia di sicurezza si esprimeva in una fitta rete di patti, per lo più bilaterali, che i comuni stipulavano fra loro e in cui promettevano ai cittadini della controparte di garantire la sicurezza e la protezione giuridica, nonché di risarcire i danni subiti, come per esempio nel trattato fra Milano, Piacenza e Pavia del 1202 (Il Registrum Magnum, 1984-1988, nr. 166), o nei trattati fra Piacenza e Pavia del 1217 (ibid., nr. 605), o tra Firenze e Siena nel 1237, ecc.
Con la pace di Costanza, oltre alle strade, anche i ponti erano stati affidati ai comuni, per lo meno quando si trovavano nel loro ambito di amministrazione. Quindi non deve sorprendere che nei documenti, nei mandati e nelle lettere circolari dell'imperatore ‒ se si prescinde dalle numerose notizie che riferiscono della costruzione di ponti durante le campagne militari ‒ i ponti non svolgano alcun ruolo o che compaiano soltanto laddove Federico si esprimeva in veste di giudice supremo del Regno o disponeva ancora delle regalie sui ponti.
Quando Federico nel 1219, in occasione della dieta di Hagenau dedicata agli affari italiani, ordinò ai milanesi di distruggere il ponte sul Ticino (Regesta Imperii, V, 1, nr. 1039) ‒ che essi avevano costruito andando contro gli interessi di Pavia e in modo illegittimo ‒ il sovrano si presentò come difensore del diritto. E quando, l'anno seguente, 'concesse' il ponte ai pavesi si trattò della conferma di un titolo giuridico, di una regalia, che il comune aveva già ottenuto dai predecessori di Federico (ibid., nr. 1177).
Nel quadro delle regalie si inserisce anche il privilegio già citato del 1248 per il conte Tommaso di Savoia, con il quale il sovrano gli concesse la città di Torino insieme al ponte locale e alla fortificazione del ponte (ibid., nr. 3739). Si deve leggere in modo analogo anche il documento con cui l'imperatore nel 1244 confermò ai frati ospedalieri di Altopascio i loro possedimenti e anche la proprietà del ponte sull'Arno presso Fucecchio. A questa cessione era connesso il diritto esclusivo accordato ai frati di restaurare il ponte, insieme al dovere per gli stessi frati ‒ se il ponte non fosse stato agibile per i pellegrini che intendevano attraversare il fiume ‒ di essere pronti a traghettarli gratuitamente (Historia diplomatica, VI, pp. 178-182).
Oltre ad Altopascio, una serie di conventi e di chiese, proseguendo una tradizione medievale più antica, erano in possesso già da lungo tempo della regalia sui ponti e si occupavano della loro costruzione e manutenzione. Questo si può osservare, da un lato, a Pisa e a Firenze, dove i vescovi già in passato non solo governavano le città ma controllavano anche i loro ponti (Szabó, 1990, pp. 82-85); dall'altro, si può notare che i ponti erano in mano a conventi od ospedali, sia perché erano stati loro assegnati, sia perché erano stati questi stessi istituti a costruirli. Ne è un esempio il ponte sul Po presso Piacenza che in origine apparteneva al convento di S. Giulia di Brescia, il quale, anche dopo la sostituzione del vecchio ponte nel XII sec. con uno nuovo costruito dal comune, continuò a disporre di un diritto di possesso sul ponte, per cui il convento ricevette annualmente un pagamento dal comune fino al XIII sec. (Il Registrum Magnum, 1984-1988, nr. 748). Del ponte sul Nure, nelle vicinanze di Piacenza, si occupavano invece i Gerosolimitani (ibid., nr. 815). Il ponte sul Trebbia, nei pressi di questa stessa città, era anch'esso in mano a un istituto ecclesiastico (cf. ibid., nr. 895, e Die Urkunden Friedrichs I., 1975-1990, 1, nr. 231). Il ponte situato a Castrola presso Bologna sul Limentra era mantenuto probabilmente ancora nel XIII sec. dal convento di S. Maria a Montepiano (Guidotti, 1975). Ma questi esempi testimoniano più la tradizione che le nuove forze del presente: infatti, nel XIII sec., i comuni erano già in prima linea nella costruzione dei ponti e nel corso del tempo assunsero il controllo su tutti i ponti del loro territorio.
Il Regno di Germania. A nord delle Alpi la sovranità era strutturata in modo analogo al Regno d'Italia, ma con la differenza che in Germania, nella vita politica, le città svolgevano un ruolo molto più modesto, mentre le potenze territoriali erano assai più incisive rispetto all'Italia ‒ una situazione che proprio sotto il regno di Federico II doveva cementarsi in senso costituzionale.
Infatti il momento di svolta sul piano del diritto costituzionale, che in Italia fu segnato dalla pace di Costanza (1183), per il Regno di Germania fu rappresentato, in un certo qual modo, dai due grandi trattati che Federico e suo figlio Enrico (VII) stipularono, nel primo caso, con i principi ecclesiastici (1220) ‒ il cosiddetto Privilegium in favorem principum ecclesiasticorum (M.G.H., Constitutiones, 1896, II, nr. 73) ‒ e, nel secondo, dieci anni più tardi (1231 e 1232), con i principi laici ‒ il cosiddetto Statutum in favorem principum (v.; ibid., nrr. 304 e 171). Con i due documenti costituzionali fu legittimata una prassi ormai largamente radicata e diffusa, che assicurava ai principi il controllo e il possesso delle regalie e di conseguenza ‒ ed è questo l'aspetto interessante nel nostro contesto ‒ conferiva loro indirettamente anche la sovranità sulle strade e sui ponti. La situazione sancita e legalizzata da entrambi i documenti spiega anche il motivo per cui l'aspetto materiale della viabilità non compare più nell'orizzonte delle dichiarazioni del sovrano, e sia Federico che suo figlio, re di Germania, si occupano, per quanto concerne le strade, ormai soltanto di questioni generali di ordine pubblico.
Nel Regno di Germania, a partire dall'XI sec., erano in vigore garanzie regionali per la pace, dette Landfrieden, che in prevalenza venivano applicate con validità territoriale. Re Enrico (VII) fece nuovamente ricorso a questo strumento di regolamentazione nel 1221-1223 (Weinrich, 1977), rinnovando una Pax antiqua Saxonie, un antico ordinamento territoriale sassone per la pace. Le disposizioni della pace seguivano le forme dell'antica treuga Dei francese, istituendo una pace generale che includeva sia uomini ‒ chierici, monaci, contadini, cacciatori, pescatori, ebrei ‒ sia strumenti e luoghi ‒ aratri, chiese, cimiteri, mulini, villaggi all'interno delle loro recinzioni ‒ nonché le strade e i corsi d'acqua. Al di fuori di queste aree di pace era consentito esercitare la violenza, ma solo contro la persona dell'avversario e non contro le sue cose, e unicamente dal lunedì al mercoledì, mentre dal giovedì alla domenica le armi dovevano essere riposte anche fra nemici (M.G.H., Constitutiones, 1896, II, nr. 280). Pochi anni più tardi, nel 1224, Enrico (VII) emanò insieme ai principi una Pax generalis valida per tutto il Regno (ibid., nr. 284) e nel 1235, quando Federico II si recò per l'ultima volta a nord delle Alpi per sistemare gli affari del Regno, proclamò durante la dieta di Magonza ‒ con il consenso dei grandi ‒ una pace anch'essa valida per tutta la Germania: la pace imperiale di Magonza (v.; ibid., nr. 196).
Questi ordinamenti reali per la pace furono integrati all'occorrenza dai principi, in forza delle regalie loro attribuite, tramite analoghe disposizioni con validità territoriale. Il vescovo Enrico di Bressanone, per esempio, nel 1229 rilasciò una Pax episcopatus Brixinensis (ibid., nr. 426), mentre il conte Ottone di Baviera nel 1244 proclamò una Pax Bawarica (ibid., nr. 427).
Per chiarire la natura di queste paci territoriali si deve aggiungere che esse sotto Federico I avevano la forma di leggi, ma che al tempo di Federico II la loro forza vincolante ‒ come nelle paci dell'XI sec. ‒ consisteva nuovamente nell'elemento formale della coniuratio (Holzhauer, 1978): erano emanate dal sovrano con il consiglio e il consenso dei principi ‒ oppure da questi ultimi consultandosi con i nobili del loro territorio ‒ e vincolavano quindi tutti i poteri amministrativi del territorio interessato. Questo carattere di coniuratio fu anche il motivo dell'emanazione delle paci territoriali di Bressanone e della Baviera, che obbligavano entrambe i grandi dei territori in questione al rispetto dell'ordinamento di pace.
Questi ordinamenti territoriali furono integrati da un'altra forma di garanzia di pace sulle strade, ossia dal cosiddetto conductus, concesso dai signori territoriali nell'ambito della loro giurisdizione dietro pagamento di una somma di denaro (M.G.H., Constitutiones, 1896, II, cap. 7, nr. 196).
Ma accanto al sovrano e ai poteri territoriali, anche le città si profilano già come garanti della pace: per esempio le città anseatiche di Amburgo e Lubecca, che nel 1241 stipularono un accordo con cui si impegnavano a procedere con le armi contro i banditi di strada e promettevano agli abitanti dell'altra città tutela giuridica (Wülfing, 1982). Nel periodo del cosiddetto interregno che seguì alla morte di Federico II le città ‒ anche a causa dell'insicurezza che si era venuta nuovamente a creare sulle strade (cum terrarum pericula et viarum discrimina, ecc.) ‒ nel 1254 strinsero un patto per garantire la pace generale (M.G.H., Constitutiones, 1896, II, nr. 428) che si riallacciava alla tradizione della pace imperiale di Magonza proclamata da Federico II, e che dev'essere inteso come una sua prosecuzione (Buschmann, 1987).
Un altro problema diffuso che riguardava l'intera Germania ed esigeva la superiore funzione regolatrice del sovrano era la libertà di circolazione.
A differenza dell'Italia, non si trattava del fatto che a determinate persone ‒ per esempio agli abitanti della città vicina ‒ fosse impedito l'uso della strada e quindi non potessero transitarvi. Il problema era piuttosto originato dalla prassi di deviare dalle mete fino ad allora consuete ‒ le antiche città e gli antichi mercati ‒ il flusso del traffico e delle merci per dirottarli verso piazze di nuova fondazione in concorrenza con le prime. Non si trattava di singoli episodi ma di un fenomeno evidentemente molto diffuso, che dipendeva dallo sviluppo economico degli ultimi due secoli: a partire dal X sec. si osserva nelle diverse parti della Germania la fondazione di mercati, che intorno al 1000 ammontano a centoventicinque (Hardt-Friedrichs, 1980), verso il 1100 a trecento (Ammann, 1958, p. 42), e che non solo crebbero ancora ma dal XII sec. furono spesso annessi alle città di nuova fondazione. La costruzione di mercati e di città procurò ai loro fondatori denaro liquido sotto forma di gabelle di mercato, e quindi una nuova modalità di guadagno estremamente appetibile che spiega la crescita vertiginosa del numero di nuove fondazioni. Ma al più tardi a partire dal principio del XIII sec. si verificò una saturazione dello spazio, in conseguenza della quale le nuove piazze entrarono in concorrenza con le più antiche e la loro vita commerciale si svolse, almeno in parte, a discapito di queste ultime. I signori delle nuove piazze commerciali ‒ i signori territoriali o i loro funzionari responsabili in loco ‒ riuscirono addirittura a incrementare il volume del commercio in quanto, in un più ampio raggio intorno alla nuova piazza, deviavano il traffico stradale dalla sua direzione consueta per indirizzarlo verso le loro nuove fondazioni.
Il problema creato da queste deviazioni doveva essere già più antico, ma sotto il regno di Federico II assunse una dimensione così dirompente che a partire dagli anni Venti fu oggetto di negoziati in numerose diete e sotto forme diverse.
Nella dieta di Norimberga del 1224 l'arcivescovo Eberardo di Salisburgo aveva sottoposto la questione a re Enrico (VII) e al parere dei principi convenuti, chiedendo se persone che viaggiavano su strade regie e su vie pubbliche (in stratis regalibus et publicis) con le loro merci o per affari potessero essere ostacolate. Il verdetto dei principi dichiarò che simili azioni non erano consentite (M.G.H., Constitutiones, 1896, II, nr. 285). Nel 1234 il vescovo Ermanno di Würzburg si era lamentato con il sovrano per la fondazione di un nuovo mercato e la deviazione illegittima di una strada, dopodiché il re dispose che il mercato fosse soppresso (ibid., nr. 324). Nel 1236 l'arcivescovo Eberardo di Salisburgo sottopose nuovamente a una dieta la questione già sollevata nel 1224, questa volta in forma diversa. Chiese se fosse consentito che persone in viaggio su una strada pubblica per recarsi a un mercato fossero deviate da questa strada e indirizzate attraverso altre strade a un altro mercato. Il verdetto dei principi dichiarò che non era permesso, ma che le si lasciasse andare al mercato dove intendevano concludere i loro affari (ibid., nr. 203).
Quanto fossero serie queste rimostranze e quanto fosse difficile venire a capo di questo abuso ‒ al quale non era estraneo neppure il re ‒ è dimostrato dallo Statutumin favorem principum di Enrico (VII) (1231) e dalla sua conferma da parte di Federico II (1232). Entrambi i documenti vietavano la fondazione di nuove città a svantaggio dei principi, ordinavano che i nuovi mercati non dovessero ostacolare i vecchi, deliberavano che nessuno potesse essere costretto a recarsi a un mercato contro la propria volontà e stabilivano che le strade non potevano essere deviate contro il volere degli utenti (ibid., nrr. 304 e 171, capp. 2-4). Tuttavia neppure con queste disposizioni fu risolto il problema. Infatti nella grande pace imperiale di Magonza del 1235 un paragrafo apposito si occupò della questione, deliberando che dovevano essere rispettate le strade pubbliche e doveva cessare l'obbligo di usare altre strade: "Precipimus autem omnes stratas publicas observari et coactas stratas omnino cessare" (ibid., nr. 196, cap. 10).
Con la definizione della nuova situazione giuridica, che entrambi i documenti ‒ il Privilegium e lo Statutum ‒ delineavano, anche la responsabilità dello stato materiale delle strade era stata trasferita ai detentori delle regalie. La situazione vigente sotto questo aspetto fu in seguito ulteriormente precisata nella grande pace imperiale di Magonza, secondo la quale chi riscuoteva i pedaggi aveva anche il compito di riparare le strade e i ponti (ibid., nr. 196, cap. 7).
Gli studiosi hanno constatato con stupore che le leggi del Regno mostravano un "vistoso interesse" per le strade, senza che questo tuttavia abbia prodotto "grandi effetti" (Klingelhöfer, 1955, pp. 191-192), cioè senza che si possa notare un riflesso corrispondente nella tradizione documentaria. Tuttavia si è ipotizzato che "proprio allora gli Svevi costruirono un gran numero di nuove strade" (ibid., p. 191; Weller, 1915, p. 216).
Le fonti non forniscono alcun tipo di supporto in merito alla costruzione di nuove strade, che per di più avvenne in quantità consistente. Le testimonianze tramandate, non troppo numerose, trasmettono piuttosto l'impressione che nel Regno le forme istituzionali attraverso le quali si provvedeva alle strutture della viabilità fossero ancora fluide e che solo in questo periodo si cominciassero a elaborare nuove forme e procedure a questo scopo, alle quali alludono anche il testo della pace imperiale di Magonza e diverse testimonianze sia documentarie che di altra natura.
Secondo le disposizioni contenute nella pace imperiale magontina i destinatari dei pedaggi per i trasporti terrestri e fluviali erano tenuti a riparare le strade e i ponti e a garantire a coloro che vi transitavano, e da cui percepivano il pedaggio, pace, sicurezza e conductus in tutto il loro distretto (M.G.H., Constitutiones, 1896, II, nr. 196, cap. 7: "Receptores vero teloneorum tam in terris quam in aquis debito modo teneri volumus ad reparationem poncium et stratarum, transeuntibus et navigantibus, a quibus telonea accipiunt, pacem, securitatem et conductum, ita quod nihil amittant, quatenus durat districtus eorum"). Esaminando in modo più approfondito questa frase è interessante notare quale importanza avessero i singoli pedaggi e, di conseguenza, anche gli obblighi ad essi connessi.
Infatti solo i pedaggi per i ponti (telonea), che erano considerati profitti ma servivano al contempo anche per la loro manutenzione, sono documentabili in Germania ‒ dal X sec. ‒ e adeguatamente testimoniati anche in epoca sveva. Il primo statuto cittadino di Strasburgo (fine del XII sec.) deliberava, per esempio, che il gabelliere con i proventi dei pedaggi doveva riparare i ponti della città (Urkundenbuch der Stadt Straßburg, 1879, nr. 616). Esisteva inoltre un sistema concorrenziale che procurava finanziamenti per i ponti non con i pedaggi bensì tramite pie donazioni. Il ponte in pietra di Ratisbona che risale al 1135, per esempio, fu costruito probabilmente grazie a pie donazioni e ad altre sovvenzioni. In seguito Federico Barbarossa nel 1182 seguì, in un certo qual modo, questo modello stabilendo che non potesse essere riscossa alcuna tassa sul ponte ‒ quindi nessun teloneum ‒ ma che tuttavia si potessero fare delle offerte su base volontaria (Die Urkunden Friedrichs I., 1975-1990, 4, nr. 831). Un altro esempio ci porta nell'età di Federico II, il quale nel 1220, per la salvezza dell'anima sua e dei suoi, rinunciò al pedaggio che gli spettava sul ponte della città imperiale di Donauwörth e decise sia che l'uso del ponte in futuro sarebbe stato esente da imposizioni, sia che la costruzione doveva essere finanziata da elemosine (Regesta Imperii, V, 1, nrr. 1146 e 1149). Infine Enrico (VII) cedette nel 1235 alla città di Francoforte la metà delle entrate della zecca locale e legname della foresta reale per la ricostruzione del ponte sul Meno danneggiato da un'inondazione (von Nathusius-Neinstedt, 1896).
Invece i pedaggi sul traffico terrestre a nord delle Alpi, al tempo di Federico, sono documentati sotto due denominazioni dal significato diverso. In Borgogna si chiamava pedagium ed era connesso alle riparazioni di strade, mentre in Germania era definito conductus ed era versato allo scopo di ottenere sicurezza lungo una determinata strada.
Quindi Federico, nel 1214, investì il vescovo della città borgognona di Die di tutte le regalie, fra cui anche la strata publica in omni episcopatu, aggiungendo inoltre che nessun altro avrebbe potuto riscuoterne il pedagium (Historia diplomatica, I, pp. 330 s.). Ordinò al contempo ad Aimaro di Poitiers di rinunciare a percepire pedaggi e a consolidare le strade, perché così facendo avrebbe violato i diritti della Chiesa di Die (Regesta Imperii, V, 1, nr. 764). E al vescovo e al capitolo di Vienne, sempre in Borgogna, concesse di riscuotere un pedagium e di riparare la strada (Historia diplomatica, I, p. 334).
In Germania la tassa riscossa sulla circolazione ‒ a ben vedere, non in relazione alle strade ‒ era detta conductus: si trattava, secondo la definizione dello Statutum in favorem principum, di una promessa di sicurezza generale concessa in ambito territoriale (M.G.H., Constitutiones, 1896, II, nr. 304, cap. 4: "Item conductum principum per terram eorum, quem de manu nostra tenent in feodo"). Questa tassa, documentabile solo a partire dal XII sec., per garantire la sicurezza (de Craecker-Dussart, 1974) consentiva a chi la pagava di viaggiare sotto la protezione del detentore della regalia, a cui veniva corrisposto il pagamento. Nei documenti di Federico il conductus è concesso più volte, sotto nomi diversi (oltre conductus, anche ducatus, securitas) e sempre con una delimitazione territoriale. Nel Sachsenspiegel ('Codice sassone') viene elencato nella serie dei pedaggi sulla circolazione: vi si parla di pedaggi per mercati, ponti, vie fluviali e, appunto, di conductus (Sachsenspiegel. Landrecht, 1973, II.27, §§ 1-2), ossia di tasse che il viaggiatore era tenuto a versare per recarsi ad un mercato, usare un ponte, navigare su un corso d'acqua e per la sicurezza che gli veniva garantita sulle strade. È significativo che il Sachsenspiegel aggiunga, tuttavia, che chi non usa né ponte, né traghetto e intende viaggiare a suo rischio e pericolo dev'essere esentato dal pagamento del pedaggio, "geleides vri" (ibid., § 2: "Iewelk man scal [ok] wesen toln vri, he vare oder [he] ride oder [he] ga, swar he scepes oder bruggen nicht ne bedarf; unde mit rechte si he geleides vri, swar he sines gudes oder [sines] lives genenden wel"). Il fatto che in questo capitolo del diritto territoriale sassone sui pedaggi manchi un pedaggio stradale specifico ‒ da versare per l'uso delle strade e con la giustificazione di provvedere alla loro riparazione ‒ e che sia anche stabilito espressamente che chi non si avvale di ponti, traghetti o conductus, deve viaggiare liberamente, si spiega ricordando che a quel tempo non era ancora consueto riscuotere pedaggi per la riparazione delle strade del Regno, che non era considerata ancora un compito o un dovere delle autorità pubbliche.
Da ciò non si dovrebbe comunque trarre la conclusione che non vi fossero tasse e riparazioni di questo tipo. Un esempio precoce e isolato di riparazioni stradali in cui svolge un ruolo anche il pedaggio stradale si può osservare nell'area anseatica. Nel 1219 il vescovo di Ratzeburg rinunciò nei confronti della vicina città di Lubecca alla quota che gli spettava del pedaggio (teloneum) di Dassow e promise di provvedere con suoi materiali alla riparazione della strada che attraverso Dassow conduceva a Lubecca (Urkundenbuch der Stadt Lübeck, 1843, nr. 18: "ut de nostra promotione preparationi vie, quantum ad nos pertinet, insistatur"). Che questo tipo di impegno fosse ancora agli esordi, è dimostrato non solo dall'assenza di ulteriori testimonianze analoghe ma anche dalla circostanza che nell'area anseatica, ancora sul finire del secolo ‒ e anche oltre ‒ si provvedeva alla riparazione di determinate strade mediante donazioni. Per esempio, nel 1289, un cittadino di Lubecca dispose nel suo testamento che alla riparazione della strada di Darsow (a ovest di Danzica) fosse destinata la somma di 10 marchi (ibid., nr. 533). Invece al Sud la situazione era diversa: in Tirolo ‒ che già subiva l'influsso del vicino mondo comunale ‒ nel 1293 sono documentate tasse per la riparazione delle strade (Stolz, 1957, p. 46).
La tutela delle strade da sovracostruzioni e da altri tipi di appropriazione, già testimoniata nel diritto popolare del primo Medioevo, all'epoca di Federico II è documentata nell'area renana. In un documento del 1231-1232 il conte Enrico di Sayn stabiliva che il villaggio di Vallendar, presso Coblenza, con l'ampliamento dei suoi campi e vigneti aveva ristretto le publicas stratas, e prometteva di correggere questa situazione (Urkundenbuch zur Geschichte der jetz, 1874, nr. 424, p. 333).
Per giudicare il rapporto dell'epoca con le strade, indicazioni importanti sono fornite anche dal diritto consuetudinario. Sono caratteristici gli accenni alle strade contenuti nel già menzionato Sachsenspiegel, la grande compilazione del diritto consuetudinario sassone medievale (1224-1225). In esso vengono riprese le disposizioni dell''antica pace sassone' rinnovata da Enrico (VII) (Sachsenspiegel. Landrecht, 1973, II.66, §§ 1-2); come si è detto, il codice cita i diversi tipi di pedaggio riscossi per la circolazione e prende in considerazione anche in modo esauriente le strade, senza spendere una parola a proposito della loro riparazione, ma concentrandosi su un altro insieme di problemi connessi alla viabilità.
La preoccupazione dominante del Sachsenspiegel, per quanto concerne le strade, è la loro ampiezza. Vi si dice che la strada regia ‒ con cui si intende una via di grande comunicazione, quella che in Italia era definita strata ‒ doveva avere un'ampiezza tale da consentire ai veicoli carichi di transitare contemporaneamente nelle due direzioni (ibid., II.59, § 3). Invece per tutte le strade che erano più strette della via regia e per i ponti, che di regola consentivano il traffico in una sola direzione, venivano indicate modalità di circolazione che stabilivano chi dovesse cedere il passo all'altro sulla strada. Il Sachsenspiegel prevedeva che il veicolo vuoto dovesse dare la precedenza a quello semicarico e quest'ultimo, a sua volta, a quello carico. E, allo stesso modo, il cavaliere doveva fare spazio al veicolo e il pedone al cavaliere. Naturalmente, in questo quadro, valeva in generale il principio che chi raggiungeva per primo il punto stretto doveva anche passare per primo (ibid.). Questa descrizione sommaria delle regole relative al traffico consente di capire che i problemi più frequenti sulle strade dipendevano dalla loro ampiezza insufficiente. È interessante notare anche un'altra regola del traffico vigente sulle strade sassoni: nell'inseguimento di criminali, vi si dice, l'inseguitore ha la precedenza e il resto della circolazione deve fermarsi e lasciargli la strada libera (ibid.). L'ampiezza orientativa delle strade indicata in questa compilazione viene ripresa negli anni Settanta del XIII sec. nella traduzione sveva del Sachsenspiegel, ossia lo Schwabenspiegel (1972, c. 221) e si ritrova anche in documenti, per esempio a Worms nel 1275 (Quellen zur Geschichte der Stadt Worms, 1886, p. 237).
Un altro passo del Sachsenspiegel che si occupa in generale della regolazione dei danni arrecati, si sofferma sui cani che scorrazzano sulle strade: se qualcuno dovesse uccidere un cane che sta per mordere il bestiame oppure lui stesso, non è tenuto a versare alcun risarcimento per il suo atto (Sachsenspiegel. Land-recht, 1973, III, § 48).
Per finire, è interessante l'uso citato dal Sachsenspiegel secondo cui ai viaggiatori era consentito di procurarsi il foraggio per i loro cavalli nei campi circostanti, se gli animali rischiavano di soccombere lungo la strada per la fame. In questo passo tuttavia si aggiunge che l'interessato doveva tagliare il foraggio per l'animale stando con un piede sulla strada, ma senza poterlo portare con sé (ibid., II, § 68). Quest'antico uso vigente nel Regno, testimoniato del resto anche nelle leggi dei longobardi, che fu ripreso da Federico Barbarossa nella sua prima pace territoriale nel 1152 (M.G.H., Constitutiones, 1896, I, 198, nr. 140, cap. 20) e ricomparve anche nella Pax antiqua Saxonie (cap. 8), colpì Federico a tal punto che ‒ richiamandosi alla consuetudine in vigore in altre parti dell'Impero ‒ lo fece inserire anche nelle Costituzioni di Melfi (Die Konstitutionen, 1996, III, 58).
Oltre alle grandi strade di comunicazione merita uno sguardo anche lo spazio cittadino. Le poche testimonianze scritte, ma soprattutto gli scavi archeologici, dimostrano che vi era la consuetudine di riparare strade e piazze, e addirittura, come prova un privilegio rilasciato alla città borgognona di Apt, fra i diritti concessi dal sovrano a una città rientrava anche quello di riparare le sue strade (Historia diplomatica, V, p. 34: "cum iure similiter conservandi vias ipsius civitatis in statu debito"). Nella Germania settentrionale quest'operazione si effettuava abitualmente usando assi di legno, dello spessore di circa 10 cm, poggiate trasversalmente sulla carreggiata, mentre gli interstizi erano riempiti con assicelle dello spessore di 3 cm, su cui si versava uno strato di sabbia (è il caso di Hannover), oppure un ammasso di ghiaia ricoperto poi da uno strato di sabbia (a Duisburg intorno al 1250). A Colonia già nel 1149 una parte del mercato era pavimentata con ghiaia e legno (Urkundenbuch für die Geschichte des Niederrheins, 1840, nr. 366); a Wis-mar i cittadini (Meklenburgisches Urkundenbuch, 1863, I, nr. 652: aa. 1250-1258) e ‒ come è testimoniato per l'anno 1294 ‒ anche le comunità religiose che si insediavano in città erano tenuti a costruire la strada di fronte alle loro parcelle o ai loro conventi e ad occuparsi della manutenzione (ibid., 1865, III, nr. 2291). Che i cittadini fossero responsabili della strada di fronte alle loro case è provato anche a Lubecca: gli statuti della città ordinavano (1263) che i proprietari di case davanti alle quali uomini o animali fossero caduti a causa del cattivo stato della strada fossero obbligati a pagare l'eventuale danno (Hach, 1839, p. 208).
Gli statuti cittadini fin dalla fine del XII sec. testimoniano la tutela delle strade, punendo con un'ammenda di 40 solidi chi avesse costruito sopra una strata (Urkundenbuch der Stadt Straßburg, 1879, nr. 616, cap. 81). Gli statuti di Dortmund (1254-1256) ‒ che furono recepiti da molte città di nuova fondazione ‒ prevedevano una graduazione delle sanzioni per questo tipo di violazione, a seconda che si trattasse di una strata regia o di una via (Frensdorff, 1882, p. 37).
La pianificazione di strade e piazze si può osservare nella pianta di mercati o di città di nuova fondazione. Il nucleo dei nuovi insediamenti era costituito da piazze del mercato di dimensioni imponenti ‒ a Colditz al principio del XIII sec., 90x32,50 m; a Goldberg nel 1220-1230, 163x63 m; a Oppel nel 1246, 110x75 m; a Breslavia nel 1241-1242, 207x171 m (Szabó, 1994, p. 223). Questi mercati al tempo stesso offrono un'eloquente testimonianza della volontà dei fondatori di attirare mercanti e acquirenti verso le nuove piazze e spiegano il motivo per cui si cercava di deviare le strade dal loro tracciato consueto.
Le vie rurali, indispensabili per l'economia forestale e l'agricoltura, funzionavano secondo un sistema completamente diverso da quello italiano. Come si può ricavare dalle fonti, che diventano più abbondanti solo in epoche più tarde ‒ ma che già sono tramandate sporadicamente per l'età di Federico II ‒ soltanto poche vie prestabilite conducevano fuori dai villaggi, mentre i campi, gestiti secondo i ritmi della rotazione triennale delle colture, erano resi accessibili da vie segnate di volta in volta a seconda delle stagioni (Bader, 1936). Questa peculiarità dei rapporti può essere già osservata in una delle disposizioni del Sachsenspiegel, dove si dice ‒ con riferimento al diritto di circolazione in primavera, dopo la semina o in estate, se il raccolto era pronto ‒ che chi attraversava a cavallo o con un veicolo un campo già coltivato doveva pagare mezzo Pfennig per il cavallo o un Pfennig per ogni ruota del veicolo che calpestava il campo; ma se le messi erano già cresciute, la persona in questione doveva corrispondere un risarcimento (Sachsenspiegel. Land-recht, 1973, II.27, § 4). Quindi l'attraversamento dei campi a cavallo o con veicolo era consentito in altre stagioni.
Conclusioni. Si può affermare che nella storia d'Italia il regno di Federico II coincide con l'epoca in cui le strade, per la prima volta dopo l'antichità, furono oggetto in grande stile della sorveglianza e della cura pubblica. Federico considerò suo compito ristabilire la pace e la sicurezza sulle strade, mentre i comuni ‒ sulla base delle regalie concesse con la pace di Costanza ‒ si fecero carico dell'intera gamma della cura delle strade, che spaziava dal garantire la sicurezza e i risarcimenti alla riparazione di strade e ponti in tutto il territorio.
In Germania la politica corrispondente di Federico II fu rivolta a instaurare la sicurezza sulle strade e a garantire il loro libero uso, che era minacciato dai signori territoriali ‒ e persino dal figlio di Federico, re Enrico (VII) ‒ i quali, fondando mercati e città, cercarono di convogliare il traffico verso nuove piazze. Per quanto riguarda invece la manutenzione delle strade maestre, probabilmente venne praticata solo nel caso di campagne militari ‒ come dimostrano le campagne sassoni di Carlomagno o, nella pace di Costanza, la richiesta del Barbarossa ai comuni di riparare strade e ponti in occasione delle sue discese ‒, mentre in tempi normali non era ancora prevista. Le città che erano altamente interessate ai traffici e al commercio riparavano le loro strade entro le mura, ma, a differenza dei comuni italiani, queste città non possedevano un territorio e, di conseguenza, le loro possibilità d'azione all'esterno delle mura restavano limitate. Anche i signori territoriali, che traevano vantaggio dal traffico tramite il conductus e le entrate che ne derivavano, dovevano essere interessati al buono stato delle strade, in quanto con tali facilitazioni avrebbero attirato traffico e quindi accresciuto i loro profitti. Tuttavia, all'epoca di Federico II, per quanto riguarda queste due istituzioni di potere, le città e i signori territoriali, è documentato soltanto per le prime che si adoperassero per lo stato materiale delle strade. Riguardo ai signori territoriali invece disponiamo purtroppo di indicazioni molto vaghe e indirette in merito ad attività paragonabili: nelle costituzioni di Filippo di Svevia (1198-1208) e di Ottone IV (1198-1214/1218), per esempio, emerge con chiarezza come in Germania spuntassero dappertutto nuovi pedaggi (telonea). Può essere annoverata fra le testimonianze più eloquenti di questo fenomeno una disposizione di re Enrico (VII) del 1234, in cui ordinava che tutti i nuovi pedaggi istituiti sulle strade e sui corsi d'acqua dopo la morte del bisnonno Federico I fossero soppressi e prometteva al contempo di eliminare anche i nuovi pedaggi da lui stesso istituiti (M.G.H., Constitutiones, II, nr. 319, cap. 9). Analogamente Federico II, un anno più tardi, nella pace imperiale di Magonza più volte menzionata, cercò di regolare questa crescita spontanea, annullando tutti i nuovi pedaggi fissati dopo la morte di suo padre Enrico VI (ibid., nr. 196, cap. 7). Il poscritto di questa disposizione, che segue la minaccia di sanzioni per i contravventori e la richiesta ai detentori di telonea di farsi carico delle riparazioni stradali, suggerisce cosa poteva nascondersi dietro la crescita indiscriminata di telonea: all'epoca di Federico II si cominciarono a istituire pedaggi stradali in grande stile, fra l'altro allo scopo di eseguire riparazioni, anche se i documenti suffragano scarsamente quest'ipotesi.
Fonti e Bibl.: J.-F. Hach, Das alte lübische Recht, Lübeck 1839; Urkundenbuch für die Geschichte des Niederrheins, I, a cura di Th.J. Lacomblet, Düsseldorf 1840; Urkundenbuch der Stadt Lübeck(Codex diplomaticus Lubecensis), I, Lübeck 1843; Historia diplomatica Friderici secundi; Meklenburgisches Urkundenbuch, I, Schwerin 1863; III, ivi 1865; Annales Italici aevi Suevici, in M.G.H., Scriptores, XVIII, a cura di G.H. Pertz, 1863; Statuti di Bologna dall'anno 1245 all'anno 1267, a cura di L. Frati, II, Bologna 1869; Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, a cura di F. Bonaini, II, Firenze 1870; Constitutum usus Pisanae civitatis (1233), ibid., pp. 811-1026; Urkundenbuch zur Geschichte der jetzt die preussischen Regierungsbezirke Coblenz und Trier bildenden mittelrheinischen Territorien, III, a cura di L. Eltester-A. Goerz, Coblenz 1874; Urkundenbuch der Stadt Straßburg, I, Urkunden und Stadtrechte bis zum Jahr 1266, a cura di W. Wiegand, Straßburg 1879; Acta Imperii inedita, I; Regesta Imperii, V, 1-3, Die Regesten des Kaiserreiches […], a cura di F. Böhmer-J. Ficker-E. Winkelmann, Innsbruck 1881-1901; F. Frens-dorff, Dortmunder Statuten und Urteile, Halle 1882; Quellen zur Geschichte der Stadt Worms, a cura di H. Boos, I, Berlin 1886; M.G.H., Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, a cura di L. Weiland, 1896; E. Gabotto, Il Chartarium Dertonense, Pinerolo 1909; Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938; Liber Consuetudinum Mediolani anni MCCXVI, a cura di E. Besta-G.L. Barni, Milano 1949; Der Schwabenspiegel: nach einer Handschrift vom Jahr 1287, a cura di F.L.A. von Lassberg-K.A. Eckhardt, Aalen 1972; Sachsenspiegel. Landrecht, a cura di K.A. Eckhardt, in M.G.H., Fontes iuris Germanici antiqui, Nova Series, I, 1, 1973; Die Urkunden Friedrichs I., a cura di H. Appelt, ibid., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, X, 1-5, 1975-1990; L. Weinrich, Quellen zur deutschen Verfassungs-, Wirtschafts- und Sozialgeschichte bis 1250, Darmstadt 1977; Il Registrum Magnum del Comune di Piacenza, I-IV, Milano 1984-1988; Die Konstitutionen Friedrichs II. für das Königreich Sizilien, a cura di W. Stürner, in M.G.H., Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, Supplementum, 1996. F.J. Mone, Urkunden über den Untermain von Kastell bis Wertheim, "Zeitschrift für die Geschichte des Oberrheins", 15, 1863, pp. 65-85; E. Winkelmann, Kaiser Friedrich II., I, 1218-1228, Leipzig 1889; H. von Nathusius-Neinstedt, Baldemars von Peterweil Beschreibung von Frankfurt, "Archiv für Frankfurts Geschichte und Kunst", 5, 1896, pp. 49-50; L. Zdekauer, La vita pubblica dei senesi nel Dugento, Siena 1897; L. Schiaparelli, Alcuni documenti dei "Magistriaedificiorum Urbis" (secoli XIII e XIV), "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 25, 1902, pp. 5-60; F. Güterbock, Die Lukmanierstraße und die Paßpolitik der Staufer. Friedrichs I. Marsch nach Legnano, "Quellen und Forschungen aus Italienischen Archiven und Bibliotheken", 11, 1908, pp. 1-24; K. Weller, Zur Organisation des Reichsguts in der späteren Stauferzeit, in Forschungen und Versuche zurGeschichte des Mittelalters und der Neuzeit. Festschrift D. Schäfer zum siebzigsten Geburtstag dargebracht von seinenSchülern, Jena 1915; Id., Die Reichsstraßen des Mittelalters im heutigen Württemberg, "Württembergische Vierteljahrshefte für Landesgeschichte", n. ser., 33, 1927, pp. 1-43; Id., Die Hauptverkehrsstraßen zwischen dem westlichen und südöstlichen Europa in ihrer geschichtlichen Bedeutung bis zum Hochmittel-alter, in Württembergische Vergangenheit. Festschrift des Württem-bergischen Geschichts- und Altertumsvereins zur Stuttgarter Tagung des Gesamtvereins der deutschen Geschichts- und Altertumsvereine im September 1932, Stuttgart 1932, pp. 89-128; K.S. Bader, Ländliches Wegerecht im Mittelalter, vornehmlich in Oberdeutschland, "Zeitschrift für die Geschichte des Oberrheins", n. ser., 49, 1936, pp. 371-444; E. Klingelhöfer, Die Reichsgesetze von 1220, 1231/32 und 1235. Ihr Werden und ihre Wirkung im deutschen Staat Friedrichs II., Weimar 1955; O. Stolz, Der geschichtliche Inhalt der Rechnungsbücher der Tiroler Landesfürsten von 1288-1350, Innsbruck 1957; H. Ammann, Der hessische Raum in der mittelalterlichen Wirtschaft, "Hessisches Jahrbuch für Landesgeschichte", 8, 1958, pp. 36-70; D. von der Nahmer, Die Reichsverwaltung in Toscana unter Friedrich I. und Heinrich VI., Aalen s.d. [ma 1965]; Chr. de Craecker-Dussart, L'évolution du sauf-conduit dans les principautés de la Basse Lotharingie, du VIIIe au XIVe siècle, "Le Moyen Âge", 80, 1974, pp. 185-243; H. Dilcher, Die sizilische Gesetzgebung Kaiser Friedrichs II. Quellen der Constitutionen von Melfi und ihrer Novellen, Köln-Wien 1975; P. Guidotti, I ponti sul Limentra: contributo alla storia politica, economica e sociale di una vallata appenninica, "Il Carrobbio", 1975, pp. 213-243; F. Sznura, L'espansione urbana di Firenze nel Dugento, Firenze 1975; G. Fasoli, Castelli e strade nel "Regnum Siciliae". L'itinerario di Federico II, in Federico II e l'arte del Duecento italiano. Atti della III settimana di studi dell'arte medievale dell'Università di Roma (15-20 maggio 1978), a cura di A.M. Romanini, I, Galatina 1980, pp. 27-52; F. Hardt-Friedrichs, Markt, Münze und Zoll im ostfränkischen Reich bis zum Ende der Ottonen, "Blätter für Deutsche Landesgeschichte", 116, 1980, pp. 1-31; J. Riedmann, Die Übernahme der Hochstiftsverwaltung in Brixen und Trient durch Beauftragte Kaiser Friedrichs II. im Jahre 1236, "Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung", 88, 1980, pp. 131-163; I.-M. Wülfing, Städtische Finanzpolitik im späten 13. Jahrhundert, in Beiträge zum spätmittelalterlichen Städtewesen, a cura di B. Diestelkamp, Köln-Wien 1982, pp. 34-71; G. Krause, Ausgrabungen auf dem Alten Markt, in J. Milz-H. Pietsch, Duisburg im Mittelalter, Duis-burg 1986, pp. 57-69; A. Buschmann, Der Rheinische Bund von 1254-1257. Landfriede, Städte, Fürsten und Reichsverfassung im 13. Jahrhundert, in Kommunale Bündnisse Oberitaliens und Oberdeutschlands im Vergleich, a cura di H. Maurer, Sigmaringen 1987, pp. 167-212; Th. Szabó, Costruzioni di ponti e di strade in Italia fra il IX e il XIV secolo. La trasformazione delle strutture organizzative, in Ars et ratio. Dalla torre di Babele al ponte di Rialto, a cura di J.-C.-Maire Vigueur-A. Paravicini Bagliani, Palermo 1990, pp. 73-91; Id., Anacronismo storiografico e "politica di passo" dei sovrani medievali, in Lo spazio alpino: area di civiltà, regione cerniera, a cura di G. Coppola-P. Schiera, Napoli 1991, pp. 95-113; H. Plath, Die Frühgeschichte. Von den Anfängen bis zur Mitte des 13. Jahrhunderts, in Geschichte der Stadt Hannover, I, Von den Anfängen bis zum Beginn des 19. Jahrhunderts, Hannover 1992, pp. 11-66; W. Stürner, Friedrich II., I, Die Königsherrschaft in Sizilien und Deutschland 1194-1220, Darmstadt 1992; Th. Szabó, Comuni e politica stradale in Toscana e in Italia nel Medioevo, Bologna 1992; Id., Wirtschaftliche Aktivitäten und bauliche Erscheinung der mittelalterlichen Stadt, in Spazio urbano e organizzazione economica nell'Europa medievale, a cura di A. Grohmann, Perugia 1994, pp. 209-240; F. Bocchi, Federico II e la cultura urbanistica, in Federico II e le nuove culture. Atti del XXXI Convegno storico internazionale (Todi, 9-12 ottobre 1994), Spoleto 1995, pp. 475-506; A.I. Pini, Classe politica e progettualità urbana a Bologna nel XII e XIII secolo, in Strutture del potere ed élites economiche nelle città europee dei secoli XII-XVI, a cura di G. Petti Balbi, Napoli 1996, pp. 107-117; W. Stürner, Friedrich II., II, Darmstadt 2000; Th. Szabó, Une longue période de continuité dans l'espace agraire: remarques sur le territoire lucquois aux VIIIe-Xe siècles, in Scrivere il Medioevo. Lo spazio, la santità, il cibo. Un libro dedicato ad Odile Redon, a cura di B. Laurioux-L. Moulinier-Brogi, Roma 2001, pp. 151-167. H. Holzhauer, Landfrieden II., in Handwörterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte, II, Berlin 1978, coll. 1476-1478.
Traduzione di Maria Paola Arena