REGIONE.
– Il rilancio del ruolo delle regioni. Il regionalismo. La regione transfrontaliera
Il rilancio del ruolo delle regioni di Edorado Boria. – Nel quadro delle necessità di adeguamento dell’organizzazione dello Stato alle sfide dei nostri tempi si segnala la tendenza, comune a molti Paesi occidentali, a valorizzare il ruolo del soggetto regionale, ponendolo al centro dell’architettura istituzionale dello Stato e riconoscendogli una funzione decisiva in materia di programmazione economica. Per quanto riguarda questo secondo aspetto, è indicativo quanto accaduto relativamente alla definizione e implementazione delle politiche di sviluppo. Se fino agli anni Novanta del Novecento tali politiche erano prerogativa esclusiva delle agenzie centrali dello Stato e vedevano le r. nel ruolo passivo di destinatarie delle azioni programmate, recentemente si osserva una crescente collaborazione già nella fase di concepimento delle azioni di programmazione locale. Si è dunque preso atto dei limiti dell’azione centralizzata da parte dello Stato, le cui rigide concezioni macroeconomiche non promuovevano quel dinamismo necessario per un processo di sviluppo capace di affrontare un contesto internazionale più aperto e allo stesso tempo più incerto, e si è assistito alla messa in opera di un nuovo modello di sviluppo economico che responsabilizza gli attori regionali e valorizza le configurazioni reticolari dei mutamenti territoriali in corso.
Sul piano dell’inquadramento istituzionale (v. oltre: Il regionalismo), il rilancio del ruolo dell’entità regionale è ben evidente anche in Italia, dove il dibattito sulla riforma dello Stato assume la scala regionale come imprescindibile, mentre altri livelli tendono a essere ridimensionati (per es. quello provinciale). Nell’esitazione ad adottare assetti radicalmente nuovi, come sarebbe in caso di effettivo decollo di soggetti istituzionali introdotti da pochi anni nell’ordinamento giuridico italiano, quali le città-metropolitane o ancora, più recenti, le cosiddette aree vaste, la r. si conferma quindi la dimensione geografica fondamentale dell’organizzazione statale. Ciò avviene nonostante la circostanza che il dibattito attorno al ruolo delle r. nell’ordinamento statale, pur favorevole in astratto al superamento della loro storica condizione di dipendenza dal governo nazionale in termini di autonomia di bilancio, sia stato macchiato da una serie di scandali politici che rivelano la cattiva gestione di fondi amministrati dalle r. (soprattutto nell’ambito della spesa sanitaria, su cui sono cadute nel 2012 le giunte regionali della Lombardia e del Lazio). Questi scandali hanno sollevato perplessità nell’opinione pubblica circa l’opportunità di ampliare i poteri delle r., sostenuta invece da quel variegato tessuto di operatori locali che rivendicano con forza una piena legittimazione degli enti territoriali. L’attualità politica non ha dunque favorito il processo di devoluzione amministrativa alle r., ancora in buona parte dipendenti dai trasferimenti dal centro, che nel frattempo si sono contratti per effetto delle contingenti difficoltà delle casse dello Stato.
Il regionalismo di Edorado Boria. – Pur richiamando la medesima scala territoriale delle r., il termine regionalismo coglie fenomeni che si manifestano in ambiti differenti della vita associata. Una sua accezione fa riferimento al dato etnico e si focalizza sul senso di appartenenza a una comunità identificabile con un preciso territorio. Il regionalismo etnico ha continuato a rappresentare negli ultimi anni un fattore destabilizzante per molte formazioni statuali, con ripercussioni anche a livello geopolitico internazionale. Tra le recenti, più drammatiche, manifestazioni di regionalismo etnico vi è quella curda, che ha acquisito contorni inediti e imprevedibili dopo la disintegrazione dell’Irāq e poi della Siria. Dal 2014 è esploso inaspettatamente il caso ucraino, con i tentativi secessionisti delle sue r. orientali russofone, che ha provocato forti contraccolpi internazionali. Inoltre, in Europa il regionalismo etnico ha portato alla ribalta i casi catalano e scozzese, le cui rivendicazioni, pur pacifiche, costituiscono potenziali fonti di stravolgimenti istituzionali non solo per le impalcature statuali, rispettivamente di Spagna e Regno Unito, ma per l’intero sistema dei rapporti fra membri dell’Unione Europea.
Si tratta, evidentemente, di situazioni molto diverse tra loro, che però condividono al fondo la comune ispirazione a un (magari solo presunto) elemento identitario di cui le rivendicazioni si fanno espressione.
Si parla anche di regionalismo in un’accezione più direttamente politica. Da questo punto di vista, anche limitando l’analisi alle sole democrazie europee, si nota una molteplicità di atteggiamenti autonomistici che hanno dato vita in questi ultimi anni a forme diverse di condotte politiche: in alcuni casi (come in Carinzia e, seppur con peculiarità proprie, nelle r. dell’Italia settentrionale) attraverso partiti a dimensione nazionale che si sono fatti portavoce delle istanze del proprio elettorato; in altri casi (come nelle già citate esperienze di Scozia e Catalogna) attraverso partiti attivi esclusivamente entro l’ambito regionale. Si è di fronte a percorsi diversi che però nascono dalle medesime esigenze di manifestare e salvaguardare le specificità locali. Come si vede, per quanto il regionalismo, promotore di una specifica identità regionale, si origini in una dimensione che è fondamentalmente culturale, i progetti cui dà vita sboccano inevitabilmente sul terreno delle rivendicazioni in campo economico e giuridico-amministrativo.
In Italia la richiesta di una valorizzazione delle identità regionali, che a partire dagli anni Novanta del Novecento aveva assunto connotati politici molto risoluti, arrivando ad avanzare propositi separatisti che prefiguravano la fine dell’unità nazionale, ha recentemente attenuato quelle forme di estremizzazione radicale. Gli obiettivi delle forze politiche già espressione di tali rivendicazioni (Lega Nord in primis) hanno tatticamente mutato obiettivi, adottando una posizione che non mette più in discussione l’unità del Paese, ma continua comunque a soffiare sul fuoco della convivenza civile, ora declinata in chiave interetnica, trovando dunque il principale bersaglio nel cittadino immigrato.
Infine, si parla anche di regionalismo economico con riferimento a processi di integrazione politico-economica alla scala internazionale il cui coordinamento è affidato ad apposite organizzazioni sovranazionali (l’integrazione europea è paradigmatica in tal senso). Si tratta cioè della tendenza del sistema economico internazionale a strutturarsi secondo grandi aree regionali che riuniscono Paesi contigui con condivisione di politiche su alcuni temi. Al riguardo, però, non si registrano negli ultimi anni rilevanti successi di questi processi, compreso quello europeo. Anzi, pare che la realtà profonda dell’economia globalizzata dominata dalla finanziarizzazione, per sua natura volatile e deterritorializzata, stia mettendo in crisi gli stessi principi di coesione regionale e riconoscimento di un’identità comune che ispiravano questi processi.
La regione transfrontaliera di Paolo Sellari. – La regione transfrontaliera nasce in risposta alla crisi dello Stato-nazione derivante dalla globalizzazione come proposta di riorganizzazione territoriale politico-economica. Si tratta di un processo che prevede la creazione di nuove entità territoriali che vanno ad affiancarsi, e non a sostituirsi, allo Stato tradizionale, che, da parte sua, è spesso considerato anacronistico poiché incapace di affrontare e risolvere problemi di natura globale generati da dinamiche transnazionali le quali a loro volta sfuggono al suo controllo. In più, lo Stato si rivela spesso lontano e antitetico rispetto alle istanze regionalistiche e agli obiettivi di autorganizzazione e autogoverno delle comunità locali. Il fenomeno delle intese transfrontaliere è particolarmente diffuso nel continente europeo, dove dal crollo del Muro di Berlino si sono attuati processi di trasformazione degli assetti politici e geopolitici tradizionali particolarmente profondi e incisivi.
Gli effetti territoriali indotti da tali aggregati si configurano nell’avvio di rapporti funzionali interconfinari, sicché le r. coinvolte possano ricostruire, senza minare l’integrità dello Stato di riferimento, un sistema macroregionale più autonomo, razionale, efficiente e rispondente alle esigenze di modernizzare, de-burocratizzare e velocizzare le dinamiche socioeconomiche secondo parametri più idonei ad aree di mercato più ampie e complesse inserite nel mondo globalizzato. In tale contesto, il confine amministrativo diventa luogo di contatto e non di cesura tra sistemi differenti e garantisce una migliore funzionalità ai maggiori volumi di traffico intraregionale. Alcune forme di r. trans frontaliera traggono spunto da impulsi politici dettati da decisioni di aggregati politici ed economici su scala maggiore. Le euroregioni, per es., sorte in Europa alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, presero il via all’interno del processo di integrazione comunitaria come strumenti per il graduale passaggio di alcune competenze dagli Stati centrali ad altri organi (sia comunitari sia regionali), con l’obiettivo di una progressiva defunzionalizzazione dei confini tradizionali. La loro diffusione è testimoniata dalla numerosità dei progetti presentati e attuati che coinvolgono la maggior parte dei confini politici intraeuropei: euroregione adriatica, Alpi-mediterranea, baltica, dei Monti Bechidi, dei Carpazi, della transManica, del Linguadoca-Rossiglione/Midi Pirenei/Catalogna, della Mosa-Reno, Euromed, del Tirolo-Alto Adige-Trentino, solo per citare le principali. Per la cooperazione a livello di specifici progetti, l’Unione Europea ha approvato un appropriato strumento giuridico applicabile in tutti gli Stati membri, il Gruppo europeo di interesse economico (GEIE), il cui obiettivo essenziale è la cooperazione economica tra imprese private o tra queste e soggetti pubblici.
La realizzazione degli obiettivi ipotizzati in fase costitutiva non sempre si è dimostrata facile. Nonostante gli sforzi di tipo bottom-up (cioè che partono dal territorio e dalle sue componenti) per istituzionalizzare la cooperazione transfrontaliera siano stati facilitati da numerose iniziative nazionali e internazionali, l’attuazione delle intese sul piano normativo e operativo risulta difforme, e in molti casi i progetti sono rimasti di fatto semplici tavoli di discussione.