Abstract
Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1 e art. 6, co. 1, lett. a), del d.P.R. 22.12.1986, n. 917, il possesso di redditi fondiari costituisce uno dei presupposti dell’IRPEF.
Sono redditi fondiari quelli inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano. Essi sono distinti dal legislatore, in funzione della fisionomia del cespite di derivazione, in redditi dominicali, redditi agrari e redditi dei fabbricati. Le prime due tipologie di redditi sono inerenti ai terreni, la terza ai fabbricati.
Rispetto alle altre categorie reddituali individuate dall’art. 6 cit., i redditi fondiari si distinguono in ragione delle peculiari modalità della relativa determinazione, la quale ha luogo alla stregua delle risultanze catastali e, segnatamente, delle tariffe d’estimo stabilite in conformità alla cd. legge catastale.
Ne deriva che il reddito assoggettato a tassazione non è il reddito effettivamente prodotto, o comunque, ritratto dal cespite, bensì – per rifarsi alla terminologia impiegata dal legislatore – il “reddito medio ordinario”.
La riforma tributaria attuata negli anni '70, in virtù della legge delega 9.10.1971, n. 825, ha riunificato in un unico regime impositivo i redditi derivanti da terreni e fabbricati, che nel sistema previgente (ad eccezione di un breve periodo in cui la tassazione avveniva in modo unitario per effetto della l. 14.7.1864, n. 1831) erano sottoposti ad una tassazione differenziata di carattere prevalentemente reale. L’art. 25, co. 1, TUIR definisce in prima approssimazione i redditi fondiari come quelli inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio urbano.
Presupposto comune è costituito dall’obbligatorietà dell’iscrizione catastale con attribuzione di rendita. Il criterio catastale, invero, assolve, in relazione ai redditi fondiari, ad una duplice ed essenziale funzione: 1) individuazione del bene; 2) quantificazione dell’imponibile.
Sotto il primo profilo, il riferimento all’iscrizione catastale con attribuzione di rendita consente di operare un netto discrimen tra i redditi determinati su base catastale e quelli che, in mancanza di simile requisito, sono ricompresi tra i redditi diversi ex art. 70, co. 1, del TUIR.
A tal proposito si evidenzia come i redditi derivanti dai terreni dati in affitto per usi non agricoli (infra § 2.1), pur in presenza dell’iscrizione nel catasto terreni, sono attratti – al pari di quelli di natura fondiaria non determinabili catastalmente – nel novero dei redditi diversi, stante il mutamento di destinazione economica impressa al bene dal differente utilizzo rispetto a quello (oggettivamente strumentale) assegnato alla res.
Un altro elemento costitutivo della fattispecie impositiva è rappresentato dalla ubicazione degli immobili nel territorio dello Stato. Ed invero, i redditi derivanti da terreni e fabbricati situati all’estero, se ascrivibili a soggetti residenti, vengono attratti nell’impianto strutturale dei redditi diversi ex artt. 67, co. 1, lett. f) e 70, co. 2, TUIR.
Sotto il profilo della determinazione del reddito imponibile i redditi fondiari si connotano in ragione della (più o meno) stringente derivazione dalle risultanze catastali e, segnatamente, dalle tariffe d’estimo stabilite a norma delle cd. leggi catastali.
Il reddito imponibile, pertanto, non coincide con il reddito effettivamente prodotto o, comunque, ritratto dal cespite, identificandosi – per contro – con il “reddito medio ordinario”. Quest’ultimo è individuato in esito ad un complesso procedimento amministrativo di attribuzione della rendita al cespite, che prende le mosse dalla formazione delle tariffe d’estimo (attraverso lo studio della redditività media di unità colturali/fabbricati e l’individuazione delle diverse categorie/classi) e si conclude con l’attribuzione di una rendita alle singole unità immobiliari censite, moltiplicando la tariffa unitaria della qualità/classe di riferimento per la specifica consistenza del bene (sul punto v. D’Amati, N.,voce Catasto (diritto tributario), in Enc. giur. Treccani, Aggiornamento, vol. VI, Roma, 2003).
Il reddito individuato a seguito di tali operazioni è un reddito medio, in quanto determinato in funzione di una media pluriennale; ordinario, siccome coincidente con quello ritraibile da un normale sfruttamento dell’immobile.
L’impiego di tale metodologia assolve una funzione incentivante del migliore sfruttamento, da parte dei titolari, delle potenzialità produttive degli immobili, giacché la “effettività” del reddito cede il passo – nella fattispecie legale – alla sua “normalità” per il tramite della determinazione catastale.
A tal proposito, preme evidenziare come la strutturale rigidità del sistema di determinazione catastale non contrasti con il generale principio di effettività della capacità contributiva alla luce della possibilità – accordata nell’ambito del sistema medesimo – di introdurre delle variazioni in conseguenza del verificarsi di determinati eventi di carattere transitorio o permanente, ovvero, riduzioni percentuali del reddito effettivo (infra §§ 2.3, 2.4, 3.5, 4.7).
Un ulteriore tratto caratterizzante – intimamente connesso a quelli sin qui descritti – è costituito, sotto il profilo temporale, dalla tassazione secondo uno stretto principio di competenza.
Ai sensi dell’art. 26 TUIR, invero, i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale per il periodo in cui si è verificato il possesso, salvo quanto stabilito dall’art. 33 TUIR (infra § 3.3.) e quanto stabilito con riferimento ai redditi derivanti dalla locazione di immobili ad uso abitativo (infra § 4.5.). La nozione di possesso rilevante ai fini impositivi coincide, peraltro, in tale ipotesi con quella civilistica.
L’art. 26 cit. elenca, oltre alla proprietà, anche diritti reali che possono escludere il pieno godimento del bene da parte del proprietario; in simili casi, i redditi fondiari devono imputarsi esclusivamente al titolare del diritto reale di godimento e non già al nudo proprietario.
Costituiscono “altri diritti reali” rilevanti ex art. 26 cit., i diritti di uso e di abitazione, mentre non assumono valore il diritto di superficie, gli oneri reali e le servitù prediali.
Nei casi di contitolarità, ovvero di coesistenza di più diritti reali sull’immobile, ricorre un’imputazione plurima del relativo reddito, che concorre a formare il reddito complessivo di ciascun soggetto per la quota corrispondente al suo diritto (art. 26, co. 2, TUIR).
I criteri generali sin qui delineati trovano applicazione – salvo alcune deroghe e contemperamenti – nei confronti di tutte le tipologie di reddito fondiario individuate dal legislatore (art. 25, co. 2, TUIR). Quest’ultimo ha, invero, operato – nell’ambito della generale categoria considerata – una summa divisio (improntata alla valorizzazione della fisionomia del cespite di derivazione) tra redditi dominicali dei terreni, redditi agrari e redditi dei fabbricati.
Il “reddito dominicale” può essere definito in prima approssimazione come la parte del reddito medio ordinario ritraibile dal terreno attraverso l’esercizio delle attività agricole di cui all’art. 32 del TUIR (art. 27, co. 1, TUIR). Esso coincide, dunque, con la rendita in senso tecnico (attribuibile alla terra nel suo stato originario) e con gli interessi dei capitali in essa stabilmente investiti.
A tal proposito si evidenzia come il legislatore non abbia assunto come riferimento la rendita effettiva/gli interessi effettivamente percepiti, bensì le medesime poste nella loro entità media ordinaria (supra § 1).
Perché un terreno possa considerarsi produttivo di reddito dominicale è necessario che su di esso venga esercitata un’attività agricola, ancorché non ad opera del possessore del fondo. Non si considerano, dunque, produttivi di reddito dominicale i terreni che costituiscono pertinenze di fabbricati urbani, quelli dati in affitto per usi non agricoli e quelli produttivi di reddito d’impresa ai sensi lettera c) del co. 2 dell’art. 55 del TUIR (co. 2, art. 27 cit.).
La determinazione del reddito dominicale avviene mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo (supra § 1), previste dalla legge catastale per ciascuna qualità e classe di terreno (art. 28, co. 1, TUIR). Queste ultime sono sottoposte a revisione quando se ne manifesti l’esigenza per sopravvenute variazioni nelle quantità e nei prezzi dei prodotti e dei mezzi di produzione, ovvero, nell’organizzazione e strutturazione aziendale (revisione eventuale), e comunque, ogni dieci anni (revisione obbligatoria).
La variazione è disposta, d’ufficio o su istanza dei Comuni interessati, dall’Agenzia delle Entrate, previo parere della Commissione censuaria centrale. Le operazioni materiali che costituiscono il presupposto della variazione sono, invece, effettuate dagli Uffici del Territorio, sentiti i Comuni interessati.
Le modificazioni derivanti dalla revisione hanno effetto dall’anno successivo a quello di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del nuovo prospetto delle tariffe d’estimo.
Il meccanismo di aggiornamento appena decritto è inteso a rendere flessibile la tariffa d’estimo, in modo da assicurarne – nella misura consentita dal sistema della ordinarietà e della media – l’aderenza ai redditi effettivi.
Un peculiare regime di determinazione è approntato con riferimento ai terreni dati in affitto per usi agricoli e soggetti a regimi vincolistici nella determinazione dei relativi canoni. In tali ipotesi, qualora canone d’affitto risulti inferiore per oltre un quinto alla rendita catastale, il reddito dominicale è determinato in misura pari a quella del canone medesimo (art. 185, co. 1, TUIR).
Indipendentemente dalle revisioni di cui all’art. 28 TUIR, il reddito dominicale può essere soggetto a singole variazioni, in aumento o in diminuzione.
Segnatamente, dà luogo a variazioni del reddito dominicale in aumentola sostituzione della qualità di coltura allibrata in catasto, con altra di maggior reddito (art. 29, co. 1, TUIR); mentre danno luogo a variazioni in diminuzione: a) la sostituzione della qualità di coltura allibrata con altra di minor reddito; b) la diminuzione della capacità produttiva del terreno per naturale esaurimento o per altra causa di forza maggiore, anche in assenza di cambiamento di coltura, ovvero, per eventi fitopatologici o entomologici interessanti le piantagioni.
Non assumono – per contro – efficacia le variazioni dipendenti da deterioramenti intenzionali o da circostanze transitorie (comma 3, art. 29 cit.).
Le variazioni rilevanti (commi 1 e 2, art. 29 cit.) danno luogo alla revisione del classamento dei terreni a cui si riferiscono.In ipotesi di carenza di qualità e classi adeguate nel Comune/nella sezione censuaria, trovano applicazione le tariffe più prossime per ammontare fra quelle attribuite a terreni simili o della stessa qualità di coltura ubicati in altri Comuni/sezioni censuarie, purché agrologicamente equiparabili. Tuttavia, nel caso di fondi di notevole estensione, ovvero, con redditività sensibilmente divergente rispetto alle tariffe potenzialmente equiparabili, è disposta l’istituzione di apposite qualità e classi nel Comune di ubicazione secondo la legge catastale (comma 4, art. 29 cit.). L’istituzione di nuove qualità e classi di terreno può essere stabilita anche quando si verificano variazioni a carattere permanente nello stato delle colture e in determinati Comuni o sezioni censuarie, con un decreto del Ministro dell’Economia e Finanze (comma 5, art. 29 cit.).
Le variazioni del reddito dominicale – sia in aumento, che in diminuzione –- devono essere denunciate dal contribuente all’Ufficio del Territorio (art. 30, co. 1, TUIR). La denuncia deve recare l’indicazione della partita catastale e le particelle cui le variazioni si riferiscono; se queste riguardano porzioni di particelle, occorre allegare la dimostrazione grafica del frazionamento.
Le variazioni in aumento devono essere denunciate entro il 31 gennaio dell’anno successivo a quello in cui si sono verificati i relativi eventi causativi ed hanno effetto da tale anno (comma 2, art. 30 cit.). L’omessa denuncia nei termini di legge costituisce un illecito amministrativo.
Le variazioni in diminuzione, invece, decorrono: a) dall’anno in cui si sono verificati i relativi eventi causativi, se la denuncia è stata presentata entro il 31 gennaio dell’anno successivo; b) dall’anno di presentazione della denuncia, se questa è stata presentata dopo il predetto termine (comma 3, art. 30 cit.).
Le variazioni a carattere permanente, infine, hanno effetto dall’anno successivo a quello di pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale.
Il principio posto dall’art. 26 TUIR, in base al quale l’imputazione dei redditi fondiari ha luogo in funzione del mero possesso ed indipendentemente dalla percezione (supra § 1), risulta temperato dalle previsioni di cui all’art. 31 TUIR, il quale individua alcune fattispecie di non imponibilità (rectius inesistenza) del reddito in dipendenza di specifiche ragioni congiunturali.
A riguardo, si precisa che il “fondo rustico”rilevante ai fini dell’attuazione delle suddette previsioni è costituito da particelle catastali in una stessa partita, contigue l’una all’altra, sì da formare un unico appezzamento (comma 4, art. 31 cit.).
Se un fondo rustico costituito per almeno due terzi da terreni qualificati come coltivabili a prodotti annuali non sia stato coltivato – neppure in parte – per un’intera annata agraria, per cause non dipendenti dalla tecnica agraria, il reddito dominicale si considera – per quella stessa annata – pari al trenta per cento di quello risultante dalla rendita.
La fattispecie ricomprende, dunque, anche ipotesi in cui la mancata coltivazione derivi da una componente volontaristica del soggetto titolare.
In caso di perdita per eventi naturali del 30% del prodotto ordinario del fondo rustico preso a base per il calcolo degli estimi, il reddito dominicale relativo a tale annualità si considera inesistente (comma 2, art. 31 cit.), quand’anche il terreno sia stato concesso in affitto. L’evento può riguardare sia singoli appezzamenti, che una pluralità di fondi rustici (comma 3, art. 31 cit.) e la relativa perdita deve essere parametrata sotto il profilo quantitativo a quella media-ordinaria presa a base per la formazione degli estimi. L’evento dannoso significativo per l’applicazione della disciplina considerata è rappresentato da fenomeni naturali oggettivamente considerati, rimanendo esclusi gli episodi dolosi o colposi.
Ai fini dell’esenzione, l'evento dannoso deve essere denunciato dal possessore danneggiato entro tre mesi dalla verificazione – ovvero, se la data non sia esattamente determinabile, almeno quindici giorni prima dell'inizio del raccolto – all'Ufficio del Territorio; quest’ultimo provvede all'accertamento della diminuzione del prodotto, sentito l'Ispettorato provinciale dell'Agricoltura, e la trasmette all’Agenzia delle Entrate.
Tuttavia, in presenza di un decreto ministeriale che riconosca il carattere eccezionale dell’evento dannoso l’esenzione de qua trova applicazione, indipendentemente dal rituale espletamento dei prescritti adempimenti formali.
Nell’ambito del sistema delineato dal TUIR non è dato rinvenire un’autonoma nozione di “impresa agricola”. La relativa disciplina risulta, invero, incentrata – sotto il profilo statico – sul “fondo” dal cui sfruttamento si ricavano i frutti e – sotto il profilo dinamico – sulle attività “agricole” praticate sul medesimo. Né, al contempo, può registrarsi un acritico e completo accoglimento della nozione civilistica di impresa agricola; simile impostazione lascia, peraltro, aperto il campo a possibili interrelazioni tra i concetti civilistici di “imprenditore” e di “impresa” e quelli accolti dal legislatore tributario.
Nel precipuo contesto delle imposte sui redditi, tuttavia, i rapporti tra le due categorie sono stati inquadrati in una precisa dicotomia: da una parte, trova collocazione il “reddito agrario”, dall’altra – allorché vengano superati determinati limiti quantitativi – si refluisce nell’ambito del “reddito d’impresa” (artt. 32, co. 2, lett. b e c).
In tale prospettiva, emerge una nozione di impresa agricola fiscalmente significativa, la quale – pur non trovando espressione in una precisa formula definitoria – si pone quale risultante di un’ideologia improntata ad un favor nei confronti dell’attività agricola, che trova il suo più rappresentativo punto di emersione nella determinazione forfettaria del reddito derivante dalla medesima (art. 34 TUIR).
Del resto, la sostanziale omogeneità strutturale del reddito agrario rispetto al reddito d’impresa emergedallo stesso art. 32 TUIR. Quest’ultimo, invero, definisce il reddito agrario come la parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale di esercizio ed al lavoro di organizzazione impiegati – nei limiti delle potenzialità del terreno – nell’esercizio di attività agricole su di esso.
Il nucleo nozionale della figura è dunque costituito dal nesso inscindibile tra la “potenzialità” del fondo e le attività agricole esercitate su di esso. Il binomio coltivazione-fondo, quale espressione tipica dell’agricoltura (che stima la terra quale res frugifera) si incentra, quindi, sul concetto di potenzialità, vale a dire, di idoneità del terreno alla produzione agricola. Produzione da intendere in un’ottica dinamica che accanto alle caratteristiche morfologiche – in un certo qual senso incorporate – lascia spazio, altresì, ad una lettura in chiave evolutiva che consente di tener conto delle tecniche innovative utilizzate, il cui prodotto ultimo deve, comunque, considerarsi “agricolo”.
La correlazione appena descritta emerge con piena evidenza con riferimento alle fattispecie di cui alle lettere b) e c) dell’art. 32 TUIR, nell’ambito delle quali il limite consustanziale della potenzialità del terreno presenta una valenza determinante ai fini impositivi; mentre per le ipotesi di cui alla lett. a), siffatto elemento diviene ininfluente, come del resto la relazione biunivoca tra capitale e organizzazione (infra §§ 3.2 e 3.3).
In dottrina è tradizionalmente operata una summa divisio tra “attività intrinsecamente agricole” e attività ad esse “connesse”, sostanzialmente accolta dall’art. 32 TUIR.
Essa costituisce una riproposizione – in seno al sistema attuale – della bipartizione concettuale su cui poggiava (sino alla riforma del 2001) la fattispecie dell’impresa agricola, nell’ambito della quale, accanto a quelle attività riconducibili ad una lata nozione di “agrarietà” era dato rinvenire delle attività “connesse”, ricomprese in una più vasta accezione di agricoltura che, ove non attratte nell’orbita di tale nozione, avrebbero ben potuto essere ricondotte al cd. statuto dell’imprenditore commerciale.
In tale prospettiva, per attività “intrinsecamente agricole” devono intendersi quelle di coltivazione della terra, attraverso lo sfruttamento della naturale produttività, intesa come “svolgimento di un ciclo biologico concernente l’allevamento di animali e di vegetali, che appare legato direttamente o indirettamente allo sfruttamento delle forze e delle risorse naturali”.
A tal proposito, occorre precisare che il concetto di coltivazione – pur nella sua elasticità – non si attagli a ricomprendere quelle attività che non si sostanziano nella messa in produzione del fondo, risultando dirette al mero sfruttamento attraverso la raccolta dei frutti spontanei, come pure le attività di estrazione ed utilizzazione delle risorse naturali del terreno con la finalità di ricavare materiali del suolo e del sottosuolo.
La nozione – nei termini appena delineati – trova riscontro, nel sistema vigente, nel disposto dell’art. 32, co. 2, lett. a) TUIR, che riconduce nell’alveo delle “attività agricole” quelle dirette alla coltivazione del fondo e alla silvicoltura.
Per contro, la qualificazione dell’allevamento di animali quale “attività agricola” postula la sussistenza di specifici elementi strutturali. Ed invero, tale attività viene considerata agricola quando i mangimi necessari al mantenimento sono ottenibili per almeno un quarto dal terreno. Il rapporto di complementarietà tra terreno e gli alimenti dallo stesso ritraibili è posto entro il limite quantitativo del 25% con riguardo ai mangimi ottenibili (comma 2, lett. c, art. 32 cit.).
Ne consegue che risulta configurabile come “allevatore”, tanto il soggetto gestore di un allevamento “tradizionale”, ossia collegato al fondo (Cass., 23.10.1998, n. 10527), che il soggetto che svolga commercio all’ingrosso di bestiame, ovvero, si dedichi esclusivamente all’attività di ingrassamento degli animali.
Sono da ricondursi nel novero delle attività “connesse” le attività di cui all’art. 2135, co. 3, c.c., dirette alla manipolazione, trasformazione, conservazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli e zootecnici ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, ancorché non svolte sul terreno. Rispetto alla relativa disciplina civilistica, il tratto distintivo della nozione fiscale di “attività connesse” è rappresentato dall’attribuzione al Ministro dell’Economia e delle Finanze su proposta del Ministro per le Politiche Agricole e Forestali, del potere di individuare, con cadenza biennale, mediante specifico decreto, quali siano i beni che possono essere ottenuti attraverso le attività rientranti tra quelle connesse (lett. c, co. 2, art. 32 cit., ult. cpv.).
Nel concetto di “manipolazione” devono intendersi ricomprese le attività volte alla effettuazione di lavorazioni e trattamenti atti alla conservazione dei prodotti che non determinino una modifica delle qualità merceologiche dei beni sottoposti a procedimento. Nell’attività di “trasformazione” rientra la sequenza delle modalità operative da adottare per raggiungere uno specifico prodotto attraverso un mutamento di ciò che il prodotto stesso rappresenta in potenza, con la modifica anche della qualità merceologica.
Quanto, infine, alla “commercializzazione” dei prodotti agricoli e zootecnici ottenuti attraverso l’inserimento sul mercato, si evidenzia come il d.lgs. 12.12.2003, n. 344 abbia sostituito il termine “commercializzazione” alla locuzione “alienazione”, contenuta nel precedente testo dell’art. 32 TUIR. La ratio sottesa a tale modifica è quella di realizzare un rinvio ad una categoria più ampia e tecnicamente più aderente alla moderna economia dell’agricoltura, caratterizzata dalla immediatezza di immissione dei beni sul mercato.
Regole specifiche sono individuate con riferimento alla: 1) imputazione del reddito agrario nel caso di affitto del terreno per uso agricolo; 2) ripartizione e alla spettanza del reddito agrario ai singoli associati nell’ipotesi di conduzione associata del terreno; 3) attività di coltivazione di prodotti vegetali per conto terzi (art. 33 TUIR).
Nell’ipotesi sub 1), il reddito agrario concorre a formare il reddito complessivo dell'affittuario, anziché quello del possessore, a partire dalla data in cui ha effetto il contratto di affitto (comma 1, art. 33 TUIR). Il reddito dominicale continuerà, invece, ad essere dichiarato dal possessore del fondo. Tale speciale disciplina trova giustificazione nella particolare natura del reddito agrario, in relazione alla quale – contrariamente a ciò che accade per il reddito dominicale – assume rilevanza l’effettivo esercizio sul fondo dell’attività agricola, e non il possesso del fondo stesso.
A tali fini, l’affitto si considera “per uso agricolo” quando il contratto abbia ad oggetto il godimento del terreno finalizzato alla coltivazione e all’utilizzazione dei prodotti ricavabili dal medesimo.
Nell’ipotesi sub 2), salvo il disposto dell’art. 5 TUIR, il reddito agrario è imputato a ciascun associato per la quota di sua spettanza, quale risultante dalla dichiarazione di conduzione associata sottoscritta da tutti gli associati, da cui risulti la decorrenza del contratto e alla quota di reddito spettante a ciascuno. In mancanza della sottoscrizione anche di uno solo degli associati o dell’indice di ripartizione del reddito, si presume l’uguaglianza delle quote (comma 2, art. 33 cit.).
Attualmente l’unica forma di conduzione associata è la compartecipazione agraria, che però deve riguardare un periodo inferiore all’anno solare e deve consentire la coltivazione di alcune colture, fuori dal contratto associativo, nell’arco del medesimo periodo d’imposta. Si considerano figure di conduzione associata (intesa in senso estensivo dal Ministero delle finanze), oltre la mezzadria, la colonia parziaria e la soccida.
Infine, con riferimento alle attività sub 3), deve assumersi la natura agraria dei relativi redditi (comma 2-bis, art. 33 cit.), purché esse siano svolte entro i limiti di cui all’art. 32, co. 2, lett. b) TUIR (supra §§ 3.1 e 3.2).
Ai fini IRPEF costituisce dunque “attività agricola” anche quella esercitata dal produttore agricolo che riceva da un altro soggetto sementi, piante, fiori, talee, ecc., coltivati sul suo terreno e che, ad ultimazione del ciclo biologico o di parte di esso, consegni il prodotto al committente.
Anche per tale tipologia di reddito si prescinde dall’individuazione del reddito effettivo per fare ricorso a un reddito medio presunto e forfettariamente calcolato in riferimento a particelle-tipo di terreni, quantificando il rendimento, sia in relazione al fattore lavoro, che al fattore capitale (art. 34 TUIR).
Allo scopo di consentire la maggiore aderenza possibile dei redditi agrari a quelli effettivi, è previsto (commi 2 e 3, art. 34 cit.) che la revisione delle tariffe d’estimo relative al reddito agrario abbia luogo contemporaneamente a quella disposta agli effetti del reddito dominicale per le cause e secondo le procedure stabilite nell’art. 28, co. 2, 3 e 4 TUIR (supra §§ 1 e 2.2). Le variazioni hanno effetto, dall’anno successivo a quello in cui si sono verificate, se comportano un aumento di reddito; ovvero, dall’anno in cui sono avvenute, se comportano una diminuzione.
Le denunce relative alle variazioni in aumento ed in diminuzione del reddito poste a carico del possessore del terreno possono essere anche presentate, in caso di affitto del fondo o di conduzione associata dell’impresa agricola, dall’affittuario o da uno degli associati.
Regole particolari sono dettate ai fini della determinazione del reddito agrario delle superfici adibite alle colture prodotte in serra, ovvero alla funghicoltura, che – in mancanza della corrispondente qualità nel quadro di qualificazione catastale – deve essere operata mediante l’applicazione delle tariffe d’estimo più alte in vigore nella Provincia (artt. 33, co. 4 e 28, co. 4-bis, TUIR).
3.5Perdite per mancata coltivazione e per eventi naturali
Con riferimento ai casi di perdita per mancata coltivazione e per eventi naturali, il legislatore ha operato un generale rinvio alla disciplina posta con riferimento ai redditi dominicali (art. 31 TUIR, in relazione alla quale v. supra § 2.4), prevedendo che negli stessi casi il reddito agrario sia considerato inesistente. Tale disciplina trova la sua giustificazione nel fatto che, derivando il reddito agrario dal capitale di esercizio e dal lavoro di organizzazione della produzione, in assenza di ogni esercizio di attività agricole sul terreno, non si può configurare la realizzazione di alcun reddito.
Il comma 1 dell’art. 36 TUIR definisce il reddito dei fabbricati come il reddito medio ordinario ritraibile da ciascuna unità immobiliare urbana.
Anche i redditi dei fabbricati – al pari dei redditi dominicali e dei redditi agrari – sono, dunque, determinati su base catastale. Con riferimento ai medesimi deve, tuttavia, registrarsi una decisa attenuazione della regola della tassazione alla stregua del reddito medio ordinario. Tale mitigazione si pone quale risultante dell’introduzione di elementi di effettività volti a valorizzare la sussistenza, in relazione ai singoli casi concreti, di una capacità contributiva minore o maggiore rispetto al reddito medio ordinario (infra § 4.5).
Titolare del reddito dei fabbricati è – secondo i principi generali – il proprietario dell’unità immobiliare, ovvero il titolare del diritto reale di godimento sulla medesima (usufrutto, abitazione), ad eccezione del reddito percepito dal locatario nell’ipotesi di sub-locazione, riconducibile nell’ambito dei “redditi diversi” (art. 67, lett. h), TUIR).
La “unità immobiliare urbana” rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 36 cit. è costituita dai fabbricati, dalle altre costruzioni stabili e dalle porzioni dei medesimi suscettibili di produrre reddito autonomo, ivi comprese le aree occupate dalle costruzioni (cd. aree di sedime) e quelle che ne costituiscono pertinenze, le quali devono considerarsi parti integranti delle unità medesime (comma 2, art. 36, cit.).
La nozione di “fabbricato” fiscalmente rilevante – lungi dall’esaurirsi e dal coincidere con quella comune di “edificio” – risulta dunque particolarmente ampia, estendendosi a ricomprendere ogni costruzione stabile suscettibile di produrre un reddito autonomo.
A fronte dell’ampiezza del presupposto, quale delineato dall’art. 36 TUIR, il legislatore ha ritenuto opportuna l’introduzione di una serie di specifiche ipotesi di esclusione, indirizzate a mettere in risalto, ora la peculiare natura dell’unità considerata, ora la precipua funzione/finalità della medesima.
Tra le fattispecie di esclusione appena menzionate, quella più rilevante è senz’altro costituita dagli immobili relativi ad imprese commerciali e da quelli che costituiscono beni strumentali per l'esercizio di arti e professioni (art. 43 TUIR).
La ratio dell’esclusione deve rinvenirsi – con tutta evidenza –- nella vis attractiva esercitata con riferimento a tali tipologie di immobili da altre categorie reddituali (rispettivamente, redditi d’impresa e redditi di lavoro autonomo).
La nozione di strumentalità rilevante ai fini dell’esclusione è individuata dal comma 2 dell’art. 43 TUIR, ai sensi del quale, ai fini delle imposte sui redditi, devono considerasi “strumentali” gli immobili utilizzati esclusivamente per l'esercizio dell'arte, della professione o dell'impresa commerciale da parte del possessore (strumentalità per destinazione).
Sono, altresì, considerati strumentali, ancorché non utilizzati o dati in locazione/comodato (salvo quanto disposto nell'articolo 65 TUIR) gli immobili relativi ad imprese commerciali che – per le loro caratteristiche – non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni (strumentalità per natura). In queste ipotesi viene, pertanto, in rilievo una peculiare nozione oggettiva di strumentalità, volta a valorizzare l’intrinseca natura commerciale di talune tipologie di beni (capannoni industriali, negozi, alberghi, ecc.). Essa, tuttavia, non deve essere intesa rigidamente, quale presunzione assoluta di strumentalità. Ed, invero, la circostanza che determinati beni possano essere qualificati come strumentali a prescindere dal loro effettivo utilizzo, non vale ad escludere che il carattere (astrattamente) strumentale dei medesimi rispetto all’attività esercitata debba costituire oggetto di puntuale verifica.
Si considerano, infine, strumentali – in deroga ai principi generali – gli immobili dell’impresa concessi in uso ai dipendenti, purché questi ultimi abbiano trasferito la residenza anagrafica nel Comune in cui prestano la propria attività. L’esclusione opera nel periodo d’imposta in cui ha avuto luogo il trasferimento e nei due successivi (strumentalità temporanea).
Un’ulteriore ipotesi di esclusione è quella posta in favore delle unità immobiliari destinate esclusivamente all’esercizio del culto, le quali non si considerano produttive di redditi di fabbricati, salvo che siano oggetto di locazione (art. 36, co. 3, TUIR).
Non sono – parimenti – considerati produttivi di reddito di fabbricati le unità per le quali siano state rilasciate licenze, concessioni o autorizzazioni per restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia, limitatamente al periodo di validità del relativo provvedimento e purché l’unità immobiliare non sia – comunque – utilizzata (art. 36, co. 3, cit.). A tal proposito occorre evidenziare come l’esclusione operi unicamente con riferimento all’ipotesi in cui l’inagibilità dell’unità sia determinata da circostanze di carattere temporaneo, mentre qualora le medesime assumano carattere permanente si renderà necessario procedere all’attribuzione di una nuova rendita ex art. 38 TUIR (cfr. infra, § 4.7).
Non concorre, inoltre, a formare base imponibile ai fini IRPEF il reddito imputabile a ciascun condomino in relazione alle parti comuni dell’immobile, qualora alle stesse sia attribuita/attribuibile un’autonoma rendita catastale di importo non superiore ad euro 25,82 per ogni condomino (comma 3-bis, art. 36, cit.) e sempreché le stesse non siano oggetto di locazione.
Non si considerano produttive di reddito di fabbricati le costruzioni o porzioni di costruzioni rurali e le relative pertinenze che appartengono al possessore o all’affittuario dei terreni rispetto cui servono e che siano destinate: a) alla abitazione delle persone addette alla coltivazione della terra, alla custodia dei fondi, del bestiame e degli edifici rurali e alla vigilanza dei lavoratori agricoli, nonché dei familiari conviventi a loro carico, sempre che le caratteristiche dell'immobile siano rispondenti alle esigenze delle attività esercitate; b) al ricovero degli animali e di quelli occorrenti per la coltivazione; c) alla custodia delle macchine, degli attrezzi e delle scorte occorrenti per la coltivazione; d) alla protezione delle piante, alla conservazione dei prodotti agricoli e alle attività di manipolazione e trasformazione (art. 42 TUIR).
La ratio di tale esenzione deve rinvenirsi nella circostanza che i redditi relativi ai beni suindicati (strumentali all’esercizio dell’impresa agricola) costituiscano uno degli elementi alla stregua dei quali ha luogo la determinazione delle tariffe d’estimo, risultando – per tale via – ricompresi nel valore esprimente la rendita attribuibile al terreno, e dunque, già valorizzati ai fini della determinazione del reddito agrario ed “attratti” alla sfera del medesimo.
Sotto tale profilo, deve evidenziarsi l’esistenza di una netta distinzione tra immobili a destinazione ordinaria ed immobili a destinazione speciale.
Ed invero il reddito medio ordinario è determinato, per i primi, mediante l'applicazione delle tariffe d'estimo, per i secondi, mediante stima diretta da parte dell’Agenzia del Territorio (37, co. 1, TUIR).
Le tariffe d'estimo e i redditi dei fabbricati a destinazione speciale o particolare sono sottoposti a revisione quando se ne manifesti l'esigenza per sopravvenute variazioni di carattere permanente nella capacità di reddito delle unità immobiliari e comunque ogni dieci anni. La revisione è disposta con decreto del Ministro dell’Economia e Finanze previo parere della Commissione censuaria centrale e può essere effettuata per singole zone censuarie. Prima di procedervi gli Uffici tecnici erariali devono sentire i Comuni interessati (comma 2, art. 37 cit.).
Le modificazioni derivanti dalla revisione hanno effetto dall'anno di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del nuovo prospetto delle tariffe, ovvero, nel caso di stima diretta, dall'anno in cui è stato notificato il nuovo reddito al possessore iscritto in catasto. Se la pubblicazione o notificazione avviene oltre il mese precedente quello stabilito per il versamento dell'acconto di imposta, le modificazioni hanno effetto dall'anno successivo (comma 3, art. 37 cit.).
Il reddito delle unità immobiliari non ancora iscritte in catasto è determinato comparativamente a quello delle unità similari già iscritte (comma 4, art. 37, cit.).
Regole particolari sono dettate per i fabbricati concessi in locazione.
Qualora il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfettariamente del 5%, sia superiore al reddito medio ordinario, il reddito imponibile è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione.
È evidente come in tale ipotesi si determini una netta attenuazione dello schema impositivo tipico dei redditi fondiari (supra § 1), volta ad attrarre a tassazione i (maggiori) proventi effettivamente ritratti dall’unità immobiliare.
Un’ulteriore deroga, rispetto al generale “sistema impositivo fondiario”, si rinviene nella circostanza che sia stata attribuita un’efficacia fondamentale alla effettiva percezione dei canoni nella determinazione del reddito imponibile degli immobili oggetto di locazione ad uso abitativo. Ai sensi dell’art. 26 TUIR, i redditi derivanti da tali immobili non concorrono alla formazione della base imponibile IRPEF del locatore dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto.
A completamento dell’articolata disciplina sostanziale sin qui illustrata, devono richiamarsi le disposizioni di carattere procedimentale di cui all’art. 41-ter del d.P.R. 29.9.1973, n. 600. Quest’ultimo, esclude che possa darsi luogo ad accertamento con riferimento ai redditi di fabbricati derivanti da contratti di locazione dichiarati in misura non inferiore ad un importo corrispondente al maggiore tra il canone di locazione risultante dal contratto ridotto del 15% ed il 10% del valore dell’immobile.
Nel sistema vigente, le unità immobiliari adibite ad abitazione principale e delle relative pertinenze sono sostanzialmente “detassate” ai fini IRPEF: il comma 3-bis dell’art. 10 TUIR riconosce, infatti, al proprietario il diritto di dedurre dal reddito complessivo un importo corrispondente alla rendita catastale attribuita all’unità immobiliare adibita ad abitazione principale.
Un regime deteriore rispetto a quello ordinario è – per contro – approntato rispetto alle unità immobiliari adibite ad abitazione secondaria, ovvero, tenute a disposizione del proprietario, per le quali il reddito è aumentato di un terzo (art. 41 TUIR).
Quanto, infine, ai fabbricati di nuova costruzione, essi concorrono a formare il reddito complessivo ai fini IRPEF dalla data in cui il fabbricato è divenuto atto all'uso cui è destinato o è stato comunque utilizzato dal possessore (art. 40 TUIR).
È possibile che successivamente al classamento ed a prescindere da una sopravvenuta variazione catastale, intervengano delle consistenti e permanenti modifiche nella capacità di produrre reddito dell’unità immobiliare, in conseguenza delle quali si determini uno scostamento rilevante tra reddito lordo effettivo e la rendita catastale.
In tali casi, l’Agenzia del Territorio – su segnalazione dell’Agenzia delle Entrate o del Comune o su domanda del contribuente – procede a verifica ai fini del diverso classamento dell'unità immobiliare (ovvero, per i fabbricati a destinazione speciale o particolare, della nuova determinazione della rendita), purché il predetto scostamento evidenzi una differenza di almeno il 50% tra i due valori sopra menzionati, protrattosi per almeno un triennio (art. 38, co. 1, TUIR).
A tali fini, il reddito lordo effettivo è costituito dai canoni di locazione risultanti dal contratto; in mancanza di quest’ultimo, esso è determinato comparativamente ai canoni di locazione di unità immobiliari aventi caratteristiche similari e ubicate nello stesso fabbricato o in fabbricati viciniori.
Qualora la predetta verifica interessi un numero elevato di unità immobiliari di una zona censuaria, l’Agenzia del Territorio, previo parere della Commissione censuaria centrale, dispone per l'intera zona la revisione del classamento e la stima diretta dei redditi dei fabbricati a destinazione speciale o particolare (comma 2, art. 38, cit.).
A questo proposito occorre rammentare come i commi 335 e ss. dell’art. 1 della l. 30.12.2004, n. 311, abbiano introdotto delle nuove procedure attraverso cui l’Agenzia del Territorio, su istanza dei Comuni interessati, provvede alla revisione parziale del classamento delle unità immobiliari site in microzone nelle quali sussiste un rilevante scostamento tra il valore medio di mercato ed il valore medio catastale (riclassamento parziale – comma 335, art. 1 cit.), ovvero, all’aggiornamento catastale per immobili non dichiarati in catasto o per i quali – per effetto di intervenute variazioni edilizie – sussistono situazioni di fatto non coerenti con il relativo classamento (revisione del classamento – commi 336 e 337, art. 1, cit.).
Le variazioni del reddito risultanti dalle revisioni hanno effetto dal 1° gennaio dell'anno successivo al triennio in cui si sono verificati i presupposti per la revisione (art. 39, TUIR).
La cd. cedolare secca è un regime facoltativo introdotto dall’art. 3 del d.lgs. 14.3.2011, n. 23 ai fini della tassazione dei redditi derivanti dalla locazione ad uso abitativo di unità immobiliari residenziali (categorie catastali da A1 ad A11, con esclusione degli immobili di cui alla categoria A10 – uffici o studi privati) locate a uso abitativo e delle relative pertinenze, locate congiuntamente all’abitazione, ovvero, con contratto separato e successivo, a condizione che il rapporto di locazione intercorra tra le medesime parti contrattuali e che nel contratto di locazione della pertinenza si faccia riferimento al quello di locazione dell’immobile abitativo e sia evidenziata la sussistenza del vincolo pertinenziale con l’unità abitativa già locata.
A seguito dell’esercizio della relativa opzione da parte del proprietario, ovvero, del titolare del diritto reale di godimento sull’immobile, i redditi derivanti da quest’ultimo sono assoggettati ad un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle relative addizionali, nonché dell’imposta di registro e di bollo, ordinariamente dovute per registrazioni, risoluzioni e proroghe dei contratti di locazione; resta invece fermo l’obbligo di pagamento dell’imposta di registro con riferimento alle ipotesi di cessione del contratto di locazione.
L’imposta sostitutiva si calcola applicando un’aliquota del 21% sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti. Resta fermo che il reddito derivante dal contratto di locazione non può essere, comunque, inferiore al reddito determinato ai sensi dell’art. 37 TUIR.
È, inoltre, prevista un’aliquota ridotta per i contratti di locazione a canone concordato relativi ad abitazioni ubicate:
• nei Comuni con carenze di disponibilità abitative (art. 1, lett. a e b del d.l. 30.12.1988, n. 551). Si tratta, in pratica, dei Comuni di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia e dei Comuni confinanti con gli stessi, nonché gli altri Comuni capoluogo di Provincia
• nei Comuni ad alta tensione abitativa (individuati dal C.I.P.E.).
Il reddito assoggettato a cedolare non rileva agli effetti della determinazione della base imponibile IRPEF. Esso, tuttavia, concorre alla determinazione del reddito complessivo ai fini del riconoscimento della spettanza o della determinazione di deduzioni, detrazioni o benefici di qualsiasi tipo (anche di natura non tributaria) connesse al possesso di requisiti reddituali, nonché ai fini dell'indicatore della situazione economica equivalente (I.S.E.E.) di cui al d.lgs. 31.3.1998, n. 109 (comma 7, art. 3, cit.).
Sul reddito assoggettato a cedolare e sulla cedolare stessa non possono essere fatti valere, rispettivamente, oneri deducibili e detrazioni.
Possono optare per il regime della cedolare secca le persone fisiche titolari del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento. In caso di contitolarità dell’immobile l’opzione deve essere esercitata distintamente da ciascun locatore. I locatori contitolari che non esercitano l’opzione sono tenuti al versamento dell’imposta di registro calcolata sulla parte del canone di locazione loro imputabile in base alle quote di possesso. Deve essere, comunque, versata l’imposta di bollo sul contratto di locazione. L’imposta di registro deve essere versata per l’intero importo stabilito nei casi in cui la norma fissa l’ammontare minimo dell’imposta dovuta.
L’applicazione del regime della cedolare è esclusa con riferimento ai contratti di locazione conclusi con conduttori che agiscono nell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomo (art. 3, co. 6, d.lgs. n. 23/2011), indipendentemente dal successivo utilizzo dell’immobile per finalità abitative di collaboratori e dipendenti.
L'opzione può essere esercitata anche per le unità abitative locate nei confronti di cooperative edilizie per la locazione o di enti senza scopo di lucro, purché sublocate a studenti universitari e date a disposizione dei Comuni con rinuncia all'aggiornamento del canone di locazione o assegnazione (d.l. 28.3.2014, n. 47).
L’opzione per l’applicazione del regime sostitutivo in commento può essere esercitata, sia al momento della registrazione del contratto, sia (per le locazioni pluriennali) negli anni successivi. In tale ultimo caso, tuttavia, troveranno applicazione, in sede di registrazione, le regole ordinarie, dovendosi escludere che in conseguenza del successivo esercizio dell’opzione possa darsi luogo al rimborso delle somme corrisposte a titolo di imposta di registro e di bollo.
L’applicazione del regime in parola è estesa anche ai contratti di locazione non soggetti a registrazione (comma 2, art. 3, cit.). In tal caso, il locatore potrà esercitare la relativa opzione in sede di dichiarazione, ovvero, di registrazione in caso d’uso o di registrazione volontaria del contratto.
La scelta per la cedolare secca implica la sospensione – per un periodo corrispondente alla durata dell’opzione – della facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone di locazione, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall’Istat dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati dell’anno precedente. In ragione di tale circostanza il legislatore ha espressamente subordinato l’efficacia dell’opzione all’adempimento, da parte del locatore, dell’obbligo inderogabile di dare preventiva comunicazione al conduttore, con lettera raccomandata, della rinuncia ad esercitare la facoltà di chiedere l'aggiornamento del canone a qualsiasi titolo (comma 11, art. 3, cit.).
L’opzione comporta l’applicazione delle regole della cedolare secca per l’intero periodo di durata del contratto (o della proroga) o, nei casi in cui l’opzione sia esercitata nelle annualità successive alla prima, per il residuo periodo di durata del contratto.
Il locatore ha, comunque, la facoltà di revocare l’opzione in ciascuna annualità contrattuale successiva a quella in cui è stata esercitata; allo stesso modo, è sempre possibile esercitare nuovamente l’opzione, nelle annualità successive alla revoca, “rientrando” nel regime della cedolare secca. La revoca deve essere effettuata entro 30 giorni dalla scadenza dell’annualità precedente e comporta il versamento dell’imposta di registro, eventualmente dovuta.
Artt. 25-43 d.P.R. 22.12.1986, n. 917; legge Catastale (R.d. 8.10.1931, n. 1572, R.d. 8.12.1938, n. 2153, R.d.l. 13.4.1939, n. 656, d.P.R. 1°.12.1949, n. 1142, d.P.R. 26.10.1972, n. 650, d.P.R. 29.9.1973, n. 604 e d.P.R. 23.3.1998, n. 138).
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