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REDENZIONE

di Giuseppe FILOGRASSI - Nicola TURCHI - Enciclopedia Italiana (1935)
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REDENZIONE (dal lat. redemptio "ricompera", "riscatto")

Giuseppe FILOGRASSI
Nicola TURCHI

Il concetto di riscatto, ossia di liberazione di una data cosa o persona, che si trovi per qualsiasi motivo minorata o vincolata, mediante un atto o un offerta di compensazione, si trova in tutte le religioni. Esso può essere di due specie: individuale o universale.

L'idea di riscatto o di redenzione individuale è naturalmente la più diffusa e la si trova anche nelle religioni primitive. Così nei sacrifizî agrarî si offre alla divinità una parte simbolica del raccolto (che appartiene alla divinità), per riscattare tutto il resto e adibirlo all'uso profano. Anche in caso di malattia si sacrifica un animale in cambio dell'uomo: i testi babilonesi recano molti esempî di questo sacrificio di riscatto. È notissimo nell'antico Israele il sacrificio di riscatto dei primogeniti.

In Roma, Ovidio ricorda il caso del padre di famiglia che nella festa delle Lemurie riscatta sé e i suoi con offerta di fave ai mani dei trapassati: His, inquit, redimo meque meosque fabis (Fast., V, 438). Nell'induismo, attraverso la bhakti o "devozione", che comporta varî gradi di esperienza mistica, si raggiunge la "liberazione" (mokṣa) che è intesa come l'assorbimento dell'anima individuale nell'anima universale: perenne anelito di tutte le scuole indiane.

Ma solo nelle religioni universali il concetto di redenzione, assumendo un valore collettivo estendentesi a tutta l'umanità, e talora addirittura cosmico, assume intero il suo valore religioso. Nel buddhismo vengono offerte a tutti gli uomini, al di là delle barriere di casta o di nazionalità, una dottrina e una regola di vita mediante le quali essi possono liberarsi dall'inesorabile legge delle rinascite determinata dal karma e raggiungere nel nirvāṇa la redenzione finale, alla quale tutto l'universo tende.

Anche il mazdeismo, oltre alla liberazione individuale, ammette una redenzione cosmica, che si compirà alla fine dei tempi ad opera di Saoshyant "il salvatore", il quale a capo delle schiere del bene muoverà contro quelle del male allineate per la suprema battaglia: la sua vittoria segnerà il principio del rinnovamento del mondo (v. escatologia; zoroastrismo).

Bibl.: J. Toutain, L'idée religieuse de la rédemption, in Annales de l'École d. Hautes Études, Sect. sc. rel., Parigi 916-17.

Concetto cattolico. - Nell'insegnamento cattolico, la redenzione è l'opera propria e precipua di Gesù Cristo. Senza escludere un aspetto morale di esempio ed incitamento, essa ha prevalentemente la ragione obiettiva di liberazione dal peccato per merito delle azioni, dei patimenti e della morte di Gesù Cristo, e infine quella di solidarietà, in quanto l'umanità redenta è restaurata e santificata in Cristo. Nei più antichi simboli (v. credo) i varî articoli concernenti la vita e la morte di Gesù Cristo non aggiungono spiegazioni: "Credo in Gesù Cristo figlio di Dio unico Signor nostro, nato dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, crocifisso, ecc.". Nei simboli posteriori si accenna alla redenzione, e si afferma che Gesù Cristo si è incarnato "per noi e per la nostra salute"; "è stato crocifisso ed è morto per noi"; "ha patito per la nostra salute".

Le controversie dottrinali sorte in seguito dettero occasione a maggiori sviluppi. Contro i nestoriani (v. nestorio), le cui opinioni portavano a diminuire il valore dell'opera redentrice, Cirillo nel decimo canone dichiara: "Se qualcuno afferma che egli (Cristo) si è offerto in sacrificio per sé stesso e non piuttosto solo per noi (perché non aveva bisogno di sacrifici, colui che non ha commesso peccato) sia anatema".

Il sinodo di Orange del 529, approvato da Bonifacio II, insegna che Gesù Cristo è morto, perché in lui venisse riparata la natura caduta per Adamo. Il Concilio di Trento definisce che l'unico mediatore dell'umanità è Gesù Cristo; con il suo sangue ha redento e riconciliato gli uomini con Dio e meritato la grazia con la sua passione: "Il Signor nostro Gesù Cristo con la sua santissima passione sul legno della croce ci ha meritato la giustificazione e per noi ha dato soddisfazione a Dio Padre". Il Concilio di Trento si limita a questi cenni, perché i protestanti del sec. XVI non negavano l'opera redentrice; anzi su di essa edificavano il loro particolare sistema della giustificazione.

I critici indipendenti, negata la redenzione in senso obiettivo, l'ammettono al più in senso morale, in quanto Cristo avrebbe salvato l'umanità con l'esempio e con la sua dottrina; inoltre la redenzione obiettiva, benché faccia parte degli insegnamenti di Paolo, non avrebbe fondamento nei Vangeli sinottici e nella fede cristiana primitiva.

Secondo il concetto cattolico al contrario, già nell'Antico Testamento (Isaia, LII, 13, LIII) era preannunziato che il Messia avrebbe salvato il popolo non trionfando su nemici esterni, ma con la sua pazienza, passione e morte; che il Messia avrebbe preso sopra di sé i peccati degli uomini per espiarli e riconciliarli con Dio; che si sarebbe offerto spontaneamente alla morte, quale via al suo trionfo e alla giustificazione di molti. Gesù nei Vangeli applica a sé questo e altri testi di Isaia (Matteo, VIII, 17; XII, 17-20; XVII, 12; Marco, IX, 11; XV, 28; Luca, XXII, 37; Giovanni, XII, 38; cfr. II Cor., V, 21; I Pietr., II, 22).

Nei Vangeli sinottici s'incontrano altri rapidi ma chiari accenni alla redenzione. Giuseppe è informato che il bambino nascituro libererà il mondo dai peccati (Matteo, I, 20-22). Il Figlio dell'uomo, venuto a cercare e a salvare quelli che si erano perduti (Luca, XIX, 10), è rappresentato sotto il simbolo del pastore che corre dietro alla pecora smarrita (Matteo, XVIII, 12-13). Questa salute poi è tutta di ordine spirituale, senza alcun riferimento a tendenze politiche e terrestri; Gesù promette la beatitudine e la felicità presso Dio e ad ottenerla è necessario per lui soffrire e morire (Matteo, XVI, 21): "il Figlio dell'uomo è venuto per dare la vita sua come prezzo di riscatto (λυτρον) per molti" (Marco, X, 45).

Nelle epistole di S. Paolo, il concetto di redenzione occupa più largo posto e comporta più ampio sviluppo. "Abbiamo la redenzione per il sangue di Gesù Cristo" (Efes., I, 7); Dio "per mezzo del sangue della croce di lui (Cristo) ha rappacificato il cielo e la terra" (Coloss., I, 20); "Cristo è morto per i nostri peccati" (I Cor., XI, 24); gli uomini "sono giustificati gratuitamente per la redenzione" operata da Gesù Cristo; Dio lo costituì mezzo di propiziazione nel sangue di lui (Rom., III, 24-25); "Cristo si è dato per noi oblazione ed ostia a Dio, in odore di soavità" (Efes., V, 2); il mediatore tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù, si è dato come prezzo di riscatto per liberarci da ogni iniquità (I Tim., II, 6; Tit., II, 14). Il parallelo poi istituito tra Cristo e Adamo tende a dimostrare che, come in Adamo tutti gli uomini sono spiritualmente morti, così in Cristo ritrovano la vita spirituale (Rom., V, 12-21; I Cor., XV, 22).

Tra gli effetti della redenzione si distingue, oltre alla remissione dei peccati che, per sé, è qualcosa di negativo, la santificazione positiva, per cui l'anima diventa tempio dello Spirito Santo (I Cor., III, 16; II Cor., VI, 16), amica di Dio (Col., III, 12; Rom., I, 7) e nuova creatura in Cristo (II Cor., V, 17); ma tali effetti, stante il parallelo tra Cristo e Adamo, non sono raggiungibili che attraverso il corpo sociale della Chiesa. Cristo infatti continua a vivere nella collettività dei fedeli, associandoli misticamente alla sua morte e resurrezione, e rendendoli partecipi della sua gloria nella vita eterna promessa. La società dei fedeli, guardata sotto questa particolare relazione, porta il nome di "corpo mistico" di Gesù Cristo. L'espressione ha il suo fondamento in I Corinzî, XII. I cristiani sono membri di un corpo che è il corpo di Gesù Cristo, a motivo della intima unione che a lui li unisce; l'unione di tutti in Cristo fa l'unione di tutti fra di loro, pur rimanendo, come nel corpo umano, la differenza di funzioni e di organi; l'unità in Cristo non abolisce le differenze di condizione o di razza; queste differenze non toccano la vita profonda che viene da Cristo e a cui tutti comunicano. Unica sorgente è Cristo: il suo influsso si spande nel corpo intero, vivificando e alimentando ciascuna delle parti e rendendola atta alle proprie funzioni. Diverse sono le mansioni nella Chiesa, ma tutte convergono al bene sociale, al perfezionamento dei fedeli, all'edificazione del corpo mistico. Cristo, che è il capo, possiede la pienezza di grazia e di verità: le membra insieme strettamente collegate devono tendere al pieno sviluppo e alla maturità della vita che da Lui continuamente deriva (cfr. Efes., IV, 12-16; cfr. II, 19-22).

La concezione della vita di Cristo nei fedeli, già accennata in altre parti del Nuovo Testamento, pervade il Vangelo di Giovanni. In esso Gesù promette ai Giudei un pane che dà la vita, la stessa sua vita (Giovanni, VI, 54-58); la comunanza di vita e la mutua permanenza di Cristo nel fedele e del fedele in Cristo è anche più chiaramente illustrata con la similitudine della vite e del tralcio (Giov., XV,1-5); infine, la preghiera di Cristo detta comunemente sacerdotale (Giov., XVII) è tutta una fervida implorazione di questa intima e alta unità tra Cristo e i fedeli, concepita come diretta conseguenza della sua redenzione.

Bibl.: Oltre alle opere citate alle voci gesù cristo; paolo, santo, v.: C. Van Conbrugghe, De soteriologiae primis fontibus, Lovanio 1905; R. Staab, Die Lehre der stellvertretenden Genugtuung, Paderborn 1908; E. Hugon, Le mystère de la rédemption, Parigi 1922; M. Cordovani, Il Salvatore, Roma 1928; C. Lattey, The Atonement, Cambridge 1928; E. Pfenningsdorf, Die Erlösungsgedanke, Gottinga 1929; J. Rivière, le dogme de la rédemption, 3ª ed., Parigi 1931.

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