RECLUSIONE
. Tra i più gravi problemi della penologia è quello che si riferisce all'opportunità di prevedere per i delitti pene detentive temporanee parallele o prescegliere una sola pena. Il codice penale italiano del 1889 prevedeva per i delitti la reclusione e la detenzione, e P. S. Mancini considerava questo regime come un grande progresso, perché consentiva distinguere la repressione dei crimini e delitti commessi per impulso malvagio, abietto e disonorevole dalla repressione dei crimini e delitti commessi per impulso non malvagio e meno biasimevole per sé stesso. Il problema fu discusso nel decimo congresso internazionale penale e penitenziario di Praga (agosto 1930), ma non si pervenne a una soluzione e si ritenne necessario attendere ancora i risultati dell'esperienza in corso nei varî paesi.
Il nuovo codice penale italiano del 1930 (art. 23) prevede per i delitti la sola pena temporanea della reclusione, e la riforma è stata giustificata dal riflesso che, anche durante il periodo in cui fu in vigore il codice Zanardelli, non si trovò in pratica il modo per distinguere seriamente l'esecuzione della pena della reclusione dall'esecuzione della pena della detenzione. La durata della reclusione è da quindici giorni a ventiquattro anni, ma vi sono casi nei quali può estendersi fino a trent'anni, come nelle ipotesi degli articoli 56, 64, 65, 66, 78 e 577 del codice penale. L'art. 136 prevede l'unico caso in cui si può scendere al disotto del limite minimo. È notevole che il minimo della pena è stato elevato in confronto del codice precedente da tre a quindici giorni, ma alcuni lo avrebbero voluto ancora più elevato, perché le brevi pene non hanno valore intimidativo e neanche rieducativo, mentre valgono ad abbassare l'efficienza morale della comminatoria penale. La pena si sconta con l'isolamento notturno e con l'obbligo del lavoro, il quale può essere compiuto anche all'aperto dopo un periodo iniziale di un anno (il termine può essere ridotto per i minori e i trasferiti in colonia, previa ammissione del giudice di sorveglianza).
Nell'esecuzione della pena della reclusione domina il principio della specializzazíone degli stabilimenti, che non è solamente ripartizione topografica, ma organizzazione giuridica e tecnica distinta secondo le categorie giuridiche dei condannati e secondo le prevedibili necessità del loro riadattamento. Tra le varie specializzazioni vanno tenute presenti quelle per i minori degli anni 18 e quelle per i delinquenti abituali, professionali e per tendenza. In ogni stabilimento i condannati sono distinti in gruppi secondo il sesso, l'età e la recidiva (articoli 141, 142 e 143). All'esecuzione della pena della reclusione si riferisce più specialmente il sistema della cosiddetta esecuzione progressiva, che culmina nella liberazione anticipata del condannato, sottoposta alla condizione risolutiva che egli tenga buona condotta. Il beneficio può essere concesso quando concorrano le condizioni previste nell'art. 176. Il ministro di Grazia e giustizia può disporre che l'esecuzione della pena abbia luogo in una colonia o in un altro possedimento d'oltremare (art. 22, ultima parte); ma questo istituto non va confuso con la deportazione, perché, anche quando si verifica tale ipotesi, l'esecuzione è regolata dalle norme vigenti nel regno.
È da ricordare, infine, che la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a cinque anni produce alcune incapacità prevedute nell'art. 32 e che nel caso di condanna alla reclusione per un tempo superiore a un anno il giudice può ordinare la libertà vigilata.
La libertà vigilata è sempre ordinata, qualora sia stata inflitta la pena della reclusione per non meno di anni dieci, e non può in tal caso avere una durata inferiore a tre anni.
(V. anche carcere; penitenziarî, sistemi).
Bibl.: G. Beltrani-Scalia, Sul governo e sulla riforma delle carceri in Italia, Torino 1868; P. S. Mancini, Relazione al progetto del codice penale, Roma 1877, n. 17, p. 99; B. Franchi, La dottrina e l'applicazione delle pene prima e dopo Cesare Lombroso, in Scuola positiva, nn. 3-4, Roma 1906, p. 149; A. Kriegsmann, Einführung in die Gefängniskunde, Heidelberg 1912; G. Novelli, Il decimo congresso internazionale penale e penitenziario di Praga, in Rivista di diritto penitenziario, Roma 1930, nn. 1 e 4; id., L'esecuzione delle pene detentive nella nuova legislazione italiana, in Rivista di diritto penitenziario, Roma 1931, n. 2.
Reclusione militare.
Fra le pene restrittive della libertà personale che possono essere applicate dai tribunali militari senza che il condannato diventi indegno di appartenere alla milizia, l'art. 4, n. 2 del codice penale per l'esercito (art. 4, n. 2 codice penale mil. marittimo) del 1869 prevede la reclusione militare. La reclusione militare deve esser tenuta ben distinta dalla reclusione ordinaria, prevista dal codice penale comune, la quale viene comminata anche dal codice penale militare: mentre la prima viene inflitta per i reati esclusivamente militari e per i reati da taluno chiamati "obiettivamente militari" (reati che violano contemporaneamente un interesse comune e un interesse militare, come il furto a danno di militari in una caserma), la seconda viene applicata per quei reati obiettivamente militari nei quali, però, la violazione dei doveri generali del cittadino è più grave della violazione dei doveri particolari del militare. Questa rende indegno il condannato di far parte delle forze armate.
La reclusione militare è pena di carattere essenzialmente militare ed è la pena restrittiva della libertà individuale che succede immediatamente alla pena di morte. Il suo minimo è di un anno: il massimo di anni venti. Nell'ipotesi di un concorso di reati essa può salire ad anni venticinque e anche ad anni trenta. Il condannato alla reclusione militare è rinchiuso in locali a ciò destinati con l'obbligo del lavoro che non potrà mai esser fatto in comune con altri condannati alla reclusione ordinaria. Vi sono due reclusorî militari, uno a Peschiera per i condannati sino a due anni e l'altro a Gaeta per i condannati a tempo superiore. Gli ufficiali scontano la pena presso il carcere militare di Napoli: a seconda della durata, superiore o inferiore a tre anni, essa importa per loro la dimissione dal grado o la sospensione dall'impiego.
Bibl.: P. Vico, Diritto penale militare, in Enciclopedia del diritto penale italiano, XI, Milano 1908; A. Ravizza, Reclusione militare, in Digesto italiano; V. Maurini, Diritto penale militare, Padova 1928.