reggenza
La reggenza è il fenomeno per cui la presenza di una determinata parola in un sintagma (➔ sintagma, tipi di) impone ad altre parole di quel sintagma di prendere una forma determinata: un modo del verbo, un ➔ caso specifico (nelle lingue a casi, come il latino o il tedesco) o una preposizione specifica (nelle lingue senza casi, come l’italiano; ➔ preposizioni).
Ad es., in (1), la presenza della preposizione di è richiesta dal verbo interessarsi e il modo ➔ congiuntivo del verbo essere è richiesto dalla congiunzione benché:
(1) benché non sia il suo campo di studi, Gianni si interessa di linguistica
L’elemento che impone la reggenza è detto reggente (più di rado controllore; Simone 200819: 175; Beccaria 1994: 604). Sono numerose le ➔ parti del discorso che possono indurre fenomeni di reggenza: ➔ verbi, ➔ nomi, ➔ aggettivi, ➔ congiunzioni.
La funzione della reggenza è primariamente sintattica, poiché essa segnala la presenza di un legame fra l’elemento reggente e quello retto, senza dare necessariamente indicazioni sul valore semantico del legame stesso. Tuttavia, quando un elemento reggente può avere reggenze diverse in alternativa fra loro (v. oltre), tali alternative portano di solito valori semantici diversi (per una dettagliata descrizione del rapporto fra semantica e sintassi relativamente al verbo e ai suoi schemi di reggenza, cfr. Jezek 2003), come in (2):
(2)
a. Carlo non crede a quel che dice la gente
b. Carlo non crede in sua madre.
Un nome, un verbo o un aggettivo possono selezionare una specifica preposizione nel sintagma retto. Nelle frasi seguenti, le preposizioni sottolineate sono rette rispettivamente dal verbo (3), dal nome (4) e dall’aggettivo (5) da cui sono precedute:
(3) Carlo non si abituerà facilmente al nuovo fattorino
(4) ce ne occuperemo al ritorno dalle vacanze
(5) questo reato è passibile di arresto immediato
Verbi, nomi e aggettivi possono reggere non solo sintagmi preposizionali (➔ preposizionali, locuzioni) come in (3-5), ma anche frasi completive (➔ completive, frasi; ➔ oggettive, frasi) introdotte da preposizioni o congiunzioni:
(6) Carlo non si abituerà facilmente a svegliarsi presto
(7) il desiderio di tornare a casa ormai si fa sentire
(8) il desiderio che tu torni a casa ormai si fa sentire
(9) Mario non è adatto a lavorare all’aria aperta.
La selezione di una preposizione da parte di un elemento reggente è per lo più un fatto formale, arbitrario o dovuto a fenomeni storici. In effetti, costituisce uno degli aspetti più complicati dell’apprendimento di una lingua, sia da parte dei bambini che da parte degli stranieri (➔ acquisizione dell’italiano come L2).
In (3), la relazione fra gli argomenti Carlo e il fattorino è espressa dall’insieme verbo + preposizione (abituarsi a) e non è possibile dire quale sia lo specifico contributo semantico dato da a. La selezione è inoltre spesso arbitraria, come si può osservare confrontando più lingue: il verbo dipendere regge in italiano la preposizione da, ma il verbo affidarsi, per un argomento semanticamente simile, regge la preposizione a; i corrispondenti verbi inglesi, to depend e to rely reggono invece la preposizione on (lett. «su»); in francese, continuer regge de mentre il suo omologo italiano continuare regge a.
Tuttavia, negli schemi di reggenza sono anche ravvisabili delle regolarità. La stessa preposizione può occorrere in reggenze semanticamente o sintatticamente simili: ad es., i nomi deverbali (➔ deverbali, nomi; ➔ nominalizzazioni) reggono generalmente la preposizione di per introdurre il soggetto o l’oggetto del verbo corrispondente (il ritorno di Gianni «Gianni è tornato»; la contemplazione delle stelle «qualcuno contempla le stelle»); gli aggettivi deverbali in -bile reggono da o per per introdurre l’argomento che codifica l’agente (un’eccezione ammissibile dalla legge; una risposta comprensibile per tutti), anche se ci sono casi dubbi (visibile a tutti o visibile da tutti?). Infine, un nome o un aggettivo deverbali spesso reggono la stessa preposizione del verbo da cui derivano: adattarsi / adatto / adattamento a; mancare / mancante / mancanza di.
Uno stesso controllore può reggere più preposizioni. Questo non comporta sempre differenza di significato: liberare di e liberare da hanno all’incirca lo stesso valore. In altri casi le diverse reggenze possono avere diverso significato, sicché il significato del controllore non può essere descritto compiutamente se non insieme all’elemento retto (una descrizione della semantica dei verbi italiani secondo i loro schemi di reggenza è in Sabatini & Coletti 2007). Si veda il caso del verbo servire:
(10) servire a [= «essere utile»]: un buon medico serve a tutti
(11) servire da [= «fare le funzioni di»]: questo mattone serve da contrappeso
(12) servire in [= «prestare servizio presso un corpo»]: ha servito nella Marina
Simile è anche il caso di credere, come si è visto. Talune reggenze possono dare luogo ad ambiguità:
(13) i bambini sono stati difesi dai genitori [(a) = «da parte dei genitori»; (b) = «dalla minaccia costituita dai genitori»]
Il sintagma retto può essere obbligatorio o no per la buona costruzione sintattica della frase. Alcuni verbi comportano necessariamente un sintagma retto: accorgersi e pentirsi richiedono obbligatoriamente un complemento retto da di:
(14)
a. Mario si accorse del problema
b. *Mario si accorse
Con molti altri verbi invece l’espressione del costituente retto da a è facoltativa, dato che il costituente non espresso può essere ricostruito contestualmente. Si parla in questi casi di verbi assoluti. Tale è il caso di servire:
(15)
a. questo mattone può servire a qualcosa?
b. questo mattone può servire?
Un controllore può selezionare per una parola all’interno del sintagma retto una specifica forma flessiva (➔ flessione). In italiano, la reggenza di categorie flessive è un fenomeno frequente per il sistema verbale: determinati verbi e congiunzioni reggenti richiedono l’uso del congiuntivo nelle forme verbali dipendenti. Come mostrato in (16)-(17), il verbo sperare regge il congiuntivo, il verbo vedere l’indicativo (➔ concordanza dei tempi; ➔ completive, frasi):
(16) spero che un’ora basti per terminare il lavoro
(17) vedo che un’ora basta per terminare il lavoro
Analogamente, gli esempi (18)-(19) mostrano che la congiunzione benché regge il congiuntivo, anche se l’indicativo:
(18) benché sia tardi, dovresti fermarti ancora un momento
(19) anche se è tardi, dovresti fermarti ancora un momento
La reggenza di categorie flessive, inoltre, è visibile in modo occasionale nell’ambito della selezione delle forme di pronomi ➔ clitici da parte del verbo: in tal caso emerge la residua flessione di caso esistente in italiano. Nell’es. (20) il verbo conoscere seleziona l’accusativo del clitico maschile di terza persona (lo), in (21) il verbo parlare seleziona il clitico dativo:
(20) lo abbiamo conosciuto ieri
(21) gli hai già parlato?
È questo uno dei pochi ambiti in cui in italiano sia visibile l’effetto della categoria di caso, che è appunto regolata da vincoli di reggenza. In latino, come in molte lingue moderne (fra le più vicine a noi, il tedesco e il russo), la selezione da parte di verbi e preposizioni di forme della flessione di caso è invece un fenomeno diffuso. Le lingue romanze hanno subito in questo settore la perdita della flessione di caso che le ha portate progressivamente a perdere le proprietà di reggenza di categorie flessive; la reggenza di nomi da parte di nomi, verbi e aggettivi è oggi segnalata solo dalla selezione della preposizione (➔ latino e italiano), come abbiamo visto nel § 2.1.
Come già visto per la reggenza di preposizioni, anche la reggenza di categorie flessive può essere un fenomeno esclusivamente formale, come mostrato dall’equivalenza semantica di (22-23):
(22) benché sia tardi, dovresti fermarti ancora un momento
(23) anche se è tardi, dovresti fermarti ancora un momento
L’alternanza fra indicativo e congiuntivo non esprime qui una differenza di significato (entrambe le subordinate esprimono concessione; ➔ concessione, espressione della), ma è dovuta solo alla diversa congiunzione reggente: benché regge il congiuntivo, anche se l’indicativo.
La presenza di più forme flessive rette dallo stesso elemento reggente porta di solito valori semantici diversi:
(24) dire che + indicativo [= «dichiarare che un’azione è accaduta»]: gli ho detto che Gianni è partito
(25) dire che + congiuntivo [= «ordinare che un’azione accada»]: gli ho detto che partisse
(26) perché + indicativo [= «causa»]: ho telefonato perché non è partito
(27) perché + congiuntivo [= «scopo»]: ho telefonato perché non partisse
È da notare che la scelta di una determinata forma flessa per il verbo dipendente non è dovuta solo a fatti di reggenza, ma anche a più complesse regole di consecutio temporum (➔ concordanza dei tempi).
La reggenza, sia di preposizioni sia di categorie flessive, è soggetta a forti oscillazioni nell’uso. La variazione può riguardare il livello diatopico (➔ variazione diatopica), ovvero lo stesso lessema può avere reggenza diversa in varietà regionali diverse: è il caso, ad es., di capace di (standard) rispetto a capace a (regionale); aiutare (transitivo nello standard) rispetto ad aiutare a (regionale).
In tali casi, l’italiano regionale subisce l’effetto del contatto (➔ contatto linguistico) dei dialetti o di lingue. Questo fenomeno può lasciare traccia anche nell’italiano d’autore, come nel notissimo caso di ➔ Italo Svevo, nelle cui opere si trovano numerosissime reggenze divergenti dallo standard, spesso dovute all’influsso di altre lingue, come sono rimasto colpito della difficoltà; si rifiutò a dirlo; gettare in carta [un concetto] per trascriverlo; obbligato di trattare.
Sull’oscillazione influiscono anche fatti diastratici (➔ variazione diastratica), legati alla condizione sociale dei parlanti (in particolare il loro grado di istruzione; ➔ substandard), e diafasici (➔ variazione diafasica), legati alla situazione comunicativa, più o meno formale. Nell’ambito della reggenza di categorie flessive, in varietà diastratiche basse o in situazioni di comunicazione informale si assiste spesso a fenomeni di semplificazione a favore di un’unica forma o serie di forme. Ad es., l’alternanza fra indicativo e congiuntivo per le forme verbali dipendenti può essere ridotta alla sola forma dell’indicativo, per cui qualsiasi verbo o congiunzione regge l’indicativo:
(28) bisogna che venga anche Gianni → bisogna che viene anche Gianni
Analogamente, il sistema di caso può perdere alcune forme: in particolare, tra i clitici le forme dative possono essere ridotte alla sola forma ci:
(29) gli parlo io (a Gianni) / le parlo io (a Carla) → ci parlo io
Un fenomeno di variazione contestuale, legato alla posizione che il costituente dipendente occupa rispetto al verbo reggente, riguarda l’oscillazione fra la reggenza diretta e quella preposizionale (con a). Come appare in (30), il verbo interessare (e così molti altri verbi psicologici transitivi come spaventare, annoiare, divertire, consolare; ➔ psicologici, verbi) può avere reggenza diretta o preposizionale, ma se il sintagma dipendente precede il verbo la reggenza diretta non è possibile:
(30)
a. il tuo problema non interessa nessuno / a nessuno
b. *nessuno / a nessuno interessa il tuo problema
Alcuni (per es., Berretta 1990) chiamano questo fenomeno ➔ accusativo preposizionale, e rilevano che esso risponde al principio, operante in più lingue, secondo il quale ➔ argomenti sintatticamente accusativi (semanticamente corrispondenti al ruolo di beneficiario o destinatario) assumono in certe condizioni la preposizione a, tipica in italiano di tale ruolo.
L’oscillazione fra la reggenza diretta e quella preposizionale con a può verificarsi anche in altri casi, in cui è possibile riconoscere il riflesso del sistema di reggenza tipico del latino; un esempio è offerto dai verbi con il prefisso ante- o prae-, che reggono il dativo: precedente il / precedente al; anteposto il / anteposto al.
Beccaria, Gian Luigi (dir.) (1994), Dizionario di linguistica e di filologia, metrica, retorica, Torino, Einaudi.
Sabatini, Francesco & Coletti, Vittorio (2007), Il Sabatini-Coletti. Dizionario della lingua italiana 2008, Milano, Rizzoli - Larousse.
Berretta, Monica (1990), Sull’accusativo preposizionale in italiano, in Parallela 4. Morfologia. Atti del V incontro italo-austriaco della Società di Linguistica Italiana (Bergamo, 2-4 ottobre 1989), a cura di M. Berretta, P. Molinelli & A. Valentini, Tübingen, Narr, pp. 179-189.
Jezek, Elisabetta (2003), Classi di verbi tra semantica e sintassi, Pisa, ETS.
Simone, Raffaele (200819), Fondamenti di linguistica, Roma - Bari, Laterza (1a ed. 1990).