REALFONZO, Tommaso, detto Masillo
REALFONZO (Realfonso), Tommaso, detto Masillo. – Non si conoscono con certezza gli estremi biografici di questo pittore: secondo Ulisse Prota-Giurleo (1953, pp. 30 s.), egli nacque a Napoli intorno al 1677. Suo padre Giacomo dovette trasferirsi, dopo qualche anno, nella parrocchia di S. Maria Ognibene, dove sono registrate le fedi di battesimo delle figlie Teresa e Caterina, nate nel 1690 e nel 1699 (Napoli, Archivio della parrocchia di S. Maria Ognibene o dei Sette Dolori, Libri dei battesimi, vol. X (1674-98), c. 130v; vol. XI (1699-1712), c. 1v).
Già vedovo di Caterina Semmola, morta nel 1710, Realfonzo sposò il 23 novembre di quell’anno Margherita Capoluongo, che morì a sua volta il 27 maggio 1717 (Libri dei morti, vol. VII (1688-1717), c. 256r), dopo aver dato alla luce Giovanni, Gaetana e Angela (Libri dei battesimi, vol. XI (1699-1712), c. 176v; vol. XII (1713-23), cc. 15v, 41r; per la prima e la terza fede di battesimo cfr. già L. Salazar, Documenti inediti intorno ad artisti napoletani del XVII secolo, in Napoli nobilissima, 1896, vol. 5, fasc. 8, pp. 123-125, (in partic. p. 125). Il 26 dicembre 1717, nell’oratorio della Confraternita dei Bianchi allo Spirito Santo, Tommaso sposò in terze nozze Vittoria Giobbe (Napoli, Archivio della parrocchia di S. Maria Ognibene o dei Sette Dolori, Libri dei matrimoni, vol. VII (1710-22), c. 49v). Dalla loro unione nacquero Anna, Maria e Giacomo (Libri dei battesimi, vol. XII (1713-23), cc. 77r, 88r; vol. XIII (1723-32), c. 11r), quest’ultimo tenuto a battesimo, il 13 dicembre 1723, dal celeberrimo giureconsulto napoletano Domenico Caravita. Il documento coincide con l’ultimo riferimento noto sulla vita del pittore, che di lì a poco dovette trasferirsi in un altro quartiere della città.
Bernardo De Dominici (1742-1745 circa, 2008, p. 1086) lo ricorda, in coda alla Vita di Andrea Belvedere, come «il miglior scolaro che ha fatto abate Andrea», il quale avrebbe provveduto ad «appianare» «con carità ed amore ogni difficoltà» del giovane, spesso giungendone a «ritoccare» le opere. Eppure, dopo il ritorno di Belvedere dalla Spagna, al principio del secolo, sarebbe spettato all’allievo venire in aiuto del maestro, che, «tuttocché impigrito, pure alcuna volta ha dipinto sol perché era spronato dal suo Masillo» (ibid.).
Sulla scorta di De Dominici, la critica ha talvolta riconosciuto «il Realfonso più tipico» in un «ripetitore poco fervido delle opere di Andrea» (Causa, 1972, p. 1054 n. 115), occupato a replicarne la formula di successo ancora nel tardo Vaso figurato di fiori del Museo Correale di Sorrento (inv. n. 2993), sul cui telaio sarebbe stata leggibile un’iscrizione moderna, oggi priva di riscontro, con la firma e la data 1742 (Id., in La natura morta italiana (catal., Napoli-Zurigo-Rotterdam), Milano 1964, p. 62 n. 114).
All’opposto di Causa (1972, p. 1025), che pure era giunto a distinguere le peculiari «impennate arcaizzanti» e «neocaravaggesche» di Masillo dalla «pittura da marciapiede» della scuola belvederiana, la lettura di Ferdinando Bologna (1985) ha fortemente rivalutato la convinzione naturalistica realfonziana, riconoscendovi non già «un curiosissimo révirement finale alla ricerca di purezze antiche» (Causa, 1972, p. 1054 n. 115), quanto il dato più genuino dell’intera proposta del maestro, ovvero l’episodio meridionale più eclatante, in anticipo su Gaspare Traversi e in diretto rapporto con l’attività napoletana di Luis Meléndez, di quel fenomeno di portata europea, dai complessi intrecci storico-culturali, che lo studioso identificava nella cosiddetta «ripresa “naturalistica” del secolo XVIII».
Ai valori caravaggeschi di Realfonzo era d’altronde ancorata la brillante rivalutazione critica di Giovanni Testori (1958), che rese note due notevoli Nature morte, in collezione Frangi a Milano e Longhi a Firenze, firmate e datate rispettivamente 1731 e 1737 (G. Bacarelli Locoratolo, in La Fondazione Roberto Longhi a Firenze, Milano 1980, pp. 306 s. n. 156).
I due Interni di cucina, che a Testori (1958, p. 66) preannunciavano «i deschi magri e desolati del Verga», rivelano, in accordo con il referto di De Dominici, una tastiera assai più varia delle sontuose iconografie belvederiane, anche in forza di una rilettura quanto mai originale dei momenti apicali del naturalismo locale: «per esser più moderno dei pur moderni compagni di genere, a Masillo abbisognò insomma diventar arcaico» (p. 64).
Alla luce di queste scoperte, la fase caravaggesca di Realfonzo si è arricchita di ulteriori ritrovamenti: il Tavolo di cucina già nella galleria Lorenzelli a Bergamo, firmato e datato 1740, riedizione, con varianti, dell’esemplare Frangi (F. Bologna, Natura in posa. Aspetti dell’antica natura morta italiana (catal., Bergamo), Milano 1968, tav. 56; Bologna, 1985, pp. 126 s., fig. 27); la Natura morta con cioccolatiera, dolci e vaso di fiori, firmata, già presso Algranti a Milano (Spinosa, 1986, pp. 166, tav. 79, 172 n. 322); le due tele della collezione Maglione-Piromallo a Napoli, parte di una serie di cinque Nature morte, di cui tre siglate e una datata 1735 (Bologna, 1985, p. 341, figg. 19-20; R. Middione, in Ritorno al barocco. Da Caravaggio a Vanvitelli (catal.), I, Napoli 2009, pp. 436 s., n. 1.259); e infine, la Dispensa già presso Mortimer Brandt a New York, ritenuta il saggio più avanzato nel catalogo del maestro (Bologna, 1985, pp. 342 s., fig. 29), ma in realtà assai contigua alla Natura morta, firmata e datata 1721, già presso Bacarelli e Cei a Firenze (M. Gregori, Dipinti e sculture. Biennale Internazionale dell’Antiquariato, Firenze, in Arte illustrata, II (1969), pp. 110-116, in partic. pp. 114 s., fig. 14).
Del resto, anche le prove giovanili di Realfonzo rivelano una complessità di riferimenti non riducibile al solo ascendente belvederiano. Le tre Nature morte, siglate, del Museo Duca di Martina a Napoli (Spinosa, 1986, pp. 171 n. 316, 388 s., figg. 386-387 e 390), due delle quali in realtà nei depositi del Museo nazionale di Capodimonte fin dal 1970 (inv. nn. DM 1299 e 1307), il pendant reso noto da Luigi Salerno (1984, p. 247, figg. 65.2-65.3) e le due composizioni di Frutta, siglate, di collezione privata (Bologna, 1985, pp. 339 s., figg. 17-18), sembrano rievocare, oltre ai motivi più tipici dei Recco e dei Ruoppolo, finanche la grammatica essenziale di un Luca Forte, cui rimanda, ad unguem, il brano ricorrente delle mele in primo piano, ‘sigla’ riscontrabile anche nel Vaso figurato di fiori e frutta del Museo Correale (inv. n. 2991), assai poco noto a onta della firma e della data 1740 (?) in alto a destra.
La fama di Masillo quale «pittore universale» sarebbe stata all’origine del suo successo «in moltissime case di nobilissimi signori e di altri cittadini dilettanti» (De Dominici, 1742-1745 circa, 2008, p. 1086). Quest’abilità nel padroneggiare le diverse specialità del genere pare del resto testimoniata anche dai dodici tondini con Frutta e cacciagione nei depositi di Capodimonte, attribuitigli di recente e che potrebbero effettivamente spettargli a dispetto della fattura un poco ‘secca’ (Museo nazionale di Capodimonte. Dipinti del XVIII secolo. La scuola napoletana. Le collezioni borboniche e postunitarie, Napoli 2010, pp. 134 s. nn. a-o; ma dalla serie andrebbe espunta la Natura morta con fiori (inv. n. Q 892) a p. 134 n. e).
Gli esiti maggiori del Realfonzo fiorante – il più vicino agli insegnamenti di Belvedere – sono invece da identificare nella Natura morta di fiori e frutta pubblicata da Salerno (1984, p. 246, n. 65.1); nella composizione, siglata, con Ceramiche, fiori e frutta di raccolta napoletana (Spinosa, 1986, pp. 171 s. n. 317, 389, fig. 389); nei Fiori in cassetta, siglati, in collezione privata (M. Gregori, in La natura morta italiana: da Caravaggio al Settecento (catal., Firenze), a cura di M. Gregori, Milano 2003, pp. 442 s.); e specialmente nei due Vasi di fiori à pendant, di cui uno siglato, emersi di recente – già parte di una serie di quattro – presso Artcurial a Parigi (vendita 2236 del 7 novembre 2012; Tableaux anciens et du XIXe siècle, Paris 2012, pp. 26-28, lotto 10, figg. 1a-1b).
In tale contesto, va per la prima volta considerato che nel catalogo della vendita della collezione di Guillaume-Marie D’Arthenay, andata all’incanto a Parigi nel 1766, compaiono, assieme ai tanti altri quadri napoletani che lo spregiudicato segretario d’ambasciata francese aveva avuto occasione di rastrellare sul mercato partenopeo alla metà del Settecento, anche «deux tableaux peints sur toile par Tomaso Realfonso, et retouchés par le fameux André Belvedere, représentans des fruits, des fleuves, des vases et des oiseaux, de vingt-quatre pouces de haut sur trente-trois de large» (The Getty Provenance Index Databases, Sales Catalogs, F-A166, n. 129). L’inventario della vendita parigina, compilato dal mercante Pierre Lebrun alla morte del collezionista, finisce per rivelarsi una riprova inattesa dell’intuizione critica di Bernardo De Dominici, per il quale, come detto, Belvedere avrebbe spesso «ritoccato» le composizioni dell’allievo; eventualità che si sarebbe tentati di non escludere anche per lo splendido pendant già Artcurial.
Fonti e Bibl.: B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani (1742-1745 circa), a cura di F. Sricchia Santoro - A. Zezza, III.2, Napoli 2008, pp. 1073-1087 (in partic. pp. 1086 s.; note di commento a cura di E. Fumagalli); U. Prota-Giurleo, Pittori napoletani del Seicento, Napoli 1953, pp. 30 s.; G. Testori, Nature morte di T. R., in Paragone, IX (1958), 97, pp. 63-67; R. Causa, La natura morta a Napoli nel Sei e nel Settecento, in Storia di Napoli, V, 2, Napoli 1972, pp. 995-1055 (in partic. pp. 1025, 1054 n. 115); J. Urrea Fernández, La pintura italiana del siglo XVIII en España, Valladolid 1977, pp. 354-356; L. Salerno, La natura morta italiana. 1560-1805, Roma 1984, pp. 246 s., 435; F. Bologna, Ancora di Gaspare Traversi nell’illuminismo e gli scambi artistici fra Napoli e la Spagna alla ripresa «naturalistica» del XVIII secolo, in I Borbone di Napoli e i Borbone di Spagna. Un bilancio storiografico. Atti del Convegno internazionale di studi... 1981, a cura di M. Di Pinto, II, Napoli 1985, pp. 273-349 (in partic. pp. 337-349, figg. 17-29); N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento. Dal Barocco al Rococò, Napoli 1986, pp. 67-69, 86 nn. 120-129, 96, 166, tav. 79, 171 s. nn. 316-324, 388-392, figg. 386-395; R. Middione, Tommaso Realfonso, in La natura morta in Italia, a cura di F. Porzio, II, Milano 1989, pp. 954-956 n. 32.