registro
Esistono in linguistica concezioni differenti di registro. Un aspetto centrale condiviso è la correlazione tra situazione comunicativa e registro come appare formulata nella seguente definizione lessicografica: «Modo di parlare o scrivere, livello espressivo proprio di una data situazione comunicativa: registro familiare, giornalistico, burocratico» (GDG 2008, sub voce).
Le concezioni variano invece per quanto riguarda i fattori ritenuti costitutivi della situazione comunicativa, la natura linguistica del registro, le modalità che correlano tra loro le dimensioni linguistica e situazionale. Per le ricerche sociolinguistiche empiriche si è rivelata produttiva l’impostazione sviluppata da Berruto (1987), che seleziona tra le variabili della situazione comunicativa il grado di formalità e la relazione tra gli interlocutori come fattori discriminanti del registro, definito un tipo di varietà diafasica (➔ variazione diafasica).
Nei primi usi di registro ricorrenti in linguistica si intendono in generale entità eterogenee come la lingua parlata o la lingua letteraria (cfr. Coseriu 2007: 196), mentre con situazione comunicativa domini ampi come l’amministrazione o la religione (cfr. Reid 1956: 32).
La sociolinguistica ha in seguito elaborato approcci differenziati alla variazione diafasica. In dipendenza dai fattori situazionali selezionati, si indicano con registro entità diverse, di volta in volta corrispondenti a varietà, modalità d’uso o anche a generi comunicativi, come ad es., nel dominio dell’insegnamento universitario, il manuale (registro scritto) e il ricevimento studenti (registro orale; cfr. Biber 2006). Spesso registro è un termine generale che copre ogni forma di variazione situazionale e ogni tipo di varietà diafasica, inclusi quindi i ➔ linguaggi settoriali; oppure equivale a «linguaggio settoriale».
Per la natura polisemica di registro e per l’uso di altri termini con significati affini come stile (funzionale), genere (comunicativo) e tipo di testo, sono frequenti gli sforzi di ridefinizione e di differenziazione terminologica (cfr., ad es., Lee 2001). Le accezioni di registro sopra evocate ricorrono anche in autori italiani (cfr. Rovere 1989: 137 segg.). In testi di linguistica e di critica letteraria si trovano inoltre usi in cui il termine ha il significato generico di «livello stilistico»: «Nei toni maggiori, coi registri alti, gruppi di periodi escono densi, abbreviati» (Pancrazi 1953: 191).
In ambito letterario, registro è spesso usato in riferimento a un fenomeno ricorrente nella storia della letteratura italiana, la commistione cioè di varietà linguistiche (➔ mistilinguismo) con funzioni di mimesi, parodia o polifonia espressiva, come per il Novecento in autori come ➔ Pier Paolo Pasolini e ➔ Carlo Emilio Gadda. Più complessa è l’accezione che rimanda a modalità distributive nella strutturazione narrativa del testo letterario (cfr. Segre 1972).
«I tratti linguistici che caratterizzano registri diversi paiono sì cooccorrere con regolarità, ma non essere solidali fra loro in senso sistemico [...], il che aumenta l’impressione generale di un continuum» (Berretta 1988: 769). Il motivo principale per cui i registri, più di altri tipi di varietà, non costituiscono entità con confini nettamente delimitabili va cercato nella complessità del concetto sociologico di situazione comunicativa. I registri variano, infatti, in dipendenza da illimitate costellazioni di fattori situazionali, interagenti in modo multiforme e variabile. Dal naturale intreccio delle diverse dimensioni di variazione nell’atto comunicativo deriva inoltre che tratti appartenenti alla ➔ variazione diatopica e alla ➔ variazione diastratica possono svolgere nel discorso funzioni di registro e i registri, a loro volta, funzioni sociolettali.
Così, registri molto bassi e plebei sono talora utilizzati da gruppi giovanili come contrassegno della propria identità sociale (➔ giovanile, linguaggio). All’interno della stessa dimensione diafasica, l’uso di un linguaggio settoriale, non accompagnato da sforzi di mediazione nei riguardi degli interlocutori profani, assume funzioni di registro servendo allo specialista per sottolineare l’autorità del proprio ruolo. La distinzione tra varietà correlate primariamente con il grado di formalità (i registri) e varietà correlate primariamente con tematiche disciplinari (i linguaggi settoriali) si rivela nondimeno operativa in quanto permette di tenere separate su un piano anche terminologico entità diverse nella loro configu-razione linguistica. Mentre i linguaggi settoriali sono carat-terizzati soprattutto da tratti distintivi a livello semantico, nei registri la variazione si manifesta per lo più in chiave distribuzionale, cioè nella frequenza e concentrazione di tratti lungo la scala dei registri su tutti i livelli di analisi. Un contributo fondamentale alla descrizione dei registri viene significativamente dalla linguistica dei corpora (➔ corpora di italiano), tesa a rilevare in termini quantitativi la distribuzione dei tratti.
Quando i linguaggi settoriali interagiscono con registri molto alti, ad es. in campo giuridico (➔ giuridico-amministrativo, linguaggio), si individuano fenomeni di transizione da un tipo di varietà diafasica all’altro. In generale, però, il criterio della scelta tra opzioni equivalenti sul piano semantico, ma diverse nel grado di formalità, permette di identificare i fenomeni di registro. I cosiddetti pseudotecnicismi o tecnicismi collaterali, ad es., essendo dotati di una tecnicità di natura connotativa, appartengono alla dimensione del registro: nell’uso medico controindicazione è sostituibile soltanto con una parafrasi, pregresso invece rappresenta una scelta di registro formale rispetto a precedente, sinonimo non marcato.
Il principale parametro di differenziazione extralinguistica dei registri è costituito dal grado di formalità della situazione, per cui si contrappongono i registri alti, formali, a quelli bassi, informali. Il grado di formalità trova una sua codificazione nelle norme sociali che regolano le interazioni in una data comunità (per es., chi si può salutare con ciao?; ➔ allocutivi, pronomi; ➔ saluto, formule di). Esso si manifesta inoltre nelle tradizioni discorsive dei vari tipi di testo (cfr., ad es., le formulazioni ricorrenti nelle iscrizioni commemorative su monumenti pubblici: a perenne memoria posero; ➔ iscrizioni e lapidi, lingua delle), e nelle norme comunicative peculiari, vincolanti soprattutto in domini istituzionali come quello giuridico, religioso, militare, in cui i ruoli sono ampiamente predefiniti (cfr., ad es., ordini militari come segnare il passo!; ➔ militare, linguaggio).
Il grado di formalità è anche condizionato dalle intenzioni dei partecipanti alla comunicazione. Soprattutto in situazioni poco strutturate, quando la natura della relazione è oggetto di negoziazione, anche il registro selezionato contribuisce a determinare il grado di formalità, creando distanza o vicinanza.
La scelta del registro è sottoposta a giudizi di adeguatezza rispetto alla situazione comunicativa in generale, oppure a specifici fattori come l’intenzione del parlante (cfr. la collocazione sbagliare registro «avere un comportamento o tenere un discorso non adeguati alla situazione o all’interlocutore»: Sabatini & Coletti 2007, sub voce «registro»). I giudizi possono variare in base all’estrazione socioculturale e alla competenza comunicativa dei parlanti o in seguito a conflitti tra norme. Si veda a proposito la critica all’uso dei registri alti, quando sono di ostacolo alla comprensione. Di segno opposto è la pedagogia linguistica tradizionale orientata a un modello di lingua monocorde che impone il registro formale indipendentemente dalla situazione comunicativa (tagliare il salame va sempre sostituito con affettare il salame).
Per motivi inerenti alla storia linguistica italiana, la gamma dei registri risulta in italiano particolarmente ampia. Al polo alto, oltre il livello formale, il parlante colto dispone dei vari mezzi linguistici e retorici della lingua letteraria: ➔ arcaismi, ➔ grecismi e ➔ latinismi, locuzioni ricercate anche di altre lingue (adergersi per «alzarsi», dianzi per «poco fa», una panoplia di per «una moltitudine di», ordunque per «ebbene»; eo ipso «automaticamente», et pour cause «a ragion veduta»; ➔ cultismi). Al polo opposto, il parlante può servirsi di elementi di varietà basse di italiano regionale e, con ➔ commutazione di codice, del dialetto.
Quanto alla identificazione del registro non marcato, la crescente diffusione della lingua nazionale contribuisce a spostare verso il basso il parametro di riferimento. Nel frattempo il registro neutro non tende più a coincidere con la varietà standard nella sua totalità, che ora funge da riferimento per il registro formale, ma si orienta piuttosto sull’italiano cosiddetto neostandard.
Di conseguenza aumenta la marcatezza dei registri più alti, sempre meno frequenti in situazioni in cui in passato rappresentavano la norma, e si potenziano i registri informali, sempre più dominanti nella comunicazione quotidiana. Allo sviluppo dei registri informali contribuisce in particolare il continuo impiego di voci regionali e gergali (come incazzarsi «innervosirsi», scazzottarsi «picchiarsi», sfigato «sfortunato»). I mutamenti nelle norme sociali e nelle convenzioni testuali degli ultimi decenni si riscontrano considerando, ad es. in prospettiva diacronica, la corrispondenza commerciale per quanto riguarda le forme allocutive (Pregiatissimo Signor N. e simili, oggigiorno piuttosto Egregio/Gentile/Egr./Gent. Signor/sig. N.), i pronomi di cortesia (Ella/Lei, ora in genere Lei/lei) e le formule di saluto (Con ossequio e simili, oggi Con distinti saluti e simili) (► stile epistolare).
I registri oltre il livello formale sono correlati tipicamente con situazioni comunicative solenni, ma la loro scelta dipende anche da caratteristiche sociali del parlante. Di solito essi si concentrano, infatti, in produzioni scritte di parlanti colti di età avanzata. Alle differenze nel grado di accessibilità alla gamma alta dei registri in base al livello di istruzione, si aggiunge quindi, specie per l’uso attivo, una componente generazionale. L’aumento di marcatezza dei registri più alti si nota sul piano grafico (➔ ortografia) nel regresso di tratti appartenenti in passato al registro formale, come la i- prostetica (per isbaglio; ➔ epentesi), o l’accento circonflesso con nomi e aggettivi in -io al plurale (proprî; ➔ accento grafico), ora marche di un registro aulico.
In misura superiore al registro formale, si nota in quello aulico la generale tendenza a diversificare massimamente le scelte lessicali e a sfruttare la gamma di opzioni morfosintattiche offerte dalla tradizione letteraria: esempi sono le congiunzioni subordinanti (acché, allorché, allorquando, ancorché, ecc.), le costruzioni perifrastiche non motivate da esigenze semantiche (ebbi a dire; ➔ perifrastiche, strutture), la varietà di piani argomentali, inclusa la costruzione latineggiante dell’infinito con soggetto espresso («La sentenza impugnata deve presumersi avere menzionato tale circostanza solo ad colorandum»: da una sentenza della Corte di cassazione del 2005; ➔ accusativo con l’infinito).
La centralità del verbo nella sintassi dei registri alti si manifesta inoltre nella subordinazione multipla. Specie se non è funzionale a esplicitazioni argomentative, usuali ad es. in testi filosofici, essa si contrappone alle ➔ nominalizzazioni tipiche del registro formale. Mentre questo si distingue dai registri più bassi per l’alto grado di pianificazione e di controllo del discorso, il registro aulico si qualifica ulteriormente per la sua ricercatezza. Il fenomeno opposto, la trascuratezza, emerge tipicamente nella dimensione del parlato (➔ lingua parlata). Per questo motivo il registro informale tende a essere identificato con l’italiano colloquiale.
Il grado di informalità si riconosce in primo luogo in tratti marcati in diatopia (➔ variazione diatopica), nonché nella frequenza di fenomeni dovuti all’eloquio rapido e trascurato e indicati col termine musicale di allegro (➔ pronuncia). Esempi di tale procedimento sono le riduzioni morfofonologiche (notte per buonanotte, (n)somma; ➔ abbreviazioni), le metatesi che semplificano la pronuncia come in areoporto invece di aeroporto, le ➔ aferesi sillabiche (sta sfiga per questa sfiga), le apocopi come vien/viè qua per vieni qua.
Caratteristici del registro informale sono inoltre il lessico ristretto e generico (fare, cosa), le abbreviazioni (bici, cine), gli ordini marcati di costituenti (io, a quel tizio, la mancia, non la do; ➔ focalizzazioni; ➔ ordine degli elementi), la prevalenza di frasi brevi, giustapposte. Nella gamma dei ➔ segnali discorsivi, appartengono al registro informale, ad es., beh, con funzione fàtica, dai. Le parole volgari (➔ parole oscene) caratterizzano tradizionalmente il registro basso, ma ricorrono ora anche in quello informale, con tendenza a perdere la marcatezza: che cazzo dice?.
Tipiche dei registri informale e basso sono le manifestazioni immediate di emotività, laddove nei registri formale e aulico il coinvolgimento emotivo è elaborato retoricamente. Le interiezioni di sorpresa, ad es., possono essere disposte in un ordine crescente di informalità, con passaggi al registro basso: perbacco, mamma, cavolo, cazzo (➔ interiezione). Particolarmente marcate sono interiezioni come boh per esprimere indifferenza, ehi! invece di attenzione!.
Negli ultimi anni la comunicazione mediata dal computer (➔ Internet, lingua di; ➔ posta elettronica, lingua della; ➔ lingua e media) ha contribuito a diffondere i registri informale e basso anche nello scritto, in passato limitati, nella scrittura pubblica, a testi esposti come i ➔ graffiti (che palle questi professori). Una spia evidente di digitazione rapida e trascurata sono gli errori di battitura non corretti. Altre forme di allegro scritto, frequenti nella conversazione elettronica, come la grafia consonantica (sn per sono) e alfanumerica (C6 scem8?), oppure gli accorciamenti specifici (prox per prossimo/-a/-i/-e) rivelano, oltre all’economicità, funzioni sociali della scrittura informale. L’emotività si manifesta in particolare tramite espedienti grafici come i caratteri maiuscoli, l’iterazione di punti esclamativi, interrogativi e di vocali finali, nonché nella loro combinazione con funzione di mimesi della parola gridata: BASTAAA!!!.
Sono considerati registri semplificati il ➔ baby talk (Savoia 1987: 114) e il ➔ foreigner talk, che ricorrono in situazioni caratterizzate da una netta asimmetria nella competenza linguistica tra parlante e interlocutore, come nel caso, appunto, della comunicazione tra adulto e bambino piccolo, parlante nativo e parlante non nativo.
Nelle descrizioni del baby talk le proprietà più frequentemente menzionate sono: intonazione e fonologia particolari, riduzioni morfosintattiche, lessico semplice e ridondante, alta frequenza di vezzeggiativi e di allocutivi affettuosi, forme specifiche come bua. Risulta, nel contempo, una forte variabilità sia nel comportamento comunicativo, sia negli esiti linguistici: a un bambino piccolo si può chiedere ti sei fatto la bua?, ma anche ti sei fatto male? (cfr. Ferreri 1983: 54).
Una causa fondamentale di variazione è ovviamente l’età del bambino. Nell’interazione con neonati e bambini di pochi mesi assumono rilievo fattori prosodici e ritmici. Sono frequenti le vocalizzazioni, le ripetizioni (➔ reduplicazione espressiva) e gli allungamenti sillabici, i raggruppamenti di parole con affinità fonetica. In queste fasi la comunicazione ha in primo luogo funzioni affettive. Successivamente le forme, selezionate in correlazione con lo sviluppo del linguaggio infantile, sono orientate in misura via via crescente a obiettivi di socializzazione e di apprendimento linguistico. Alla variabilità interna del baby talk si aggiungono differenze dipendenti dall’estrazione socioculturale del parlante e dai suoi orientamenti educativi. Sensibili sono inoltre le diversità qualitative e quantitative tra donne e uomini, e in particolare tra madre e padre. Non a caso si trovano in letteratura anche i termini motherese e, in italiano, mammese.
Con baby talk secondario si intende il registro usato in prevalenza negli ospizi nei riguardi di anziani dipendenti. Le proprietà linguistiche principali (allocutivi affettivi, lessico elementare ma ricco di diminutivi espressivi e di eufemismi, morfosintassi semplice) riflettono un atteggiamento sociale che gli anziani in condizioni di forte dipendenza vivono in genere come manifestazione di affetto. Dalle persone con competenze superiori a quelle presupposte dal parlante tale comportamento tende invece a esser percepito come iperadattamento o come espressione di un atteggiamento paternalistico e degradante.
Tratti salienti del foreigner talk sono un’elocuzione rallentata e spesso innaturale, riduzioni morfosintattiche come l’omissione dell’articolo e l’uso sovraesteso di infinito e participio passato, frasi brevi (➔ pronuncia). Le ricerche empiriche evidenziano un’ampia variabilità interpersonale, condizionata in primo luogo dal rapporto sociale che il parlante intende istituire con l’interlocutore, e intrapersonale in dipendenza dalla dinamica dell’interazione (cfr. Dittmar 2004: 224).
Le manifestazioni più marcate di foreigner talk si riscontrano tipicamente in situazioni in cui il parlante nativo valuta il proprio status sociale come superiore e la competenza dell’interlocutore come molto bassa. Un tratto evidente è il tu allocutivo generalizzato nei confronti degli stranieri adulti (➔ allocutivi, pronomi). Specie quando la competenza è, di fatto, più alta, tali scelte vengono facilmente avvertite dall’interlocutore come semplificazioni caricaturali tese a mettere in dubbio le sue facoltà cognitive e la sua dignità di persona adulta, o a imitare derisoriamente un modo di parlare deviante dalla norma, considerato caratteristico degli stranieri in generale.
Un adeguamento con finalità cooperative alle esigenze poste dalla comunicazione con interlocutori non nativi è rilevabile invece in strategie volte, da un lato, a evitare elementi lessicali non comuni (locuzioni idiomatiche, strutture grammaticali complesse), e a selezionare, dall’altro, elementi e strutture ritenuti comprensibili per l’interlocutore non nativo. Gli enunciati sono semplici ma non agrammaticali, l’elocuzione è accurata ma non innaturale; frequenti sono inoltre le espressioni di controllo della comprensione, in particolare il ricorso a strategie volte a ottenere conferme.
Un comportamento comunicativo che travalichi la normale selezione di elementi e regole della lingua comune conformi al livello di comprensione del bambino piccolo, del parlante non nativo, dell’anziano dipendente o della persona disabile, non costituisce un tipo di adeguamento all’interlocutore richiesto da norme unanimemente condivise. Un tale atteggiamento può essere giudicato addirittura inopportuno per motivi sociali, psicologici o formativi.
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