Rea
Antichissima divinità, detta anche Cibele; era figlia di Urano (il Cielo) e Gea (la Terra), moglie di Saturno (Crono, il Tempo) e madre di Vesta, Cerere, Giunone, Plutone, Nettuno e Giove.
Alla morte di Urano, essendo assente il figlio maggiore Titano, successe Saturno, il figlio minore. Ritornato Titano e pretendendo il regno, Saturno si oppose. Titano, per evitare la contesa col fratello, acconsentì che Saturno mantenesse il regno, a condizione però che uccidesse tutti i figli maschi che gli nascessero, per impedire il compimento di un oracolo che lo voleva detronizzato da uno dei suoi figli. Saturno riuscì a divorare tutti i figli maschi tranne Giove, salvato dalla madre con uno stratagemma. Quando era sul punto di darlo alla luce, R. riparò sul monte Ida (oggi Psiloriti), in Creta, e, allorché il figlio nacque, presentò a Saturno una pietra avvolta in fasce, che egli divorò supponendo che si trattasse del figlio. Per evitare che Saturno, avvedutosi dell'inganno, riuscisse a rintracciarlo, R. affidò Giove ai Cureti o Coribanti (cfr. Ovid. Fast. IV 210 e anche Lucrezio Rer. nat. II 600-643), suoi sacerdoti, che coprivano le grida e i vagiti del bambino con le loro danze e con lo strepito dei cembali e dei grandi scudi rituali con cui le accompagnavano. Sull'Ida Giove fu allevato dalle ninfe Adraste e Ida, mentre la capra Amaltea gli offriva il suo latte e le api gl'irroravano le labbra di miele. Così egli riuscì a sfuggire al padre e, in adempimento dell'oracolo di Temide, a detronizzarlo.
Il mito è ripreso da D. in If XIV 94-102 In mezzo mar siede un paese guasto... / che s'appella Creta, / sotto 'l cui rege fu già 'l mondo casto. / Una montagna v'è che già fu lieta / d'acqua e di fronde, che si chiamò Ida; / or è diserta come cosa vieta. / Rëa la scelse già per cuna fida / del suo figliuolo, e per celarlo meglio, / quando piangea, vi facea far le grida, e la sua descrizione costituisce il maestoso sfondo su cui si staglia il gran veglio di Creta. Il passo dantesco è, a tratti, ricalcato su versi virgiliani. Per il v. 94 cfr. Aen. III 104-105 " Creta Iovis magni medio iacet insula ponto, / mons Idaeus ubi et gentis cunabula nostrae ", e il commento di Servio, ad loc., che riferisce i dettagli del mito.
I riscontri con Virgilio non escludono però che D. abbia tenuto presente anche Ovidio Fast. IV 197-214, dove il mito è riportato con maggiori dettagli, alcuni dei quali non presenti in Virgilio.