REALTÀ VIRTUALE
La locuzione realtà virtuale traduce l'espressione corrispondente virtual reality (VR), inventata dall'informatico statunitense J. Lanier per indicare l'insieme dei fenomeni percettivi indotti da un'apparecchiatura cibernetica a più componenti che viene applicata a un soggetto umano.
Alla metà degli anni Ottanta Lanier fondò a Redwood City (California) una piccola società di ricerca informatica denominata VPL Research. Nel frattempo (1982) un altro informatico di New York, Th. Zimmerman, aveva brevettato un guanto-sensore di sua invenzione, il DataGlove, collegabile con un computer, e nel 1984 lo stesso Zimmerman divenne uno dei soci fondatori della VPL Research cedendo a essa il suo brevetto. Nel 1985 S. Fisher, un ricercatore della NASA, l'ente aerospaziale degli USA, addetto al programma Virtual Environment Display System (un sistema di visualizzazione di ambienti virtuali) stipulò con la VPL un contratto per lo sviluppo del DataGlove che, nelle intenzioni del programma NASA, doveva essere combinato assieme a un altro dispositivo messo a punto indipendentemente da Fisher, il cosiddetto display head-mounted (letteral. "visore montato sulla testa") sotto forma di casco visore. Il display head-mounted (HMD) è infatti un visore di tipo televisivo incorporato in un casco dotato di dispositivi di registrazione dell'orientamento per il movimento sincronizzato della testa e degli occhi. Il primo sistema HMD funzionante fu realizzato nel laboratorio d'informatica dell'università dello Utah di Salt Lake City da I. Sutherland, un ricercatore del Massachusetts Institute of Technology, all'inizio del 1970, mentre la prima versione funzionante del DataGlove fu opera di W. Robinett, uno dei soci della VPL, che la consegnò alla NASA nel 1986.
Da questa concisa ma complessa ricostruzione storica risulta evidente che la definizione di r.v. deriva dalla convergenza tra il computer, il display head-mounted e il DataGlove, le cui tecnologie di base sono la miniaturizzazione elettronica, la simulazione computerizzata e la computergrafica. Tale convergenza di ricerche tecnologiche disparate ha permesso l'invenzione di un dispositivo cibernetico di tipo completamente nuovo, non previsto dalle branche scientifiche implicate nella realizzazione dei singoli componenti. Tutta la tecnologia che compone l'hardware della VR è ottimizzata per convertire la descrizione numerica di un oggetto tridimensionale in una descrizione bidimensionale in modo da essere visualizzata su uno schermo grafico. Questa operazione, a livello di software, permette una mappa delle diverse percezioni sensoriali dell'essere umano. Il primo senso analizzato e computerizzato dai dispositivi VR è stato la vista, poiché è questo il principale senso con cui l'uomo esplora l'ambiente circostante.
Le origini della r.v. vanno ricercate nei sistemi di simulazione di volo, inventati dalla NASA fin dagli anni Sessanta, e tuttora impiegati per addestrare i piloti a superare situazioni critiche come quelle dell'occultamento della visuale, dovuto a cielo nuvoloso o notturno. Tali sistemi di simulazione, mediante una serie di schermi televisivi a tutto campo collegati a una struttura mobile che riproduce un abitacolo-carlinga, permettono al pilota alloggiato in esso di guardarsi intorno e di rispondere con comportamenti adeguati alle situazioni di volo simulate sugli schermi. Va però sottolineato che, sebbene i sistemi di simulazione siano gli antesignani della r.v., quest'ultima li ingloba e li supera in una metodologia cognitiva ulteriore. Difatti, nel caso della simulazione tutta la tecnologia resta all'esterno dell'operatore: essa si limita a una modellizzazione per immagini video di una situazione operativa, che circonda l'operatore senza includerlo all'interno della rappresentazione stessa. L'operatore cioè osserva immagini visualizzate su uno schermo bidimensionale e reagisce con un comportamento che egli realizza in uno spazio fisico tridimensionale, esterno allo schermo che sta osservando. Ossia, l'operatore e la rappresentazione sono tra loro in un rapporto esclusivo e non inclusivo.
L'innovazione fondamentale della r.v. è consistita nell'immergere l'operatore all'interno stesso della rappresentazione visuale, rendendolo parte integrante e attiva della medesima situazione immaginata. La r.v. costruisce contemporaneamente le immagini sia degli oggetti sia della persona che è in relazione con essi: operatore e ambiente vengono computerizzati all'unisono e trasferiti entrambi in uno spazio ''altro'' da quello fisico, in uno spazio informatico, in un ''ciberspazio'' (cioè uno spazio cibernetico), secondo l'indovinata definizione dello scrittore di fantascienza W. Gibson. Ma la r.v. non è fantascienza, è scienza, punto di convergenza fra l'alta tecnologia e la matematica più avanzata, e perciò in grado di tradurre in algoritmi la mappatura dei nostri meccanismi percettivi sensoriali. Quanto maggiore è il numero dei sensi che si riesce a mappare ciberneticamente, tanto maggiore risulta la sensazione che il soggetto ha di partecipare all'esperienza rappresentata. Si tratta, dunque, di rendere tridimensionale l'immagine globale dell'esperienza: è questo che permette quell'interazione tra il soggetto e l'oggetto nella quale consiste il processo di formazione dei simboli, costruttore di spazi, cioè di reti di relazioni significative. Per questo con la r.v. è possibile manipolare dalle molecole alle galassie: le une e le altre sono il risultato di sistemi di connessioni possibili, fattuali, cosmogoniche in senso letterale.
Per capire come tutto ciò possa avvenire, è necessario esaminare più analiticamente i dispositivi meccanici messi in opera nella r. virtuale. Il display head-mounted utilizza una sorta di occhiali le cui lenti sono costituite da due microtelevisori aggiustati sulla visione stereoscopica: le immagini proiettate dai due microtelevisori, cioè, non sono perfettamente identiche, così come −nel processo fisiologico della visione − non sono perfettamente identiche le immagini del mondo esterno che si formano sulla retina del nostro occhio destro e del nostro occhio sinistro. Ma le immagini prodotte dai due microtelevisori vengono fatte coincidere e sovrapporre dai calcoli del programma del computer cui sono collegati con cavi elettrici, così come le operazioni del nostro cervello fanno coincidere e sovrapporre le differenti immagini prodotte dalle due retine. Quindi le immagini prodotte dall'HMD sono tridimensionali e i nostri occhi e il nostro cervello le registrano come tali: le immagini dell'HMD non stanno ''davanti'' agli occhi, ma ''dentro'' gli occhi, proprio come se fossero prodotte direttamente dalla nostra retina e dal nostro cervello. Il funzionamento dei meccanismi cibernetici si sostituisce al funzionamento dei meccanismi fisiologici della nostra percezione visiva. In tal modo si attua una simulazione computerizzata non di una situazione esterno/interno, bensì proprio della formazione fisio-cognitiva di una percezione.
In sintesi, possiamo dire che il dispositivo HMD realizza − non soltanto usa − la percezione visiva. Ciò significa che le immagini HMD, che i nostri occhi vedono, provocano la stessa ''sensazione'' delle immagini del mondo reale percepite a occhi nudi. Il che vuol dire che possiamo ''ipostatizzare'', cioè rendere logicamente esistente, una realtà artificiale, quella attuata dai meccanismi cibernetici, e una realtà naturale, quella attuata dai meccanismi fisiologici: dove i primi simulano i secondi, cioè traducono in linguaggio matematico il linguaggio biochimico. Ciò che pertanto si realizza è una traduzione da un codice concreto in un codice astratto, e in entrambi i casi, quello del meccanismo fisiologico e quello del meccanismo cibernetico, l'immagine è la risultante dell'operazione di traduzione da una combinatoria materica a una combinatoria simbolica.
Così come l'HMD compone un'immagine visiva, il DataGlove compone un'immagine tattile. Infatti il DataGlove è un guanto di tessuto doppio (ma la tecnologia del guanto può essere estesa a ricoprire tutto il corpo e diventare così una DataSuite, una "tuta di dati") nella cui intercapedine è collocato un circuito di fibre ottiche. Ogni fibra del DataGlove parte dal polso, corre lungo un dito e ritorna al polso per ripartire lungo un altro dito e così per cinque volte. A un capo della fibra ottica c'è un diodo luminoso, all'altro capo c'è un fototransistor che raccoglie la luce inviata dal diodo e trasforma le variazioni d'intensità luminosa in segnali elettrici che vengono trasmessi al computer. Le nervature del DataGlove sono costruite in modo tale da disperdere una piccola quantità di energia luminosa ogni volta che esse si piegano al flettersi delle dita. Poiché la dispersione è proporzionale al movimento, il loro rapporto fornisce la misurazione cinetica al computer. Allo stesso tempo i movimenti dell'intera mano che compongono un gesto vengono controllati da un indicatore di posizione e di orientamento (messo a punto da una compagnia elettronica statunitense, la Polhemus Navigation Sciences Division) che è lo stesso usato anche per il controllo dei movimenti della testa dell'HMD.
Alla base della realizzazione sia del DataGlove sia dell'HMD c'è un complesso di ricerche che vanno dalle scienze cognitive a quelle della comunicazione, dall'informatica alla psicologia sperimentale, tutte scienze che utilizzano le più avanzate tecniche di rappresentazione e d'interazione. Prima si fa un programma per addestrare il computer a tradurre in rappresentazione grafica alcune formule e calcoli matematici, come il tracciamento di punti, di linee, archi, cerchi, ecc., sfruttando i principi della geometria analitica, cioè rendendo geometrica l'algebra. Poi all'immagine visiva artificiale che risulta da questa operazione − immagine che, s'è detto prima, ingloba tanto il soggetto che l'oggetto situazionale − si abbina un'immagine tattile formata dai dati elettronici inviati dal DataGlove al computer, relativi alla computerizzazione della resistenza e della consistenza dell'oggetto rappresentato. L'immagine visiva e quella tattile vengono combinate in tempo reale così da rendere verosimile la sensazione visuo-tattile di manipolazione soggettiva di un oggetto ''virtuale'' con la propria mano ''virtuale''.
La virtualità è in tal senso una struttura di apparenza, è la concettualizzazione di una situazione, è la creazione simbolica di un ambiente. Creare questa situazione come un insieme integrato di apparenze costituisce il lavoro di progettazione e di realizzazione della virtualità. Un sistema informativo interattivo costruisce il mondo del virtuale dall'interno, ne fa un'esperienza. L'elemento comune della simulazione e della modellizzazione sta nel determinare un modello di un sistema reale sotto forma di un programma per computer.
L'uso di un simulatore e di un modello dipende dall'effetto che si vuole ottenere con la manipolazione dell'oggetto computerizzato, a seconda cioè che si voglia esperirlo dall'interno oppure osservarlo dall'esterno: per es., la simulazione di volo permette di riprodurre l'esperienza di volare su un aeroplano, mentre simulare le condizioni di volo dell'ala di un aeroplano impiegando un modello è un modo per osservare come essa si comporta al variare delle condizioni derivandone informazioni sul modo in cui essa funziona e sul come ottenerne le prestazioni migliori. Allo stesso modo, simulare e modellizzare un sistema cardiovascolare e sottoporlo a test di comportamento fisiologico, significa creare uno strumento per comprendere il modo in cui esso funziona, ossia comprenderne la funzione in quanto tale. Nel primo caso l'operatore osserva dall'esterno il comportamento di un sistema organizzato; nel secondo caso si esplora dall'interno il funzionamento di un sistema nel suo farsi. In un caso lo spazio dell'evento non coincide con lo spazio dell'osservatore; nell'altro caso lo spazio dell'evento è quello stesso dell'osservatore. È questa la differenza fondamentale tra l'immagine filmica proiettata su uno schermo bidimensionale e l'immagine reale o virtuale formata in un ambiente tridimensionale. La tridimensionalità condivisa nei modelli mentali figurati simbolicamente crea il mondo, reale o virtuale che sia.
La differenza tra il mondo reale e il mondo virtuale sta nella diversità del codice di simbolizzazione: esclusivamente linguistico-matematico quello del computer, anche biochimico quello del cervello. L'interazione soggetto/oggetto nel mondo virtuale avviene tra le immagini delle cose e non con le cose; potremmo dire che l'interazione avviene tra le parole, tra i nomi delle cose, cioè tra le codificazioni astratte del soggetto e dell'oggetto. L'interazione soggetto/oggetto nel mondo reale avviene tra le parole e le cose, tra un sistema di codificazione astratto e un sistema di codificazione concreto. Questo avviene perché il computer è fisico ma astratto, ovvero prodotto da una simbolizzazione linguistica, mentre il cervello è fisico, ma concreto, ovvero prodotto da una simbolizzazione biochimica. Da questo punto di vista la r.v. potrebbe diventare un formidabile strumento di conoscenza, proprio perché ci indica il ''come'' del nostro processo cognitivo, cioè rivela dall'interno, e nel suo farsi, il processo della simbolizzazione. La r.v. è un vero e proprio modello di come noi costruiamo le immagini percettive che ci consentono di entrare in contatto con la materia. Così come i nostri sistemi simbolici sono l'interfaccia tra il nostro cervello e il mondo, i programmi computerizzati per la r.v. sono l'interfaccia tra il computer e il nostro processo di simbolizzazione. La complessa cognizione implicita nel concetto di r.v. non vuol essere un'artata ma pur sempre riduttiva analogizzazione dell'uomo alla macchina, ma, al contrario, essa cerca di dispiegare, rendendole esplicite, le molteplici potenzialità dell'essere umano, in modo che ciascuno di noi possa divenirne pienamente consapevole. Una simile consapevolezza faciliterebbe la conoscenza nel suo insieme e nelle sue articolazioni comunicative, artistiche, scientifiche e di vita quotidiana, dal momento che tutto ciò è reso possibile dall'oggettivizzazione delle nostre percezioni sensoriali, attraverso le immagini di sintesi dei nostri cinque sensi.
Oggi infatti è possibile fornire un'immagine computerizzata non soltanto della visione, ma anche del tatto e dell'udito, e non si esclude per il prossimo futuro la possibilità di accedere a una sintetizzazione cibernetica anche del senso del gusto e dell'olfatto. Questa puntualizzazione è necessaria per comprendere in che senso è lecito definire ''reale'' la r.v.: essa è ''realtà'', poiché è vissuta e partecipata nella contemporaneità delle nostre percezioni sensoriali, ed è ''virtuale'' poiché l'interazione comportamentale che la caratterizza non avviene con gli oggetti, bensì con le immagini degli oggetti, a cominciare dall'immagine del nostro proprio corpo. In altre parole la r.v. costituisce una realtà, in quanto è percepibile da tutti i nostri sensi contemporaneamente, ed è virtuale in quanto in essa agiscono non i nostri organi corporei, ma le immagini simboliche di questi. La sinergia di tali immagini simboliche forma l'unitarietà della percezione, che, nel caso della r.v., è un insieme simbolico-astratto e non fisico-concreto. Per questa ragione la r.v. può diventare uno straordinario amplificatore di comunicazione e quindi di conoscenza e di ulteriore umanizzazione, poiché ciò che distingue l'uomo da tutti gli altri animali è unicamente il desiderio di conoscenza. In conclusione, possiamo dire che la r.v. è uno strumento tecnologico usato per creare una più stretta interfaccia tra l'essere umano e le immagini prodotte dai computer, mediante la simulazione dell'intero complesso dei dati sensoriali che costituiscono l'esperienza della realtà ordinaria. Vedi tav. f.t.
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