regnare
È vocabolo proprio del linguaggio poetico, e più specificamente della Commedia (un solo esempio nelle Rime).
In Pd XI 6 Chi dietro a iura... / sen giva, e chi seguendo sacerdozio, / e chi regnar per forza o per sofismi, r. significa " esercitare signoria politica, potere " (vedi, nel senso di " esercitare le funzioni di re ", Mn II III 10 qui Frigiam regnaverunt): il verbo è posto in una situazione sintattica assai singolare (studiata da I. Baldelli, Il canto XI del Paradiso, in Nuove Lett.), in cui si succedono il verbo finito, il gerundio, l'infinito e la costruzione nominale.
Anche per suggestione dell' ‛ auctoritas ' biblica (Ex. 15, 18 " Dominus regnabit in aeternum et ultra "), è riferito a Dio, quello imperador che là sù [nell'Empireo] regna (If I 124); il Mattalia osserva (ad l.) che D. " distingue... imperare da regnare o reggere [cfr. v. 127 Dio In tutte parti impera e quivi [nell'Empireo] regge], ch'è esercizio specifico e diretto di sovranità in un delimitato territorio "; di qua la proprietà dell'uso di r., giacché il Paradiso e l'Inferno sono ‛ regni ', cioè comunità regolarmente organizzate (v. REGNO): considerazione probabilmente troppo sottile, dato che in Pd XII 40 lo 'mperador che sempre regna, e XIV 29 manca ogni determinazione che giustifichi l'attribuzione di un valore specificante al verbo. Analogamente, in Detto 154 è riferito al dominio esercitato dal dio Amore.
In senso figurato vale " dominare " in genere: Rime LXXXIII 14 leggiadria... è bella tanto / che fa degno di manto / imperial colui dov'ella regna.
L'usitata immagine biblica della beatitudine come regno (Matt. 25, 34; II Tim. 2,12) ha suggerito forse l'uso estensivo di Pg XXI 24 coi buon convien ch' e' regni, " è destinato a partecipare della beatitudine destinata agli eletti ". Similmente in Detto 193 Perch'i'... / sì ben co llei regno, / i' non vogli' altro regno, " godo talmente dell'amore di lei, che non desidero altro ".