REGGIO di Calabria (A. T., 27-28-29)
Città della Calabria, capoluogo della provincia omonima, a 38° 6′ lat. N. e 3° 12′ long. E. (M. Mario), in posizione grandiosamente pittoresca a metà circa della costa orientale dello Stretto di Messina. È la città più vasta e popolosa della regione, di aspetto vivacemente moderno e attraente per la ricostruzione, ormai interamente compiuta, e per il suo notevole ampliamento dopo il terremoto del 28 dicembre 1908 che la rase al suolo.
La città vera e propria è situata fra le fiumare Annunziata a N. e Calopinace a S. e occupa, oltre a parte dei coni deltizî di esse, la fronte scaglionata e profondamente incisa da brevi e ripidi corsi di acqua, ora coperti, dell'ultima serie di grandi depositi terrazzati quaternarî in cui viene a terminare la montagna dell'Aspromonte sulla bassa cimosa litoranea alluvionale. La natura di tale terreno, in parte notevole formato da strati di riporto archeologico e da detriti di falda dei terrazzamenti, spiega, insieme con l'uso di cattivo materiale da costruzione, i gravi danni dei terremoti reggini e la completa distruzione prodotta da quello del 1908.
Il terremoto del 28 dicembre 1908 e la ricostruzione della città. - Nel disastro la città di Reggio Calabria fu interamente distrutta e sotto le sue macerie giacquero dodicimila vittime. Dei superstiti, 30.000 rimasero privi di ricovero e molti si rifugiarono nelle campagne e nelle città vicine o anche lontane, lungi dalla città crollata. Per la popolazione che proprio non poteva muoversi e che mancava di tutto, nei primissimi momenti cominciò un'improvvisazione disordinata di ricoveri rudimentali, che poi per opera dell'ufficio del genio civile si convertì nella costruzione di baraccamenti provvisorî ma ordinati. Nel solo centro urbano e sui suoli dell'Ente edilizio, costituito espressamente dal governo, furono apprestati oltre 7300 vani, abitati da 4300 famiglie; 800 famiglie trovarono alloggio in baraccamenti costruiti in frazioni del vecchio comune di Reggio, senza contare gli utenti di baracche che le avevano ottenute con il suolo su cui erano edificate. Probabilmente però queste cifre non sono complete, perché vi furono baracche distribuite dappertutto, dentro e fuori della città, sui suoi pendii, nelle direzioni dei torrenti Annunziata e Calopinace, a Santa Caterina, Mezzacapo, Gabelle, Scala di Giuda, Caserta, Santa Lucia, Calamizzi, Crocefisso, ecc. Alle baracche costruite dal genio civile in varie località si aggiunsero quelle costruite dai comitati di soccorso.
Solo qualche anno dopo si poté cominciare una ricostruzione organica. Il comune. formò il piano regolatore della nuova città, approvato con r. decr. 3 marzo 1911, mantenendo sostanzialmente il disegno dell'antica e ampliandola verso sud e verso nord. La sua arteria principale, il Corso Garibaldi, fu prolungata, formando un rettifilo di circa 3 km., con una larghezza di m. 13,60 per due terzi della lunghezza, e di m. 2 per circa un terzo La modificazione maggiore fu nella parte occidentale, lungo il mare e davanti al panorama di Messina, dell'Etna e dello Stretto. Fu aperta una via lungo il mare per circa due km. larga circa 50 m., e percorsa da due grandi viali intramezzati da una zona di giardinaggio: elegantissima di piantagioni e di disegno, nella cornice di una meravigliosa natura. Il comune pose pure mano, fino dal 1912, oltre che alla sistemazione stradale, ai progetti degli edifici scolastici e alla costruzione della propria sede. In tal guisa sorsero la scuola normale, capace di 700 alunni, le scuole elementari e tecniche, il laboratorio d'igiene, i mercati coperti.
Le opere pie comunali provvedevano intanto alla costruzione di un edificio per il civico ospedale, e l'amministrazione provinciale provvedeva alla costruzione dei palazzi per la propria sede, per l'orfanotrofio, per il manicomio. Il governo dispose subito gli studî per la ricostruzione degli edifici pubblici dello stato, affidati a uno speciale ufficio del genio civile per il servizio del terremoto. Gli edifici pubblici furono progettati e costruiti in conformità delle norme tecniche e igieniche stabilite per l'edilizia delle località sismiche, vale a dire con una struttura interna sidero-cementizia, riempita di muratura e di pietrame nei piani terreni e di laterizî nei piani superiori: edifici tutti a due piani, salvo quello adibito a carcere femminile che è a tre piani Sino al 1922 erano stati compiuti gli edifici per il palazzo del governo, per il deposito delle privative, per il palazzo delle finanze, per il palazzo postelegrafonico. Dopo l'avvento del governo nazionale fascista furono iniziati e rapidamente compiuti i lavori per la costruzione degli edifici pubblici ancora mancanti e furono condotti a termine quelli che nell'ultimo scorcio del 1922 erano in corso di costruzione; fra i principali, i palazzi del genio civile, dei tribunali, della capitaneria di porto, la caserma della guardia di finanza, il carcere giudiziario, l'Istituto industriale Panella, il ginnasio-liceo Campanella, il Teatro comunale.
Sorsero pure importanti edifici religiosi: la cattedrale San Giorgio della Vittoria, le case parrocchiali, il seminario provinciale intitolato a Pio XI, monasteri, educandati. E l'amministrazione delle ferrovie fabbricò i proprî vasti uffici e mille alloggi in rioni ferroviarî per i suoi funzionarî e agenti.
Quando, con l'inizio degli edifici pubblici, la popolazione ebbe la certezza che la vita nella città sarebbe stata in pieno ristabilita si dedicò alacremente alla ricostruzione delle case private, per le quali larghe concessioni di crediti e di contributi furono somministrate dal governo per mezzo del Consorzio-mutui, dell'Istituto Vittorio Emanuele III, o meglio ancora del Ministero delle finanze.
Alle classi popolari e agl'impiegati provvide abitazioni l'Ente edilizio, costituito nel 1914: esso ha costruito finora circa 3000 alloggi, e la sua opera si svolse lentamente nei primi anni, per la grande difficoltà di liberare i suoli occupati dai baraccamenti, dovendosi risolvere il difficile problema di sbaraccare per ricostruire.
Fu specialmente dopo l'avvento del regime nazionale fascista che si approntarono con larghezza i mezzi per risolvere il problema dello sbaraccamento. Le case costruite consentirono fino al principio del 1935 di ridurre a circa 1350 famiglie gli utenti di baracche nel centro urbano: sono le classi più povere, per le quali l'Ente edilizio attua un programma di costruzioni periferiche e popolari che potranno permettere di liberare la bella città risorta dai mortificanti nuclei delle residue baracche.
Oltre alla costruzione delle sedi di uffici e delle abitazioni per privati, furono sistemate le strade della vecchia città, aperte le nuove in tutta la zona di ampliamento, costruite le fognature, costruiti due ponti in cemento armato sul torrente Annunziata e uno sul torrente Calopinace, sistemata la spiaggia della Rada Mussolini, adottati diversi sistemi di pavimentazione stradale, a seconda delle quote delle strade che dal livello del mare raggiungono i 75 metri.
L'abitato della città si presenta come una lunga scacchiera in direzione principale SO.-NE. cui fa seguito, a N., un'altra minore scacchiera orientata da S. a N., sino al torrente Annunziata (il rione Mussolini), e che rappresenta la parte interamente nuova, anche topograficamente, della Reggio risorta. Le vie della scacchiera maggiore, della quale è in corso la prosecuzione verso il torrente Annunziata, si succedono dal basso in alto a gradinata sulla fronte del grande terrazzamento quaternario, terminante, superiormente, in una serie di vaste spianate (Campi Francesi, Piani di Modena, ecc.) occupate in parte da grandiose costruzioni di carattere pubblico. L'arteria principale è il già ricordato Corso Garibaldi, tracciato sul percorso di quello già esistente con lo stesso nome, tra il Calopinace e la via Domenico Romeo che, scendendo da SE. a NO., distingue le due scacchiere; in esso sorge il Tempio della Vittoria, inaugurato il 26 maggio 1935. Parallelo al Corso Garibaldi, verso il mare, è il Corso Vittorio Emanuele III (popolarmente Via Marina Alta), sul quale prospettano edifici pubblici e alberghi, in vista dello Stretto e della Sicilia, dal Faro all'Etna; più in basso, al di là di una zona di giardini, a metà della quale sorge il monumento ai Caduti della guerra mondiale (scultore Francesco Ierace), corre il grandioso Viale della Marina (o Via Marina Bassa), congiungente la stazione ferroviaria centrale, a S., con la succursale, a N., e continuato sino al Porto Nuovo (dove è la stazione marittima per il servizio delle navi-traghetto per Messina), dal Viale Domenico Genoese-Zerbi. La spiaggia marina, sino ad alcuni anni or sono deturpata da detriti del terremoto, è stata sistemata a Lido con stabilimenti balneari e luoghi di ritrovo. Centro principale della vita cittadina è, a metà circa del Corso Garibaldi, verso il mare, la Piazza Vittorio Emanuele II con gli edifici del governo, della provincia e del comune.
Più a S., verso monte, è la vasta Piazza del Duomo, con lo sfondo della grande cattedrale costruita sulle rovine della cattedrale barocca; più in alto è la Piazza del Castello, con i resti della fortezza angioino-aragonese e varî edifici pubblici. Bene avviata è, all'inizio S. del Rione Mussolini, la costruzione del grande Museo nazionale della Magna Grecia e del Museo civico intitolato allo storico della città Domenico Spanò Bolani.
Reggio è sede arcivescovile antichissima, metropolitana della Calabria fino dal sec. XVIII; è sede di distretto militare, di comando di reggimento di fanteria e d'artiglieria da fortezza, del comando del gruppo autonomo della M.V.S.N. della Calabria e della 7ª legione di milizia forestale per la Calabria e la Sicilia. Ha numerosi istituti regi di istruzione media, una regia scuola industriale e una regia stazione sperimentale per l'industria delle essenze e dei derivati degli agrumi; ha pure un istituto d'arte per la Calabria e una fiorente biblioteca civica; è sede della soprintendenza bruzio-lucana all'arte e alle antichità. È sede di dipartimento marittimo e notevole ne è l'attività portuaria, con un movimento marittimo annuo di circa 200.000 tonn. Il porto, detto Nuovo in confronto dell'antico porto naturale tra la Punta Calamizzi a S. e la foce dell'Annunziata a N., colmato da materiale di alluvione e da sprofondamenti costieri, è situato a N. del delta dello stesso torrente, e la sua costruzione, iniziata nel 1873 dalla provincia, fu ripresa nel 1906 dallo stato e si può dire tuttora in corso. Occupa uno spazio di circa 100.000 mq., con fondali medî di m. 7,50 e imboccatura di 110 m. rivolta a N. Sono allo studio progetti di ampliamento. Reggio è sede del compartimento ferroviario della Calabria e capolinea delle linee ionica per Metaponto e tirrenica per Battipaglia. Ha numerosi servizî automobilistici pubblici per i paesi dello Stretto e paesi interni. È unita a Messina - con la quale è in stretti rapporti economici - da servizio di nave-traghetto che compie più volte al giorno il percorso di circa 15 km. Da qualche anno la città si sta affermando notevolmente anche come centro turistico (litorale dello Stretto, Aspromonte con i suoi Piani, dove si viene svolgendo una promettente attività sportiva, invernale, ecc.). Contribuiscono a ciò anche la mitezza del clima (media annua della temperatura circa 17°, invernale 14°, estiva 24°, precipitazioni annue circa 550 mm.), la buona attrezzatura alberghiera e la decorosa modernità dei pubblici servizî.
Sino al luglio 1927 il comune di Reggio Calabria aveva una superficie territoriale di ha. 7751 e i suoi confini correvano per soli 10 km. sullo Stretto, dalla fiumara Scaccioti, a N., a quella S. Agata, a S., addentrandosi a E. in uno stretto triangolo verso l'Aspromonte sino alla estremità dei cosiddetti Campi di Reggio, ma senza comprenderli tutti. Poiché la ristrettezza di tale territorio, formato in gran parte di terreni scarsamente produttivi e male abitabili (sabbie, argille e marne plioceniche in prevalenza), contrastava col forte impulso demografico ed economico prodottosi con la ricostruzione, un regio decreto del 7 luglio 1927 lo ampliò grandemente, aggregando a esso quello di altri 14 comuni limitrofi o vicini dello Stretto (da Nord a Sud Cannitello, Villa S. Giovanni, Campo di Calabria, Fiumara di Muro, Catona, Salice, Rosalì, Villa S. Giuseppe, Sambatello, Gallico, Podargoni, Cataforio, Gallina, Pellaro). Ne risultò un'estensione territoriale di ha. 26.390 (agraria e forestale di 23.602), cioè più che tripla della primitiva, con un confine marittimo di circa 40 km., largamente sufficiente, cioè, ai bisogni di espansione poleografica, alle necessità finanziarie e alle affermazioni economiche della città (la cosiddetta Grande Reggio), i cui servizî pubblici ricevettero subito notevole impulso dal provvedimento. Una variazione in senso restrittivo è stata apportata recentemente a tali nuovi limiti, mediante la ricostituzione (r. decreto 29 dicembre 1932) del comune di Villa San Giovanni, il cui territorio comprende ora anche quello dei già comuni autonomi di Cannitello, Campo di Calabria e Fiumara. Nei limiti attuali il comune di Reggio ha una superficie territoriale di ha. 25.052, con uno sviluppo costiero di circa 32 km., e comprende verso E. tutti i grandi terrazzamenti dei Campi di Reggio e di S. Agata. I dieci centri già capoluoghi di comune hanno preso il nome di Rioni (Catona-Salice unico rione); le frazioni sono undici (tutte già facenti parte del territorio anteriore al 7 luglio 1927) e la maggiore di esse, Sbarre, forma, a S. del centro cittadino, la sua immediata continuazione poleografica.
La popolazione presente del comune di Reggio risultava nel censimento 21 aprile 1931 di 122.728 ab. (108.459 senza il ricostituito comune di Villa S. Giovanni); al 31 dicembre 1933 era calcolata di 114.174 (escluso id.) dei quali 45.362 nel centro principale (43.049 nel 1931), 30.040 nelle frazioni (28.592 nel 1931) e 38.772 nei rioni (36.818 nel 1931). La sola frazione Sbarre comprendeva 13.272 ab. nel 1931 e 13.937 al 31 dicembre 1933. Numerosa è la popolazione sparsa nel territorio delle frazioni e dei rioni e particolarmente nella parte bassa e fertilissima di esso, intensamente coltivata a orti e agrumeti. Lungo il mare o la strada costiera, l'abitato è pressoché continuo fra Catona e Pellaro. L'incremento della popolazione data soprattutto dal sec. XIX. Le prime notizie su essa risalgono a fonti arabe del secolo X, allorché la città pare avesse circa 17.000 ab., ridottisi, attraverso varie alternative e probabilmente soprattutto a causa di una forte endemia malarica durata per quasi tutto il Medioevo, a meno di 10.000 al principio del sec. XIV. Alla fine del secolo seguente si contavano da 1450 a 1500 fuochi, con circa 10.000 ab.; alla metà del sec. XVIII la popolazione era ancora inferiore ai 10.000 ab., ed era di circa 20.000 al principio del sec. XIX. Le cifre salgono, per l'intero comune, a 35.122 ab. nel 1871, a 38.740 nel 1881, a 44.569 nel 1891, a 45.810 nel 1911, nonostante i circa 12.000 morti del terremoto del 28 dicembre 1908, dopo il quale fu rapido il ripopolamento, dovuto in parte notevole a immigrazione nella città da altri comuni della regione o del regno, per le necessità della ricostruzione. Nel 1921 la popolazione era salita a 59.430 abitanti.
Fra i rioni del comune i più importanti sono quelli costieri di Catona (Catona-Salice nell'uso amministrativo), Gallico e Pellaro. Catona, all'inizio N. del territorio comunale, dove la costa calabrese dello Stretto è più vicina al porto di Messina (6 km.), e perciò un tempo punto ordinario di partenza per la traversata, ricordata da Dante (Paradiso, VIII, 62), ha una popolazione di 5534 ab. (31 dicembre 1933) e produzione assai pregiata di aranci e bergamotti. Gallico, distinto in Superiore e Inferiore o Marina, con 5518 abitanti ha notevoli industrie di essenze e altri derivati dagli agrumi. Pellaro, all'estremità S. del territorio, dove in età classica pare esistesse un porto per lo sbarco del legname (il nome è messo in rapporto con ciò o si fa derivare da pella che significherebbe pietra, secondo una glossa di Esichio, con allusione alla pietra calcarea locale e del vicino promontorio Leucopetra o Capo dell'armi), ha produzione particolarmente di bergamotti e una popolazione, quasi tutta sparsa, di 7695 abitanti.
Storia. - Reggio (‛Ρήγιον, Reaum) fu fondata da coloni greci provenienti da Calcide di Eubea, e perciò di stirpe ionica: sulla partecipazione dell'elemento messenico, v. appresso. Gli antichi connettono quasi unanimemente il suo nome con il verbo ῥήγνυμι (spezzare), come se alludesse al fenomeno tellurico, per cui la Sicilia si sarebbe staccata dall'estremità della penisola e quindi dal territorio di Reggio. Molti moderni hanno accolto con favore la spiegazione perché il distacco della Sicilia dalla penisola è considerato come un fenomeno probabile da parecchi geologi: ma, evidentemente, l'esattezza dell'etimologia non ha che fare con la verosimiglianza del fenomeno e resta più che dubbia. Senza discussione erronea è l'altra isolata etimologia (presso Strabone, VI, p. 258), che connette il nome con il latino regnum, e quindi implicitamente presuppone originaria la forma senza aspirazione rappresentata dal lat. Regium in confronto al greco Rhegion: che è ipotesi senza fondamento.
Come confini del territorio di Reggio valevano abitualmente nell'antichità, almeno dalla fine del sec. V a. C., il Halex (Fiumara di Melito o Torrente di Palizzi?) a oriente verso Locri e il Metauro a nord verso Medina. È ovvio che queste indicazioni hanno valore approssimativo nelle varie vicende politiche. La saga della fondazione parla di un fiume 'Αψίας presso cui la città sarebbe stata fondata (Diod., VIII, 23) che non è stato identificato: può essere che sia rappresentato dal toro a testa umana barbuta nelle più antiche monete reggine. Ci vengono anche tramandati (per es., in Varrone, presso Probo, in Vergilii Bucol., p. 4 Keil) i nomi dei sette fiumi che avrebbero percorso il territorio della città: nessuno di questi nomi è stato identificato. Tra le localitȧ del territorio reggino possono essere ricordate: Malliae (Bagnara); Scyllaeum (Scilla); Columna (Catona o presso Punta Pezzo?); Leucopetra (Pellaro); Decastadium (Melito); Herculis promontorium (Capo Spartivento). La città antica era sita nell'area dell'odierna Reggio. Le trasformazioni storiche e soprattutto i terremoti hanno cancellato quasi in ogni parte le tracce di essa; ma specialmente gli scavi compiuti da P. Orsi dopo il terremoto del 1908 hanno permesso di ritrovare alcuni elementi importanti per la topografia, senza che peraltro sia possibile nemmeno una delimitazione approssimativa del centro urbano. Uno splendido tratto di mura di età preromana è stato messo in luce presso la Marina. Resti di un tempio del secolo V a. C. stanno sotto le terme romane, scoperte sull'area della nuova prefettura. Più importanti gli elementi decorativi di un tempio arcaico della seconda metà del secolo VI quasi tutti ritrovati nella zona della Villa Griso-Laboccetta, a cui appartiene il celebre rilievo di terracotta rappresentante due danzatrici (E. Douglas van Buren, Archaic Fictile Revetments in Sicily and Magna Graecia, Londra 1923, p. 48 segg.; l'interpretazione è contestata probabilmente a torto da N. Putortì, L'Italia antichissima, I, 1929: Terrecotte architettoniche di Reggio Calabria). Un odeo di età ellenistica è stato verosimilmente rintracciato presso la Via Torrione. Le tombe non paiono risalire al di là del see. V-IV a. C. Gli avanzi più numerosi di edifici sono dell'età romana. Colpisce il numero relativamente ingente di terme rinvenute a testimonianza della vita florida. Se ne possono indicare otto: 1. presso l'attuale porto a nord della città; 2. presso l'antica Piazza delle Caserme a sud dell'attuale Marina Alta; 3. presso il Carmine Nuovo; 4. a nord di Via Marina; 5. presso la nuova Banca d'Italia; 6. presso la nuova prefettura; 7. presso il nuovo istituto tecnico; 8. in via Marina Alta. Il famoso tempio di Artemide Facelitide che Tucidide (VI, 44, 3) ci permette di localizzare presso Capo Pellaro non è stato ancora riconosciuto. La più antica iscrizione trovata in Reggio non è anteriore alla fine del sec. V: è un cippo con dedica di decima "alla dea" (Artemide o Demetra?) già creduto proveniente da Locri (cfr. Notizie scavi, 1931, p. 662 con Notizie scavi, 1909, pp. 324-25). Ma una dedica di Reggini a Delfi è sicuramente della prima metà del sec. V (Fouilles de Delphes, III, 1, 1929, n. 503: arrischiate le ipotesi di H. Pomtow, in Klio, IX, 1909, p. 175). Numerosi i reperti di vasi (tra cui notevole, per es., quello di vasi rodî in Notizie scavi, 1914, p. 209). Le più antiche monete a noi note risalgono a circa il 530 a. C.: hanno la base eginetica delle altre colonie calcidesi; esse sono per tipo e per fabbrica affini a monete delle colonie achee.
Le leggende sulla fondazione sono tra le meno caratteristiche della Magna Grecia. Per taluni un figlio di Eolo, Iocasto, sarebbe stato il fondatore o almeno la città sarebbe stata fondata presso la sua tomba: indizio forse di un culto ctonio, poi riconnesso con la figura di Eolo molto importante nella tradizione mitica dell'Italia greca. Nella maggioranza però le fonti sanno l'origine calcidese di Reggio e si dilungano in special modo a spiegare la partecipazione immediata o più tarda di Messenî. Secondo Antioco di Siracusa, del secolo V a. C. (presso Strabone, VI, p. 257), un gruppo di Messenî in esilio per avere voluto che fosse punito l'oltraggio inflitto dai loro compatrioti a donne spartane, poco prima della seconda guerra messenica, sarebbe stato invitato dall'oracolo di Apollo Delfico a partire con i Calcidesi in procinto di fondare Reggio: è qui evidente lo sforzo degli abitanti di Reggio in momenti in cui erano amici di colonia spartana, come Taranto, per rendere i proprî abitanti originarî dalla Messenia estranei ai conflitti tra Sparta e Messenia, precisamente come un'altra tradizione raccolta da Antioco di Siracusa considera i cosiddetti Partenî di Taranto (v.) come discendenti dagli Spartani che non avevano partecipato alla guerra messenica. Senza indugiare in altre varianti basterà ricordare che costituisce verosimilmente una confusione personale della fonte di Pausania (IV, 23), Riano, il far chiamare in Italia i Messenî alla metà del sec. VII a. C. da Anassilao, che noi troveremo tiranno di Reggio al principio del sec. V.
In conclusione, l'unica cosa che è certa nelle origini di Reggio è che fin dall'età arcaica accanto ai Calcidesi stavano dei Messenî dei quali ignoriamo se abbiano partecipato alla fondazione o si siano aggiunti più tardi. La data di fondazione si pone ora abitualmente verso la metà del sec. VIII a. C.; ma solo per ragioni, che del resto hanno il loro peso, di analogia. Possibilità di distinguere i culti portati dai due strati della popolazione ancora non esistono, sebbene l'importanza speciale del culto di Artemide sia difficilmente dissociabile (anche per le tradizioni relative) dal culto messenico.
Il governo più antico che noi conosciamo in Reggio fu aristocratico: e di relativa oligarchia è improntata la costituzione, in cui il governo era in mano di 1000 possidenti, che ci viene ricordata col nome di Caronda (Eraclide, Περὶ πολιτειῶν, XX). Sull'età e sulla personalità di questo legislatore, non è possibile qui indugiarci: nella sostanza autentico deve essere che la legislazione che va sotto il suo nome, e probabilmente risale in effetto a una sua attività personale, rappresenti un temperamento dell'oligarchia già visibile nella stessa opera di codificazione e quindi di sottrazione delle leggi all'arbitrio degli ottimati. Più tardi il moto verso la democrazia si intrecciò con la lotta contro la pitagorica e oligarchica Crotone, di cui fu il maggiore episodio la battaglia della Sagra, vinta in un momento incerto della seconda metà del sec. VI a. C. da Locresi e Reggini alleati contro Crotone. Il che non impedì che Crotone riprendesse la sua espansione (distruzione di Sibari nel 510). Donde - e inoltre anche per la concorrenza etrusca sul mare (in odio alla quale i Reggini ospitarono i Focesi battuti ad Alalia circa il 540) e per la pressione dei Iapigi dall'interno - il rapido sfociare dei moti democratici verso la tirannide militare di Anassilao (494 a. C.). Poiché Anassilao era, e ci teneva a essere, di origine messenica, intravvediamo pure un contrasto fra i due elementi etnici della città, su cui non possiamo congetturare più oltre. Anassilao tentò di allargare la sua sfera di azione verso la Sicilia, in cui le condizioni erano più propizie all'intervento: si alleò con Terillo tiranno di Imera, di cui sposò la figlia Cidippe, e seppe anche approfittare del disordine e dell'irrequietezza del mondo greco metropolitano e asiatico alla vigilia delle guerre persiane per attrarre a sé esuli di varia provenienza, soprattutto Samî (dei cui influssi sono prova anche le monete reggine) e forse nuovi Messeni (cfr. L. Pareti, I nomi di Messene e i Messeni del Peloponneso, in Studi siciliani e italioti, p. 64 segg.). Il suo maggiore successo fu di occupare nel 496 circa Zancle da lui ribattezzata in Messene (così giustamente Tucid., VI, 5), liberandosi anche dei Samî di cui si era valso. Ma la sua politica trovava un ostacolo, dopo che in Ippocrate di Gela, in Terone di Agrigento e in Gelone e in Gerone di Siracusa. Quando Terillo fu spossessato da Terone, Anassilao si unì al suocero nel chiedere aiuti ai Cartaginesi: fu quindi sconfitto con loro a Imera (480 a. C.). Dopo di allora Anassilao sarà mancipio della politica siracusana e darà in moglie una figlia a Gerone, il quale impedirà ogni ulteriore espansione di Reggio, salvando così l'indipendenza di Locri.
Alla morte di Anassilao nel 476, il ministro Micito, che assunse la tutela dei figli minorenni, tentò di riaprire l'espansione della città verso il nord con un'alleanza con Taranto, sotto i cui auspici fu fondata la colonia di Pixunte sul Tirreno. La pronta reazione della lega Iapigia che inflisse a Reggio e a Taranto, forse nel 471, la più terribile sconfitta per i Greci che Erodoto conoscesse (VII, 170) portò anche alla rovina di questi tentativi (cfr. E. Pais, Italia antica, II, p. 123 segg.). La situazione personale di Micito ne fu scossa, ed egli, benché godesse di molta popolarità, dovette nel 467 lasciare il potere. I figli di Anassilao lo tennero sino al 461, quando la perdita di Messana, che era stata aiutata da Crotone, ebbe a conseguenza la restaurazione di un governo democratico in Reggio. Democratica, con ambizioni di predominio incapace di soddisfare da sola, in perpetua lotta ormai con la vicina Locri, Reggio diventò la naturale alleata di Atene, quando la politica di Pericle iniziò una penetrazione nella Grecità occidentale. Al 433 circa risale un trattato di alleanza conservatoci (Inscriptiones Graecae, 1ª ed., 51 = Dittenberger, Sylloge, 3ª ed., 71). Nel 427, durante la prima spedizione ateniese, Reggio fu la base navale per la flotta ateniese, che l'aiutò contro Locri (nuovi particolari nel papiro di Filisto edito in Rivista di filologia, n. s., VIII, 1930, p. 449 segg.). Poco dopo però, in conseguenza del diminuito prestigio ateniese, l'atteggiamento di Reggio mutò: e si mantenne neutrale durante la grande spedizione ateniese del 415-13.
Con il fallimento di quest'impresa, la politica dei Greci di Occidente riacquista la sua autonomia, ma viene assorbita dalle lotte coi Cartaginesi, con gl'indigeni e più dalle lotte intestine. Nel 404 e nel 399, in unione con Messana, Reggio cercò invano di abbattere Dionisio di Siracusa: poco dopo entrò nella lega italiota e rifiutò di stringere l'alleanza proposta dallo stesso Dionisio. Donde l'alleanza di Dionisio con la rivale di Reggio, Locri. Dopo le campagne del 393 e del 390, nel 389, in seguito alla battaglia dell'Elleporo, Reggio fu umiliata da Dionisio, a cui dovette consegnare 300 talenti, 70 navi e 100 ostaggi. Le velleità di resistenza dimostrate negli anni successivi fecero riprendere le ostilità: nel 387 la città era presa d'assedio e semidistrutta. Dionisio aveva dato il più grave colpo alla resistenza italiota, ma anche alle energie dei Greci dell'Italia meridionale di fronte agl'indigeni: che fu, dopo la fine dell'impero da lui costituito, l'unico risultato duraturo. Perciò Reggio non ebbe più modo di risorgere politicamente, sebbene fosse ricostruita da Dionisio II col nome di Febea, poi nel 351 fosse liberata dal dominio siracusano per opera di Callippo e nel 344 aiutasse Timoleonte a occupare Siracusa. Reggio fu tra le città che invocarono o subirono l'aiuto di Alessandro il Molosso, sotto il cui predominio passò circa il 334. Morto Alessandro nel 331, venuti meno gli aiuti dalla Grecia metropolitana, continuò la decadenza di fronte alle popolazioni indigene, che portò la città nel 282, in una lotta contro i Bruzî, ad accettare un presidio romano (la data secondo Dionisio di Alicarnasso, XX, 4, 2, senza dubbio nel giusto contro Polibio, I, 7 e Diodoro, XXII,1, 2). Due anni dopo giungeva, come nuovo salvatore dei Greci di Occidente, Pirro re di Epiro a riprendere l'opera di Alessandro il Molosso. Fu tra i paradossi del momento che i Romani dovessero difendere Reggio da Pirro, presidiandola con 4000 uomini, quasi tutti Campani, al comando di Decio Vibellio. È nota la vicenda per cui questi Campani cercarono di crearsi uno stato più o meno indipendente da Roma con sistemi briganteschi, occuparono Caulonia e Crotone e furono sloggiati dai Romani solo nel 270.
Reggio diventò socia navalis di Roma, di cui fu fedelissima, anche nella seconda guerra punica: motivo non ultimo, data la sua posizione, della permanente superiorità marittima conservata dai Romani. Così durante la guerra sociale resisté ai ribelli italici e nell'89 a. C. fu trasformata in municipio romano retto da quattuorviri.
Nell'ultimo periodo anteriore al diretto dominio romano, in una iscrizione cioè risalente al sec. II a. C. (Inscriptiones Graecae, XIV, 612; Dittenberger, Sylloge, 3ª ed., 715), compare alla testa della città un pritane: esistono inoltre un'assemblea generale (ἁλία) e un consiglio (βουλά), nonché un'assemblea intermedia (ἔσκλητος) sulla cui genesi si sono fatte parecchie congetture non verificabili. Con la costituzione in municipio, l'organizzazione romana quadrumvirale viene armonizzata con la greca precedente nel senso che il pritane (chiamato πρύρανις καὶ ἄρχων ἐκ τῶν ἰδίων) è fiancheggiato da tre συμπρυτάνεις. In funzione di quinquennale, il pritane compare come πενταετηρικός.
S'intende che Reggio non aveva che da guadagnare economicamente dall'unificazione dell'Italia operata da Roma: e infatti, posta com'era allo sbocco delle strade che portavano alla Sicilia, ridiventò una città prospera, come non era più da secoli. La stessa cessazione di una propria monetazione già dal 200 circa a. C. è piuttosto un elemento da mettersi in favore dell'economia reggina. Tuttavia, poiché il grande traffico avveniva direttamente con Pozzuoli e con Roma, Reggio non fu mai né un porto di prim'ordine né una città molto popolata. Dal secondo triumvirato infatti nel 42 a. C. si pensò di destinarla a sede di uno stanziamento di veterani, il che fu evitato per l'opposizione di Ottaviano, il quale poi si servì di Reggio come di base per la lotta con Sesto Pompeo (38 a. C.). Ma poco dopo anch'egli si decise a uno stanziamento di veterani, il che conferma appunto che la città era poco popolata. Di conseguenza Reggio ebbe il nome di Regium Iulium, senza peraltro diventare colonia.
La vita tranquilla del primo periodo imperiale è documentata dalle terme numerose e dalle iscrizioni. Nel basso impero diventò sede di correctores per la Lucania e il Bruzio. Nel sec. IV sappiamo da un'iscrizione (Rendic. dei Lincei, XXI, 1912, p. 791 segg.) che Valentiniano, Valente e Graziano tentarono di porre rimedio alla rovina di alcuni edifici pubblici, in cui forse aveva la sua parte la decadenza finanziaria generale. Ma il vero tracollo avviene solo nel 410 d. C., quando Alarico prende la città.
Reggio non fu mai un grande centro di cultura, sebbene nel sec. VI a. C. sia a lei legato il nome di Ibico, nel V sia celebre la scuola scultoria di Pitagora, e poi siano ricordati altri nomi, come dell'erudito Glauco (sec. V-IV a. C.) e di quello storico Ippi, che una tradizione probabilmente erronea vorrebbe del tempo delle guerre persiane, mentre è più verosimilmente dell'età ellenistica. La produzione in terracotta che Plinio testimonia per l'età imperiale (XXXV, 164) è da considerarsi un'attività più industriale che artistica. La lingua greca si conservò a lungo: per Strabone Reggio è ancora una città greca, e la coesistenza del greco con il latino è documentata dalle iscrizioni di età imperiale.
Devastata da Alarico nel 410, occupata da Totila nel 458, cadde poi sotto i Bizantini, che la presidiarono ed elevarono il suo vescovato, uno dei più antichi d'Italia, a sede metropolitana della Calabria. Nella generale crisi del Medioevo, Reggio è da taluni ricordata come una delle poche città ricche e fastose: in essa trovò ospitalità la cultura bizantina di Sicilia, allorché l'isola fu conquistata dai musulmani. Meta preferita dei corsari saraceni, Reggio venne spesso a dirette trattative con costoro, assoggettandosi a gravami e, in conseguenza, realizzando una qualche autonomia rispetto all'impero bizantino. La conquista normanna, cui Reggio definitivamente soggiacque nel 1059, rinsaldò, sulla base dell'unità politica, i molteplici legami che univano questa città alla Sicilia specialmente orientale: molto soprattutto se ne giovarono gl'interessi commerciali di Reggio, nella quale vivevano gruppi di borghesia operosa e molti Ebrei trafficanti, e di Messina. Onde Reggio fu solidale con la ribelle Sicilia nella guerra che seguì alla rivoluzione del Vespro: per ben due volte vennero a impadronirsene, favoriti dal popolo, Pietro III e Federico II d'Aragona; e gli Angioini, per conservarla, la fortificarono e le conferirono privilegi fiscali e giurisdizioni notevoli. Poco sennatamente Alfonso d'Aragona la infeudò; ma il figlio Ferrante, non ignaro dell'importanza strategica e commerciale di Reggio, la restituì al demanio e ne favorì il traffico e l'industria della seta. Incomincia nel Cinquecento la decadenza: le ripetute incursioni barbaresche (fra le più violente quelle di Khair ed-dīn-Barbarossa, che la incendiò nel 1543, dei pirati Dragut, Sinan Cicala, ecc.), epidemie e calamità, l'opprimente fiscalismo, le lotte civili prostrarono Reggio; per ultimo il terremoto, persistente flagello, la rase al suolo nel 1783.
Ricostruita su più moderna pianta, essa non visse estranea alle vicende che lentamente dissolsero il regno di Napoli. Occupata dal generale Reynier nel febbraio 1808, venne da Napoleone eretta in ducato e data al generale Oudinot; come chiave del regno murattiano, fu poi bombardata dagl'Inglesi nel marzo 1810. Il movimento liberale fu capeggiato dalla famiglia Plutino: la rivoluzione contro il Borbone, lungamente preparata d'intesa coi liberali siciliani, esplose il 2 settembre 1847. Ai garibaldini, che vi entrarono trionfanti il 20 agosto 1860, si arrese senza resistenza la guarnigione borbonica.
Il terremoto del 28 dicembre 1900 ridusse Reggio in un cumulo di rovine. Ma la città è presto risorta a nuova vita.
Arte della stampa. - Nella storia della tipografia Reggio Calabria può vantare di essere stata la culla del libro ebraico; apparve qui, il 5 febbraio 1475, il primo libro stampato interamente con caratteri ebraici: il Commentarius in Pentateuchum di Salomone Jarco, rabbino, impresso da Abramo ben Garton in un volume in-folio di 116 carte. Di questo preziosissimo libro si conoscono gli esemplari della Biblioteca Palatina di Parma e della Bodleian Library di Oxford.
La Provincia di Reggio di Calabria. - È la più meridionale delle tre provincie calabresi (Calabria ulteriore Iª nell'uso amministrativo borbonico, dopo il 1816; la denominazione, rimasta anche dopo il 1860, è ora abbandonata). Ha una superficie territoriale di kmq. 3157,52, la agraria e forestale di ha. 289.640, dei quali 147.358 di propriamente agraria, 142.281 di forestale (71.710 di vera e propria foresta). Il 75% del territorio è montuoso, il rimanente è di terreno collinare o di terrazzamenti alluvionali o di sollevamento quaternario o terziario, in minima parte di vera pianura. Le coltivazioni principali sono la cerealicoltura, l'orticoltura, l'agrumicoltura (8,77% del terreno agrario), in cui ha parte notevole il bergamotto (18% del territorio agrumario), che è coltura esclusiva della provincia, fra Bagnara e l'inizio del già circondario di Gerace, ma soprattutto l'olivicoltura (42%), particolarmente fiorente nella Piana di Palmi e sulla costiera ionica settentrionale. L'occupazione della popolazione è in grande prevalenza l'agricoltura o l'industria derivante dall'agricoltura (industrie olearie e delle essenze di agrumi); in terzo luogo viene la pastorizia (specialmente nel versante ionico), poi la pesca, che nel 1928 contava 1550 addetti, nei centri principali di Scilla, Bagnara, Gioia Tauro, Gioiosa Ionica, Roccella Ionica e in altri minori. Tipica della provincia è la pesca del pesce spada, fra Cannitello e Palmi. Assai estesa è l'industria edilizia (in conseguenza delle ricostruzioni dopo i terremoti del 1907 e del 1908), che si vale anche dei buoni prodotti dell'industria estrattiva (cementi, calce, ecc.). Qualche importanza ebbe in passato l'industria della trattura e filatura della seta (Villa S. Giovanni e dintorni); pressoché cessata nel dopoguerra, è ora in modesta ripresa. La proprietà è maggiormente divisa che nelle altre due provincie calabresi e si può dire che non esista il latifondo. Le bonifiche di 1ª categoria in concessione al 31 luglio 1933 avevano un'estensione di 18.193 ha.; intensa è soprattutto nelle zone costiere la trasformazione agraria. La popolazione era di 550.580 ab. al censimento 21 aprile 1931, con una densità di 174 ab. per kmq., la più alta delle tre provincie calabresi (Calabria 110,5, regno 132,8), assai considerevole se si pensi che la metà almeno del territorio è disabitata. Lungo lo stretto la densità sale a quasi 500 ab. per kmq. I comuni sono 88 (erano 108 prima del 1927: aggregazione di 10 comuni al territorio di Reggio di Calabria, formazione dei comuni di Taurianova, Samo di Calabria, ecc., mediante l'aggregazione di varî comuni, ecc.). La viabilità è abbastanza sviluppata nel versante O. e in quello SO. ed è in progresso in quelli E. e S. ove sussiste la zona di Bova impervia e scarsamente produttiva e abitata. Le ferrovie contano 140 km. a scartamento ordinario e 79 a scartamento ridotto, in via di prosecuzione.
Assai fitta la rete automobilistica pubblica, specie nel versante occidentale. Per la distribuzione della popolazione e i centri principali v. calabria.
Bibl.: V. Novarese, Il terremoto del 28-12-1908 a Reggio Calabria e prov., in Boll. del R. comitato geologico d'Italia, 1909, serie 4ª, vol. X, fasc. 4°; M. Baratta, La catastrofe sismica calabro-messinese, Roma 1910; P. Geraci e G. Croce, Guida di Reggio Calabria e dintorni, Reggio Calabria 1928; G. Ciraolo, L'unione intern. di soccorso R. Acc. dei Lincei, Roma 1931; P. Muritano, Tre anni di amministrazione (1931-33), Reggio Calabria 1933; G. Valentino, Nel Venticinquennio. La ricostruzione di Reggio, 2ª ed., ivi 1928.
Per la città antica: Le iscrizioni greche in Inscriptiones Graecae, XIV, pp. 612-629; v. inoltre le indicazioni nel testo. Per le iscrizioni latine, Corp. Inscr. Lat., X, p. 3 segg.; Ephemeris Epigraphica, VIII, p. 246 e altre pubblicate nelle Notizie degli scavi citate sotto, di cui le più importanti riedite e commentate da N. Putortì nel periodico, dedicato quasi esclusivamente a Reggio, L'Italia antichissima, 1929 segg. Per le monete, B. V. Head, Historia numorum, 2ª ed., Oxford 1911, p. 107 segg.; per le monete arcaiche, anche E. Babelon, Traité des monnaies grecques et romaines, II, i, Parigi 1907, p. 1467 segg. Per tutte le questioin da tenersi presente anche W. Giesecke, Italia numismatica, Lipsia 1928 passim. I più importanti dati degli scavi in Notizie scavi, 1883, pp. 94-99, 350-55, 520-21; 1884, pp. 91-94, 281-87; 1885, pp. 85-86, 208-14, 325-27; 1886, pp. 59-64, 138-39, 241-45, 436-41, 459-60; 1887, pp. 257-59; 1888, pp. 715-17, 752-54; 1889, pp. 90-92, 196-198; 1890, pp. 195-97, 267, 1892, pp. 486-90; 1896, pp. 240-42; 1907, pp. 704-15; 1912, pp. 151-52; 1913, pp. 154-60, 316-18; 1914, pp. 209-211; 1922, pp. 151-86; 1924, pp. 89-103; 1931, p. 662. - Per la topografia cfr. inoltre O. Axt, Zur Topographie von Region und Messana, in Jahresb. d. Fürsten- und Landesschule zu Grimma, 1887; H. Nissen, Italische Landeskunde, II, Berlino 1902, p. 963 segg.; N. Putortì, L'antico territorio di Reggio, in Italia antichissima, II (1930), p. 59 segg. - Per la storia, sono opere di ricercatori locali D. Spanò-Bolani, Storia di Reggio di Calabria da' tempi primitivi sino all'anno di Cr. 1797, I, Napoli 1857; P. Larizza, Rhegium Chalcidense, Roma 1905; id., La Magna Grecia, Roma 1929. Esposizioni scientifiche, oltre le storie generali, E. Pais, Storia della Sicilia e della Magna Grecia, Torino 1897; E. Ciaceri, Storia della Magna Grecia, I-III, Roma 1924-32; G. Giannelli, La Magna Grecia da Pitagora a Pirro, I, Milano s. a. Per questioni particolari cfr. anche E. Pais, L'alleanza di Reggio e di Taranto contro gli Iapigi, in Italia antica, II, Bologna 1922, p. 123 segg.; L. Pareti, L'etimo di Reggio Calcidese in Strabone e l'elemento sannitico nel Bruzzio, in Studi siciliani e italioti, Firenze 1914, p. 273 segg. (e bibliografia ivi citata); id., Per la cronologia siciliana, ibid., p. 50 segg.; V. Strazzulla, La Sicilia e Messana, Reggio e Locri nelle due spedizioni ateniesi, Messina 1908; G. M. Columba, La prima spedizione ateniese in Sicilia, in Arch. stor. sicil., n. s., XI (1887), p. 65 segg.; M. Pinto, Il mimo di Senarco contro i Reggini, in Atene e Roma, VIII (1927), p. 69 segg.; C. Scano, L'intervento romano in Reggio, in Rend. Lincei, s. 6ª, I (1925), p. 70 segg. Cfr. inoltre H. Philipp, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., I A, col. 487 segg.
Per l'arte della stampa: J. B. De Rossi, Annales Hebraeo-typographici sec. XVI, Parma 1795, n. 1; A. Freimann, Thesaurus Typogr. Hebraicae saec. XV, Berlino 1924; G. Fumagalli, Lexicon, Firenze 1905, p. 323 (con facsimile); D. Fava e collab. Tesori d. biblioteche d'Italia, I: Emilia e Romagna, Milano 1932, p. 213 (facsimile); B. Friedberg, Hist. de la Typogr. hébraïque en Italie, Espagne, ecc., Anversa 1934.