BERNARDO, re d'Italia
Nacque intorno al 797, unico figlio maschio, forse naturale, di Pipino, re d'Italia. Dopo la morte del padre, avvenuta l'8 luglio 810, il regno veniva affidato provvisoriamente al governo di alcuni messi imperiali, il più noto dei quali è l'abate Adalardo di Corbie, cugino di Carlo Magno. Si preparava così il terreno alla venuta del figlio di Pipino, che Carlo Magno designò come re nella dieta di Aquisgrana dell'812.
Il giovanissimo B. (non aveva allora compiuto i quindici anni) era stato educato nel monastero di Fulda, dove insegnava, in quei tempi, Rabano Mauro; egli entrò in Italia nell'autunno dell'812, accompagnato da un fratello dell'abate Adalardo, il conte Wala, il quale aveva avuto l'incarico di assisterlo nel governo e, specialmente, nella direzione del settore militare, dato che incombeva allora sulla penisola la minaccia degli Arabi di Africa e di Spagna. Nella dieta di Aquisgrana del settembre 813 (nella quale Carlo Magno proclamò davanti all'assemblea dei Franchi Ludovico di Aquitania suo correggente e suo successore all'Impero) B., che pure, come è stato dimostrato dal Mühlbacher, era divenuto effettivamente re nella primavera 813, fu solennemente riconosciuto dai grandi dell'Impero quale rex Langobardorum.
Venendo in Italia, B. ne aveva assunto il governo allo stesso titolo con cui l'aveva retta suo padre, rimanendo il rapporto giuridico fra il Regno d'Italia e la monarchia franca quello che era sempre stato. L'Italia costituiva sì un regno a parte, con una sua corte, una sua assemblea e con leggi separate; ma come il re era legato alla corona franca da un nesso particolare, dinastico, così il Regno rimaneva legato all'Impero in un rapporto di netta subordinazione. Il sovrano, privo di una propria iniziativa e di propri criteri di governo, dipendente in tutto dall'imperatore, altro non era di fatto che un suo semplice governatore. Benché non si possa dare alla cosa un rilievo particolare - data l'enorme dispersione delle fonti diplomatiche medioevali -, è interessante notare, col Romano, come nessun atto legislativo di B. e nessun diploma emanato dalla sua cancelleria siano pervenuti sino a noi: i diplomi d'Italia emanano tutti dalla cancelleria imperiale. Tale situazione non mutò con la morte di Carlo Magno (28 genn. 814) e con l'avvento al trono di Ludovico I.
Alla prima assemblea del suo regno, quella in cui egli assunse ufficialmente la successione all'Impero (Aquisgrana, luglio 814), Ludovico I volle che fosse presente anche B. e che questi gli prestasse giuramento di fedeltà; al termine della dieta il giovine re se ne tornava in Italia con ricchi donativi, segno tangibile della benevolenza imperiale. Ma l'anno successivo B. si doveva presentare a far nuovamente atto di sottomissione allo zio, nella assemblea di Paderborn; prestarono giuramento di fedeltà anche Lotario e Pipino, figli di Ludovico, ai quali erano stati affidati, senza titolo regale, i governi, rispettivamente, della Baviera e dell'Aquitania. Poco dopo, mentre era ancora al di là delle Alpi, a Francoforte, B. ricevette l'incarico di recarsi a Roma insieme con un Geroldo, conte della Marca Orientale, per informarsi sui gravi disordini che vi erano scoppiati nei primi mesi di quello stesso anno 815, e di riferirne a Ludovico.
A Roma la rivolta del 799, repressa con la forza da Carlo Magno, aveva lasciato tra le famiglie più potenti della città uno strascico di risentimenti che, tenuti in freno finché era vissuto il grande imperatore, esplosero, poco dopo la sua morte, in una congiura contro l'allora papa Leone III; scoperto il complotto, il pontefice aveva voluto avocare a sé il giudizio dei compromessi, e le condanne che ne seguirono furono particolarmente dure. La notizia della congiura e della sua repressione, giunta a Paderborn, mise in allarme Ludovico I, il quale deve essere stato spinto a credere che il pontefice volesse alterare le relazioni che erano fino allora intercorse fra la Sede apostolica e il re franco. L'azione del papa era infatti una patente violazione dei diritti di giurisdizione che Carlo Magno si era espressamente riservato e che aveva più volte esercitato, come patrizio ed imperatore, su Roma e sui territori dipendenti dalla S. Sede.
Poco sappiamo tuttavia di questa missione di B. a Roma e dell'andamento delle trattative che egli certamente condusse con il pontefice; le poche notizie al riguardo (il cosiddetto Eginardo nei suoi Annales) ci dicono che il giovine re, appena giunto a Roma, cadde ammalato e mandò all'imperatore una relazione di quanto aveva saputo, tramite il conte Geroldo. Una ambasceria, composta da Giovanni di Silva Candida, dal nomenclator Teodoro e dal duca Sergio, portava a Ludovico la versione pontificia dell'accaduto e le giustificazioni del papa, le quali dovettero soddisfare pienamente Ludovico se non dette seguito alla cosa.
A Roma però la situazione era ben lungi dall'essersi normalizzata. Caduto gravemente ammalato il pontefice, scoppiarono in Campania gravi disordini, repressi dal duca Winigis di Spoleto prontamente intervenuto. Morto Leone III (11 giugno 816), gli veniva eletto immediatamente un successore nella persona di Stefano IV, ordinato senza attendere la conferma imperiale. Il nuovo pontefice, però, uomo di spirito conciliante, volle che i Romani prestassero giuramento di fedeltà all'imperatore, ed a quest'ultimo mandò ambasciatori per informarlo dell'elezione e per annunziargli una sua prossima venuta in Francia.
A metà agosto Stefano IV partì da Roma; in alta Italia si incontrò con B., che gli era venuto incontro da Aquisgrana con l'incarico di scortarlo sino a Reims dove l'attendeva l'imperatore. Qui il papa incoronò solennemente Ludovico ed Ermengarda, rientrando in Italia nell'ottobre dell'816.
Un fatto, avvenuto poco dopo, ruppe i buoni rapporti che fino allora erano corsi fra Ludovico e B., e spinse il giovane principe ad assumere un atteggiamento che doveva costargli la vita ed il trono: la sanzione dell'Ordinatio Imperii e l'incoronazione di Lotario nella grande assemblea di Aquisgrana del luglio 817.
In base all'Ordinatio Imperii, alla morte di Ludovico I la sovranità su tutti i paesi dell'Impero sarebbe dovuta passare al suo primogenito Lotario; gli altri due figli di Ludovico I, Ludovico e Pipino, avrebbero assunto, col titolo di re, e in posizione di subordinazione nei confronti del fratello maggiore, l'uno la Baviera e la Marca Orientale, l'altro l'Aquitania, la Guascogna, la Marca di Tolosa ed alcune contee della Settimania e della Borgogna.
B. non veniva nemmeno nominato nella Costituzione; solo nel XVII capitolo l'imperatore ricordava il Regno d'Italia dicendo: "Invero il Regno d'Italia sia in ogni cosa soggetto al suddetto figlio nostro [cioè Lotario] - posto che Dio voglia che egli sia nostro successore - come lo fu anche al Padre nostro e come lo è, a Dio piacendo, a noi nel tempo presente". Parole oscure, come osserva il Romano, le quali possono sottintendere tanto che lo stato delle cose sarebbe dovuto rimanere immutato, quanto che Lotario e Ludovico I avrebbero avuto la facoltà di mutarlo; e l'aver taciuto il nome di B. farebbe inclinare per quest'ultima ipotesi.
Se il giovane principe si era rassegnato alla condizione di dipendente in cui era rimasto sin'allora, considerandola come provvisoria e destinata a mutarsi con la morte di Ludovico, con la sanzione dell'Ordinatio Imperii dovette perdere ogni speranza; su questo sfondo si colloca la sua ribellione, la quale, anche se le fonti non sono esplicite, mirava probabilmente alla costituzione di un regno indipendente in Italia; sembra da escludere ogni mira al trono imperiale, come alcuni insinuarono, forse per giustificare la violenza della reazione di Ludovico.
A sostenere e forse a incitare B. doveva esservi quell'aristocrazia di corte che si era formata intorno al re d'Italia, e che dall'esistenza del regno traeva lustro per sé e larghezza di poteri; si ricordano un conte (o duca) Egideo, suo consigliere, il ciambellano Reginardo e il conte Raginerio fra i laici; il vescovo Vofoldo di Cremona e l'arcivescovo Anselmo di Milano tra gli ecclesiastici. Non sembra improbabile (e le fonti vi accennano) che il movimento trovasse aderenti anche al di là delle Alpi; sembra da escludere però che fra questi ultimi vi fosse anche il vescovo Teodulfo d'Orléans.
La notizia di questa agitazione giunse tra l'ottobre e il novembre 817, grazie al vescovo Rotaldo di Verona ed al conte di Brescia Suppone, a Ludovico, che si trovava allora in Aquisgrana. I due personaggi riferirono all'imperatore che B. aveva occupato i transiti delle Alpi ed aveva dalla sua tutta l'Italia, città comprese. La notizia era inesatta, dato che la nobiltà era divisa e le città prive di un vero peso politico; lo stesso autore degli Annales attribuiti ad Eginardo dice, a proposito dell'informazione, "quod ex parte verum, ex parte falsum erat". Essa spinse tuttavia Ludovico I a proclamare il bando di guerra in tutti i paesi dell'Impero dai suoi messi e ad accorrere a Châlons per riunirvi l'esercito "ad quos motus comprimendos". Ma la guerra fu risolta prima che si venisse a battaglia: B., atterrito dai preparativi che si compivano in Francia e dalle continue diserzioni che avvenivano tra le file dei suoi, preferì abbandonare l'impresa ed affidarsi alla clemenza dell'imperatore, consegnandosi a lui insieme con i grandi che lo avevano seguito. Giunto a Châlons, venne arrestato e tradotto in Aquisgrana, dove fu processato e condannato a morte nell'assemblea tenutasi nella Pasqua dell'818. La stessa condanna ebbero gli altri laici coinvolti nel tentativo di ribellione; agli ecclesiastici Anselmo di Milano e Vofoldo di Verona una sinodo di vescovi comminò la deposizione e la clausura monastica. Ludovico I tuttavia commutò la pena capitale in quella dell'accecamento sia a B. sia agli altri suoi fedeli; ma l'operazione fu condotta in maniera così barbara che il giovine moriva tre giorni dopo fra atroci sofferenze (17 apr. 818). Il suo corpo venne tumulato in Aquisgrana, donde una pietosa tradizione volle che più tardi fosse traslato a Milano e sepolto nella basilica ambrosiana.
Il ricordo della fine di B. in Italia assunse un valore particolare nell'opera di Andrea di Bergamo, in cui veniva presentato il giovine re come chiamato in Francia da false promesse, imprigionato e fatto accecare dalla regina Ermengarda. L'interpretazione del cronista in chiave di nazionalismo longobardo, per cui la figura di B. avrebbe un valore quasi leggendario, è tuttavia da evitare, tenendo presente soprattutto che Andrea non lesinò le lodi proprio a Ludovico il Pio, responsabile della feroce condanna. Che B. fosse stato vittima di una ingiustizia fu opinione diffusa anche in Francia, dove la vicenda veniva descritta poco dopo nell'immaginoso racconto della Visione di una poverella, ed in Germania, dove fu raccolta nella cronaca di Reginone ed in quelle di posteriori cronisti. Lo stesso Ludovico dette credito a questa opinione: egli pianse a lungo, come narra il suo biografo, la morte di B., per cui fece dapprima rimettere in libertà i suoi fautori - tuttora esuli o prigionieri - e fece restituire loro i beni confiscati (821); poi, nell'assenblea di Attigny (822), fece pubblica penitenza del suo peccato ordinando larghe elemosine a pro' dell'anima di B.; infine confessò d'aver permesso la sua morte quando avrebbe dovuto ordinarne la liberazione (833, a St.-Médard).
Che B., assumendo il titolo di re, si facesse incoronare a Milano, è notizia che non trova riscontro nelle fonti contemporanee; fu diffusa più tardi, quando si volle far credere il rito dell'incoronazione in Italia più antico di quanto non fosse.
Fonti e Bibl.: L'indicazione completa delle fonti in E. Mühlbacher, Die Regesten des Kaiserreichs unter den Karolingern (751-918), in J. F. Böhmer, Regesta Imperii, I, Innsbruck 1899, pp. 231 ss.; B. Simson, Jahrbücher des Frankischen Reichs unter Ludwig dem Frommen, I, Leipzig 1874, passim; B. Malfatti, Bernardo re d'Italia, Firenze 1876; E. Mühlbacher, Zur Geschichte König Bernhards von Italien, in Mitteilungen des Instituts für Österreich. Geschichtsforschung, II, Innsbruck 1881, pp. 296 ss.; L. Halphen, La pénitence de Louis le Pieux à St. Médard de Soissons, in Mélanges d'hist. du Moyen Age, III, Paris 1904; L. M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, III, Gotha 1908, passim; G. Romano-A. Solmi, Le dominazioni barbariche in Italia (395-888), Milano 1940, pp. 527 ss., 542 ss.; L. Halphen, Charlemagne et l'empire carolingien, Paris 1947, pp. 242 ss.; E. Besta, Milano sotto gli imperatori carolingi, in Storia di Milano, II, Milano 1954, pp. 356 ss.; R. Folz, Le couronnement impérial de Charlemagne, s. l., 1964, pp. 213 ss.