RIGOTTI, Rebo
RIGOTTI, Rebo. – Nacque a Padergnone (Trento) l’11 luglio 1891, primogenito dei quattro figli di Pietro e di Antonia Marzani. Il padre era un agiato possidente della valle dei Laghi, dove produceva il prestigioso vino santo che forniva alla corte di Vienna. La madre, di origini nobiliari, era di San Marzano, nel Salernitano.
Nel 1907 frequentò la scuola agraria di San Michele, di durata biennale, diretta allora da Karl Mader, che fu anche suo docente di viticoltura; ebbe come insegnanti anche Osvaldo Orsi, Carlo de Gramatica, Armin de Cles, Bruno de Varda e Josef Schindler, professore di enologia e chimica agraria, diventato nel 1909 direttore dell’istituto agrario al posto di Mader, ritiratosi in pensione.
Una volta conseguito il titolo di studio, nel 1909 iniziò a lavorare nell’azienda di famiglia. Dopo la Grande Guerra – con il passaggio del Trentino all’Italia – fu nominato ‘visitatore tecnico’, compito che ricoprì tra il 1919 e il 1921 per conto dell’ufficio del genio civile di Rovereto, svolgendo un’attività di ricognizione sui danni causati dagli eventi bellici. Il 5 settembre 1921 sposò Anna de Manincor, da cui ebbe cinque figli: Fabio, Camillo, Annamaria, Licia e Ulisse.
Assunto dalla stazione sperimentale di San Michele all’Adige, prestò servizio sino al 1923 con la qualifica di ispettore delle cantine dell’allora Venezia Tridentina, cioè il Trentino e l’Alto Adige, una provincia con capoluogo Trento. In seguito, svolse mansioni di tecnico e di amministratore presso l’azienda vitivinicola della contessa Giuliana Martini di Mezzocorona, alle cui dipendenze rimase tra il 1923 e il 1928. Nello stesso periodo si iscrisse alla scuola di agraria di Conegliano Veneto, dove si diplomò perito agrario. Dal 1928 al 1930 Rigotti diventò assistente del professor Giulio Catoni, sotto la cui direzione si occupò delle fitopatologie delle piante presso l’osservatorio fitopatologico di Trento, costituito in seno al Consiglio provinciale dell’economia con il quale il regime fascista sostituì il precedente Consiglio d’agricoltura.
Nel 1930 vinse una selezione per ricoprire il posto di direttore tecnico dei vivai viticolo-pomologici di Navicello a Rovereto e a Trento, che coordinò sino al 1935. Nel 1936 prese servizio, tramite concorso, presso la stazione sperimentale di San Michele all’Adige, diretta (con l’istituto agrario) dal professor Enrico Avanzi, uno tra i più capaci e quotati agronomi italiani. Vi lavorò fino al 31 gennaio 1959, quando, ormai vicino ai settant’anni, andò in pensione, dopo averne dedicati quasi cinquanta allo studio e all’approfondimento di vari rami dell’agricoltura: dalla frutticoltura alla cerealicoltura, dalla foraggicoltura alla genetica della patata, interessandosi anche di alcune colture minori, ma soprattutto di viticoltura.
Sono circa una trentina le pubblicazioni che testimoniano il contributo scientifico di Rigotti. Un primo importante lavoro, Rilievi statistici e considerazioni sulla viticoltura trentina (Trento 1932), fu pubblicato con gli auspici del Consiglio dell’agricoltura e della stazione sperimentale di San Michele. Prendendo a riferimento il biennio 1929-30, condusse un’analisi dettagliata sulla viticoltura trentina, censita in base all’altitudine e alla collocazione nelle vallate e classificata secondo i vitigni caratteristici.
Questa prima indagine rappresentò una palestra metodologica di indubbia rilevanza che gli consentì di impostare e mettere a punto uno dei suoi progetti più impegnativi, la Carta viticola del Trentino, una sorta di ‘censimento’ della viticoltura trentina dei primi anni Cinquanta. Diversi gli aspetti monitorati: superfici vitate, varietà viticole, ubicazione dei vitigni e loro distribuzione per zone, ma anche natura dei terreni e comportamento di vari portainnesti.
Risultati importanti li ottenne anche nello studio delle tecniche d’incrocio tra varietà, specie e razze vegetali differenti. Sin dagli anni Trenta si interessò del ramo frutticolo, sperimentando incroci su pesco, pero e melo. Provò un numero elevato di combinazioni, conscio del fatto che molti incroci avrebbero dato esito negativo. Negli anni 1930-35 si dedicò al miglioramento genetico della patata, al fine di individuare nuove tipologie di cultivar più produttive, di migliore qualità e resistenti alle virosi. Un lavoro che proseguì anche in seguito, in condizioni precarie durante la guerra, e negli anni Cinquanta.
In campo cerealicolo selezionò e costituì nuove varietà di grano tenero. Avviò un lavoro per incrociare una dozzina di varietà di granoturco italiano (mais), fecondate e selezionate allo scopo di generare un prodotto capace di combinare qualità con maggiore produttività, resistenza alle malattie e agli agenti atmosferici. Sempre in campo genetico, si dedicò al miglioramento di altre colture minori come radicchio, pomodoro, fagiolo e foraggere graminacee, allo scopo di ottenere migliori selezioni.
Il campo di attività che gli procurò maggiori soddisfazioni fu quello viticolo. Dagli anni Venti provò diversi incroci sia per uva da tavola sia per uva da vino. Cercò di isolare un tipo di cultivar adatto al trasporto e resistente allo schiacciamento dell’acino in seguito a imballaggio. Con riferimento all’uva da vino, dal 1924 in poi incrociò vitigni locali con quelli stranieri, uve da vino ordinario e uve da vino fino. Se negli anni Trenta dovette tenere conto non solo della qualità, ma anche della quantità, specie per lo scetticismo dei viticoltori trentini nei confronti dei vitigni stranieri fini scarsamente produttivi, in quelli successivi si impegnò a eseguire incroci fra i migliori vitigni locali e gli stranieri fini.
Per avere una produzione abbondante e zuccherina era necessario incrociare essenzialmente varietà fini con varietà fini. Qui i risultati non si fecero attendere: realizzò i migliori risultati incrociando cultivar superiori come Pinots, Riesling, Cabernet e Merlot con ceppi locali quali Nosiola, Teroldego e Marzemino. Proprio da questa attività prese forma quel 107-3, il cosiddetto Rebo, un vitigno identificato dalla serie d’incroci Merlot × Teroldego, che nel 1978 – dunque, dopo la sua morte – sarebbe stato iscritto e riconosciuto all’interno del Catalogo nazionale delle varietà di uva da vino come vitigno destinato alla vinificazione.
Allo studio e alla sperimentazione Rigotti affiancò un’intensa attività didattica e di divulgazione. Importanti, a questo proposito, le conferenze agrarie che tenne, tra il 1930 e il 1949, su incarico della cattedra provinciale di agricoltura, le lezioni di economia domestica e i corsi di agraria che impartì agli insegnanti di scuola elementare e ai carcerati, per conto, rispettivamente, del Provveditorato agli studi di Trento e della Direzione delle carceri giudiziarie del capoluogo. Si ricordano ancora gli insegnamenti in patologia della patata per conto della delegazione fitopatologia di Trento e quelli accelerati in frutticoltura resi all’istituto agrario di San Michele all’Adige. Si segnalano infine le lezioni di agraria che tenne, per dodici anni, alla scuola di economia domestica dell’Opera nazionale di assistenza all’Italia redenta, raccolte in una pubblicazione intitolata Manuale di agraria per la cultura popolare (Trento 1938).
In quanto uomo ‘di scienza e di terra’, il genetista e agronomo trentino collezionò alcune onorificenze. Gli furono conferite tre medaglie d’oro, la prima dalla Provincia di Piacenza per aver brevettato uno strumento capace di misurare la resistenza al distacco dell’acino d’uva dal grappolo; la seconda dall’istituto di San Michele all’Adige nel 1962 in occasione del taglio del nastro del nuovo edificio; la terza avuta dalla Regione Trentino Alto Adige per i risultati raggiunti nel settore viticolo ed enologico.
La sua versatilità lo portò a interessarsi anche di meteorologia: suo un progetto che presentò nel 1951 al fine di istituire un osservatorio presso l’istituto agrario provinciale e stazione sperimentale di San Michele all’Adige.
Coltivò alcuni hobby, in primo luogo quello della pittura; accompagnava i suoi scritti con illustrazioni da lui realizzate. Fece parte dell’Accademia degli Agiati di Rovereto e s’iscrisse all’Accademia italiana della vite e del vino. Nell’ultima fase della vita si dedicò allo studio dell’esperanto e fu attivo nell’Unione diplomati istituto agrario di San Michele, di cui fu socio fondatore. Anche dopo il collocamento a riposo, non rinunciò all’attività di ricerca e di divulgazione: iniziò un lavoro sulla frutticoltura trentina, che però non ebbe modo di completare.
Da un ricordo personale di Ferdinando Tonon, allievo e collaboratore, emerge la figura di un uomo «taciturno, serio, non di rado brusco e burbero […] Era severo, rigoroso, esigente con i suoi collaboratori, ma più ancora con se stesso» (Tonon, 2001, p. 52).
Morì a Trento il 9 settembre 1971 all’età di ottant’anni.
Fonti e Bibl.: L’archivio della biblioteca della Fondazione Mach – che dal 2009 è subentrata all’istituto agrario di San Michele – conserva bozzetti, diagrammi, prospetti statistici e manoscritti, e materiali raccolti per completare il progetto della Carta viticola del Trentino.
Nel 1990 il periodico Esperienze e ricerche (pubblicato a Trento dalla Stazione sperimentale di San Michele all’Adige) gli dedicò un numero speciale: F. Bonatti - U. Malossini - I. Roncador, R. R. Una vita per la sperimentazione in agricoltura. Si vedano inoltre: F. Tonon, R. R.: aspetti e ricordi dell’uomo e dell’opera compiuta al servizio dell’agricoltura trentina, in Economia trentina, L (2001), 1, pp. 52-55; S. Ferrari, R. R., genetista solitario, in Terra trentina, 2014, n. 5, p. 66; U. Malossini, R. R. e Italo Roncador: ricercatori a San Michele all’Adige, in Notiziario dell’Unione ex allievi della Scuola di viticoltura e di enologia di Conegliano, 2014, n. 2, pp. 6-9; A. Ianes, La viticoltura trentina e la sua carta viticola: 1950-1962, San Michele all’Adige 2015, passim.