Virtuale, rappresentazione
Il termine virtuale, che nella sua accezione comune indica qualcosa che esiste solo come possibilità e quindi non ancora in atto, in ambito tecnico-scientifico designa una particolare simulazione della realtà, sia essa esistente oppure potenziale, ovvero quella ottenuta mediante l'utilizzo di strumenti elettronici. La rappresentazione, cioè quell'attività umana finalizzata a riprodurre tramite figure, segni, simboli un aspetto della realtà, definisce in ambito architettonico quel complesso di disegni e modelli realizzati per determinare e controllare la forma, le dimensioni e le caratteristiche di un'opera da realizzare (progettazione) o realizzata. La locuzione rappresentazione virtuale è entrata nell'uso comune quando la cosiddetta rivoluzione informatica, ossia l'elaborazione automatica dei dati, ha investito i procedimenti di costruzione delle immagini ed è oggi utilizzata per definire la riproduzione di un aspetto della realtà - oggetti, edifici, ambienti - realizzata mediante la creazione di un modello informatico tridimensionale, che esiste soltanto in forma digitale nella memoria di un computer, e visualizzata sullo schermo in forma bidimensionale.
La r. v. si definisce, quindi, per distinzione dalla rappresentazione grafica tradizionale, vale a dire da quel metodo proprio del disegno, e soprattutto del disegno tecnico e progettuale, utilizzato per raffigurare oggetti oppure eventi a tre dimensioni su un supporto bidimensionale, mediante un insieme di segni, linee, punti, che riproducono in modo iconico gli aspetti formali e, talora, anche dimensionali dell'oggetto da rappresentare. La rappresentazione tradizionale, che pure presenta un certo grado di virtualità, in quanto sostituisce un oggetto reale con una sua immagine, costruisce infatti un modello analogico della realtà definito per mezzo di una serie finita di rappresentazioni grafiche piane ed è caratterizzata da un elevato livello di astrazione e da un modesto grado di somiglianza. La r. v., invece, costruisce un modello analitico tridimensionale dell'oggetto che può essere visualizzato sullo schermo di un computer in una serie teoricamente infinita di immagini, alcune delle quali caratterizzate da un grado molto elevato di somiglianza con la realtà raffigurata. Inoltre, la possibilità di variare, liberamente e in tempo reale, il punto di vista da cui l'oggetto è osservato (proiettato) consente, grazie a specifici programmi di animazione, di visualizzare un'immagine dinamica (movimento continuo) immersa in uno spazio virtuale liberamente esplorabile dall'osservatore, il quale ha così la sensazione di trovarsi di fronte all'oggetto reale e non a una sua rappresentazione.
Per queste ragioni la r. v. trova un sempre maggiore impiego nella progettazione, attività propria di settori quali l'architettura, l'urbanistica, l'ingegneria e il disegno industriale, dove si dimostra insostituibile nella comunicazione esaustiva e dettagliata delle caratteristiche del progetto.
I metodi della rappresentazione
Per chiarire le differenze e i punti di contatto tra r. v. e rappresentazione grafica tradizionale, espressioni largamente utilizzate in ambiti nei quali sono prevalenti le operazioni di analisi di realtà complesse e di elaborazione progettuale, è utile ripercorrere in estrema sintesi la storia di quest'ultima e richiamare le operazioni grafiche e i principi teorici su cui si fonda.
Fino alla fine del Seicento, i disegni mediante i quali un oggetto tridimensionale veniva rappresentato nelle due sole dimensioni del piano del disegno non erano caratterizzati da una rigorosa correlazione tra forma dell'oggetto e sua rappresentazione bidimensionale. È solo a partire dalla seconda metà del Settecento che, grazie all'impulso impresso agli studi matematici e geometrici dai seguaci dall'opera di R. Descartes, viene codificata una nuova disciplina, cioè la geometria proiettiva, in grado di garantire questa correlazione trasformando così un metodo empirico di rappresentazione in una scienza.
La geometria proiettiva si fonda su due operazioni fondamentali: la proiezione, ossia la costruzione di un raggio proiettante che passa per il centro di proiezione (coincidente con il punto dal quale si osserva l'oggetto o punto di vista) e per un punto dell'oggetto da rappresentare e la sezione, cioè l'intersezione del raggio proiettante con il piano su cui si forma la rappresentazione; queste operazioni consentono di tracciare su un piano di rappresentazione (quadro) un'immagine (disegno) dell'oggetto posto nello spazio che ne conserva i rapporti formali e dimensionali. In altre parole, tra l'oggetto e la sua rappresentazione si stabilisce una correlazione biunivoca, per cui dalla rappresentazione si può risalire all'oggetto (o addirittura costruirlo, ed è ciò che accade quando da un disegno di progetto si passa alla realizzazione dell'opera) e viceversa (e in questo caso siamo nel campo del disegno di rilievo).
A partire dalle operazioni di proiezione e sezione, sono stati sviluppati e codificati diversi procedimenti di costruzione di grafici bidimensionali rigorosi e oggettivi di un solido posto nello spazio. Questi metodi di rappresentazione si differenziano innanzitutto per la diversa posizione del centro di proiezione o punto di vista rispetto al piano di proiezione o quadro - che può essere a distanza finita (centro proprio) o infinita (centro improprio) - e, nel caso di centro improprio, per il numero dei piani di proiezione e per la loro posizione rispetto alla direzione delle rette proiettanti.
I principali metodi di rappresentazione sono: la prospettiva, la doppia proiezione ortogonale, l'assonometria e il metodo delle proiezioni quotate. Ognuno di essi dà origine a rappresentazioni con caratteristiche diverse; in particolare, i metodi che usano il centro di proiezione a distanza finita (prospettiva) raffigurano l'oggetto in modo molto simile a come esso è colto dall'occhio umano e pertanto sono usati per offrirne una immagine realistica, mentre i metodi che impiegano il centro all'infinito (proiezione ortogonale, assonometria) forniscono disegni più astratti, ma con il grande vantaggio della misurabilità, dal momento che le rette e i punti non risultano alterati nel disegno, e sono utilizzati prevalentemente a fini tecnici e progettuali.
Nascita e sviluppo dei sistemi CAD
A partire dagli anni Settanta del 20° sec., l'informatica, che dai suoi esordi aveva rapidamente conquistato nuovi spazi divenendo un ausilio imprescindibile in numerosi settori dell'attività umana, iniziava a trovare applicazione nel campo della progettazione architettonica e ingegneristica dove la rappresentazione gioca un ruolo fondamentale. In realtà la storia dei programmi (software) che consentono di produrre, con opportuni algoritmi, raffigurazioni di oggetti tridimensionali visualizzabili sul piano dello schermo e immagazzinabili nella memoria del computer aveva avuto inizio almeno un decennio prima. È il 1963, infatti, a segnare convenzionalmente la data di nascita del CAD (Computer Aided Design) - come da allora sono indicati i programmi dedicati alla progettazione - e della computer grafica interattiva perché in quell'anno si sono registrati due eventi fondamentali: S. Coons ha pubblicato la prima descrizione, seppure ancora solo in chiave teorica, di un sistema CAD (An outline of the requirements for a computer aided design system, 1963) e I. Sutherland ha sviluppato, nella sua tesi di dottorato (PhD) presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Boston, il primo prototipo di sistema grafico interattivo, denominato Sketchpad. Pensato per un progettista al lavoro di fronte allo schermo di un computer e con in mano una penna ottica per operare su strutture dati di tipo grafico, Sketchpad già possedeva quasi tutti gli elementi chiave di un sistema di grafica interattivo. Il disegno era utilizzato come un nuovo medium di comunicazione con il computer: permetteva l'input, restituiva l'output e supportava programmi computazionali in grado di interpretare l'informazione (disegnata direttamente sul computer). Il sistema rendeva semplice la realizzazione di disegni ripetitivi e accurati e permetteva di modificare i disegni precedentemente elaborati, aiutando così a comprendere processi come il movimento di elementi articolati, difficilmente descrivibile con le figure. Infine comprendeva interfacce, oggi standard, come ldi un monitor, di una penna luminosa e di un pannello con i tasti funzione.
Contemporaneamente, soprattutto nell'ambito della ricerca militare statunitense, furono condotti altri studi e realizzati altri prototipi, ma un impulso alla ricerca si registrò nella seconda metà degli anni Sessanta, quando del problema della costruzione di geometrie con l'ausilio del computer cominciarono a interessarsi le industrie automobilistiche e aeronautiche. Le forme sempre più sofisticate e più complesse suggerite dagli studi sull'aerodinamica, che le tecniche di rappresentazione tradizionali non riuscivano più a gestire efficacemente, rendevano infatti urgente la messa a punto di nuovi strumenti di progettazione. Per risolvere il problema della rappresentazione di superfici complesse si cominciarono a studiare sistemi per approssimarle utilizzando elementi della geometria tradizionale, di più facile rappresentazione. Una delle prime soluzioni escogitate consisteva nell'avvolgere la superficie da rappresentare con una rete costituita da maglie triangolari (mesh); utilizzando triangoli anche molto piccoli e variando la lunghezza dei loro lati si riusciva, infatti, a costruire una maglia capace di adattarsi alle forme libere e quindi a ottenere una buona approssimazione della superficie da rappresentare. Un'altra soluzione prevedeva l'uso di una rete composta da maglie quadrangolari con i bordi curvi (patch) che si adattava meglio in particolare alle superfici curve.
Ma un decisivo passo avanti si registrava alla fine del decennio, quando due matematici francesi che lavoravano per l'industria automobilistica, P. Bézier (alla Renault) e P. de Casteljau (alla Citroën), misero a punto, indipendentemente l'uno dall'altro, uno schema per rappresentare nello spazio curve e superfici di forma libera (free-form), basato su funzioni polinomiali e dotato di una tecnica di gestione delle forme di tipo geometrico e non analitico.
Il loro scopo era quello di trasferire le istruzioni per la costruzione delle curve dinamiche di un certo prototipo direttamente alle presse, per la sua produzione. Opportunamente perfezionato, questo schema diede luogo a uno standard usato per la generazione di superfici free-form in computer grafica interattiva, noto con il nome di curve/superfici di Bézier. Le curve di Bézier hanno tuttavia delle caratteristiche che ne restringono l'uso in alcuni ambiti: in particolare, non sono in grado di rappresentare in maniera analiticamente precisa le coniche, potendole solamente approssimare. Cercando di superare questi vincoli strutturali, i ricercatori che operavano negli Stati Uniti, e che avevano in Coons il loro punto di riferimento, svilupparono delle evoluzioni nei polinomi utilizzati che portarono a formulare la definizione, verso la metà degli anni Settanta, di curve e di superfici NURBS (Non Uniform Rational Boolean Splines),vale a dire di polinomi in forma parametrica con i quali è possibile descrivere e anche rappresentare superfici di qualsiasi forma, tanto le superfici canoniche caratteristiche della geometria classica, quanto le free-forms.
Inoltre all'inizio del decennio erano stati sviluppati e messi a punto i primi programmi CAD, sempre nei centri di ricerca delle grandi case automobilistiche, che tuttavia ne custodivano gelosamente la proprietà in quanto elementi chiave per la concorrenzialità dell'azienda sul mercato. Il sistema Unisurf messo a punto alla Renault dallo stesso Bézier o il PDGS (Product Design Graphics System) della Ford, solo per ricordare i più importanti, sono stati pietre miliari nel processo di sviluppo dei programmi dedicati alla progettazione e punto di partenza per l'elaborazione dei sistemi commerciali. Questi ultimi hanno fatto la loro comparsa sul mercato negli anni Settanta ma è stato necessario attendere la seconda metà degli anni Ottanta perché conoscessero un forte sviluppo, dovuto al rapido diffondersi dei personal computer, divenuti economicamente accessibili non solo alla grande industria ma anche alle pubbliche amministrazioni e agli studi di progettazione, e poi delle workstations.
Le prime workstations capaci di supportare grafica interattiva e sistemi di realtà virtuale risalgono ai primi sistemi creati nel 1984 dalla Silicon Graphics. Questi sistemi si qualificavano per una serie di proprietà che sono così riassumibili: visualizzazione real time di scene 3D mediante immagini pseudo-realistiche; possibilità di specificare oggetti e comandi con dispositivi di input tattili 2D, 3D e nD (che controllano 3 oppure più gradi di libertà) dotati di feedback di forza per il point-and-click; possibilità di controllo sull'aspetto WYSIWYG (What You See Is What You Get); controllo dell'applicazione multi-tasking, computazione di rete (client/server) e window management. Su questo schema sono impostati anche gli attuali sistemi di realtà virtuale che, grazie a potenti schede grafiche peraltro a basso costo, stanno divenendo sempre più di uso comune.
Dalle prime rappresentazioni virtuali ai modellatori
I principi e le operazioni che sono alla base dei primi CAD sono in realtà gli stessi della geometria proiettiva, vale a dire la proiezione e la sezione, e le r. v. non differiscono sostanzialmente da quelle tradizionali: si tratta sempre di una rappresentazione bidimensionale ottenuta con il metodo della proiezione ortogonale anche se il foglio di carta è stato sostituito da un foglio virtuale, lo schermo del computer. Il computer, in sostanza, interviene per svolgere le operazioni di calcolo necessarie a individuare i raggi proiettanti e a definire la loro intersezione con il piano di proiezione, così da individuare su tale piano i punti necessari a definire l'immagine dell'oggetto. Questi primi software, nonostante richiedessero molto tempo per l'immissione dei dati e l'elaborazione dell'immagine, offrivano un grande vantaggio agli utilizzatori: la possibilità di correggere e di modificare la rappresentazione con grande facilità e altrettanta rapidità.
Il passo successivo fu lo sviluppo di programmi CAD capaci di costruire, sempre partendo dai principi propri della geometria proiettiva, rappresentazioni tridimensionali (ossia prospettive e assonometrie). Le prime rappresentazioni tridimensionali, in particolare le prospettive, sono le cosiddette costruzioni a fil di ferro (wire frames) costituite dalle linee che rappresentano gli spigoli dei volumi, tanto quelle che sono visibili all'osservatore quanto quelle che in realtà sono nascoste dalle superfici dell'oggetto (come se questo fosse trasparente). In un secondo momento si svilupparono altre procedure di costruzione di un modello tridimensionale della realtà basate sull'utilizzo delle superfici; il modello digitale, immagazzinato nella memoria RAM (Random Access Memory) in forma di codice binario, viene rappresentato attraverso un insieme coerente di enti geometrici (punti, rette, piani, superfici di rotazione, rigate, ecc.) che descrivono le superfici di interesse dell'oggetto (o del progetto) il quale esiste nella memoria del computer come involucro privo di contenuto. Proprio la mancanza del concetto di pieno e vuoto, ovvero di solido, costituisce il limite dei sistemi basati sulla modellazione per superfici, che li rende incapaci di soddisfare le esigenze legate alla progettazione meccanica tradizionale, in cui la complessità formale è ridotta ma è elevata la complessità degli assemblaggi. Questo limite venne superato con la messa a punto di CAD basati sulla costruzione di un modello costituito da un insieme di volumi. Con la modellazione per solidi fondamentalmente si aggiunge alle informazioni geometriche l'informazione topologica, vale a dire la descrizione delle relazioni che intercorrono fra le diverse superfici, riprendendo quei concetti teorici che furono sviluppati durante il 19° sec. e che hanno dato luogo alle geometrie non euclidee.
La topologia è, infatti, la scienza che studia quelle proprietà delle figure geometriche e più in generale dello spazio, inteso come insieme di punti vicini gli uni agli altri, che rimangono inalterate quando le figure vengono sottoposte a una qualsiasi deformazione continua; questa geometria non euclidea, che è rimasta per molti anni un campo riservato alle elaborazioni teoriche, trova un'importante applicazione nelle superfici NURBS, che svolgono un ruolo chiave nei sistemi di modellazione digitale. Le NURBS, infatti, sono superfici delimitate che, come dei fogli elastici facilmente deformabili, possono essere modellate in modo da far loro assumere qualsiasi forma geometrica nello spazio; inoltre hanno la caratteristica di essere definite dal calcolo matematico e di poter avere forma dinamica, in quanto non composte da punti discreti ma da una distribuzione continua di valori relativi. La descrizione di queste superfici è di tipo parametrico: in altre parole si possono definire le coordinate della superficie mediante due parametri u e v; tenendo costante u, la matematica della NURBS descrive una direttrice, mentre tenendo costante v, descrive una generatrice.
Nell'ultimo scorcio del 20° sec. si registrava, infine, la nascita di una nuova generazione di software, comunemente definiti modellatori, in grado di rappresentare qualsiasi tipo di forma - tanto quelle della geometria classica quanto quelle libere (free-forms) - utilizzando in prevalenza le superfici NURBS. Proprio la loro capacità di costruire modelli aventi forme talvolta molto complesse, la rapidità con cui consentono modifiche e correzioni e la possibilità che offrono non solo di visualizzare i modelli da ogni possibile punto di vista, ma anche di variare il punto di vista in modo così rapido da produrre in chi guarda l'illusione del movimento rendono questi programmi estremamente flessibili ed efficaci, tanto che sono divenuti i principali protagonisti nella costruzione di r. v. della realtà.
Per riuscire a creare l'illusione di un movimento fluido continuo è necessario che gli stimoli visuali e sensoriali diretti all'osservatore siano aggiornati a intervalli regolari. Per quanto riguarda la visione, questa frequenza di aggiornamento deve superare i 25 Hz, valore che tuttavia varia per specifiche applicazioni e tipologia di fruitori. Perché il sistema sia interattivo, poi, l'utente deve essere in grado di poter influenzare l'applicazione in modo naturale; ciò presuppone che lo scarto di tempo tra il suo input e l'output dell'applicazione - noto come latenza - risponda a determinati requisiti. Come la frequenza di aggiornamento per i movimenti fluidi, una latenza accettabile dipende dall'applicazione e deve essere costante. Per applicazioni molto dettagliate la latenza è approssimativamente di 100 ms, con una velocità di iterazione di 33 ms.
I modellatori ci fanno già intravedere quale sarà il futuro prossimo della r. v., che vedrà esaltate le sue capacità comunicative e interattive con il pieno coinvolgimento dell'osservatore. Già oggi sono disponibili sul mercato sistemi che permettono, indossando un paio di occhiali polarizzati, di avere una visione stereografica (ovvero tridimensionale) dell'immagine proiettata sullo schermo del computer, enfatizzando notevolmente il carattere di tridimensionalità dell'oggetto osservato. Esistono, infatti, dei software capaci di elaborare in tempo reale due proiezioni dello stesso modello di un oggetto da due differenti punti di vista; queste due proiezioni visualizzate sullo schermo polarizzato di un computer e osservate attraverso le lenti polarizzate restituiscono una visione tridimensionale del modello digitale, dando all'osservatore l'impressione di essere di fronte all'oggetto reale. Questo sistema si può utilizzare anche con immagini fotografiche: due fotografie digitali dello stesso soggetto scattate da due punti diversi, proiettate sullo schermo e osservate con appositi occhiali, generano un'immagine stereoscopica di grande efficacia.
Il rendering e i trattamenti delle superfici
Dopo aver costruito il modello di un oggetto reale (rilievo) o ancora da realizzare (progetto), mediante l'utilizzo delle superfici derivanti dalla geometria classica o l'impiego di mesh o di NURBS, è possibile intervenire sulle sue qualità lineari, tonali e cromatiche al fine di renderlo estremamente realistico.
L'insieme delle operazioni finalizzate a ottenere una resa figurativa realistica, definito rendering, viene sviluppato con un software dedicato che è normalmente compreso nello stesso programma di modellazione; tuttavia quando le esigenze di resa figurativa sono particolarmente elevate, come nel campo della progettazione - sia essa ingegneristica, architettonica o di design - si può ricorrere a programmi di rendering estremamente sofisticati disponibili sul mercato separatamente. La verosimiglianza con la realtà che si è in grado di ottenere con questi software è ormai massima, tanto che difficilmente un occhio non esperto è in grado di distinguere un'immagine elaborata al computer da una fotografia, e ciò ha determinato un graduale ampliamento dell'ambito di utilizzo di questa tecnica: molte delle immagini accattivanti che illustrano le pagine di riviste e giornali o che compaiono in documentari e film, pur apparendoci reali non sono altro che r. v. trattate con un programma di rendering.
La successione delle operazioni di rendering può così essere schematicamente descritta. Il modello,inizialmente, viene tassellato e ricostruito per elementi poligonali triangolari o quadrangolari piani; quindi esso è proiettato sul quadro per ottenere una rappresentazione prospettica, assonometrica o ortogonale a seconda delle esigenze. Nella fase successiva il programma determina, per la rappresentazione scelta, quali sono le superfici visibili dall'osservatore; infine queste superfici sono trattate per conferirgli quelle qualità di grana e colore e quegli effetti di ombreggiatura, trasparenze e riflessioni che nell'insieme permettono di ottenere rappresentazioni estremamente realistiche e di elevata qualità. Con i programmi di rendering, infatti, le superfici possono essere caratterizzate fino a simulare in modo perfetto non solo i diversi tipi di materiali che compongono l'oggetto rappresentato, ma anche le condizioni di illuminazione. I limiti fondamentali di questi software risiedono ormai soltanto nella lunghezza dei tempi di calcolo e nella loro applicabilità esclusivamente a modelli tridimensionali poligonali, per i quali, in ogni caso, la fase di restituzione deve essere sempre preceduta da una fase di conversione geometrica del modello.
Il ruolo delle rappresentazioni virtuali nella progettazione
Sin dalla sua prima comparsa la r. v. ha assunto una sempre maggiore importanza nella progettazione architettonica, sia in fase di verifica del progetto da parte degli autori, sia in fase di comunicazione alla committenza e agli utenti, sia ancora per sondare il gradimento di particolari forme prima dell'elaborazione del progetto (indagini di mercato). Però è nell'ultimo decennio che il computer ha iniziato a giocare un ruolo nello processo di elaborazione del progetto, tanto che alcuni critici, in riferimento ai contributi di progettisti quali, per es., P. Eisenman, F.O. Gehry e altri, hanno parlato di architettura digitale.
Il computer, che in passato vgeniva utilizzato nella fase di redazione grafica del progetto, ossia a valle del processo creativo, interviene ormai già nella fase di ideazione, sostituendo oppure integrando gli schizzi a mano, traducendo in forma grafica le immagini mentali del progettista, definendo via via le soluzioni scelte e dando forma compiuta alle prime ideazioni, sulle quali si svilupperà il progetto esecutivo. Questo fatto determina un cambiamento epocale nel processo progettuale ponendoci di fronte a un nuovo concetto di forma architettonica il quale richiede un approccio concettuale, matematico e tecnologico anch'esso nuovo. Fino a non molti anni fa, infatti, la forma architettonica è stata sempre concepita nello spazio tridimensionale cartesiano, definito da coordinate di alcuni punti significativi, come composizione dei volumi propri della geometria classica, rappresentabili attraverso punti, rette e piani o, al massimo, superfici di rotazione, rigate (paraboloidi iperbolici) e così via. Oggi, grazie alle nuove tecnologie informatiche, ai progettisti si offre la possibilità di spaziare oltre le forme tradizionali, note da secoli, e ciò ha aperto loro nuovi orizzonti verso i quali si sono avviati in molti nell'intento di superare i vincoli imposti dalla geometria classica.
L'intervento del computer nel processo di ideazione e sviluppo del progetto può avvenire in due differenti momenti, dando luogo a due diversi percorsi. Nel primo caso l'iter progettuale parte dai tradizionali schizzi a mano, che fissano sulla carta le prime idee, e prosegue con la realizzazione di un primo modello fisico tridimensionale (il cosiddetto plastico) utilizzando i materiali usuali: legno, cartone, materiali acrilici, eccetera. Soltanto a questo punto interviene lo strumento elettronico: mediante la scansione tridimensionale del modello fisico, realizzata grazie a un laser scanner, si costruisce un modello digitale tridimensionale sul quale il progettista può intervenire, grazie all'impiego di modellatori, per effettuare tutte le modifiche che ritiene necessarie. È questo un procedimento molto simile a quello utilizzato nel disegno industriale, dove dal prototipo fisico si passa al modello digitale, e noto come reverse modeling. Una volta raggiunto il modello ottimale, da questo, sempre per via informatica, si ricava il progetto esecutivo in due dimensioni, utilizzando uno dei tanti programmi CAD che sono disponibili sul mercato; oppure, dal modello, attraverso le macchine a controllo numerico, si può passare direttamente alla fase di produzione. Il secondo percorso prevede l'utilizzo dei modellatori per realizzare superfici molto complesse che possono essere facilmente manipolate, fin dall'inizio dell'iter progettuale. Il fine è quello di sperimentare e di plasmare nello spazio forme complesse, che non rientrano tra quelle descrivibili con la geometria tradizionale, poi utilizzate per contenere le funzioni previste. In tal caso la possibilità di esplorare molteplici varianti di una medesima forma diventa elemento fondamentale di una progettazione che intende studiare il comportamento della superficie sottoposta a deformazione e registrarne le modificazioni spazio-temporali continue. Proprio queste modificazioni possono condurre all'intersezione di piani esterni e interni in un continuo mutamento morfologico.
Da tali esplorazioni è nata l'architettura digitale, che si può ormai considerare come il nuovo linguaggio del 21° sec.: un linguaggio che consente una libertà formale sconosciuta in passato e che a ragione si può ritenere figlio della rappresentazione virtuale. Se è vero, infatti, che ogni forma di rappresentazione ha sempre influenzato il linguaggio architettonico, è altrettanto vero che mai questa influenza è stata forte e caratterizzante come quella esercitata dalla r. v. sull'architettura odierna. Tutti gli osservatori, anche quelli meno esperti, di fronte alle opere dei molti progettisti contemporanei che operano all'interno di tale linea, rimangono fortemente colpiti dalla libertà delle forme e dal fascino che emana la nuova spazialità creata dai loro edifici.
La realtà virtuale
Il naturale sviluppo della r. v., già chiaramente presagibile dall'evoluzione degli ultimi software di modellazione e rendering, è sicuramente un'estensione dell'impiego della realtà virtuale. Si definisce con questa locuzione la simulazione, per mezzo di tecnologie informatiche, di un universo reale oppure immaginario altamente definito in ogni aspetto, così da poter presentare un massimo grado di somiglianza con il mondo reale, ed esplorabile dall'utente in tutte le sue dimensioni (spaziali, visive, tattili, uditive ecc.).
Ciò che differenzia la realtà virtuale dalle r. v. anche più sofisticate e verosimili, quali quelle utilizzate per la presentazione dei progetti oppure il rilievo di oggetti, è sostanzialmente una caratteristica: la prima, infatti, permette una percezione tridimensionale della realtà rappresentata laddove la seconda ne fornisce una rappresentazione bidimensionale. Inoltre, la realtà virtuale può garantire un rapporto di totale interattività fra uomo e computer: una volta indossati tuta e guanti dotati di sensori e un casco munito di un visore a cristalli liquidi, su cui compaiono le immagini, il tutto collegato a un potente computer dotato di sofisticati programmi grafici, l'utente può non solamente muoversi liberamente nello spazio tridimensionale della realtà virtuale, percependo le sensazioni e anche reagendo agli stimoli dell'ambiente, ma anche modificarne le caratteristiche.
Questa tecnologia, nata dagli studi compiuti nel settore aeronautico per realizzare simulazioni e programmi di addestramento e già messa a punto in via sperimentale da molti anni, ha il suo maggiore impiego nel campo dell'intrattenimento, ma sta progressivamente conquistando dei nuovi spazi, tanto nel mondo della tecnica e dell'industria quanto in quello dell'arte, dove comincia a essere impiegata per la realizzazione di performances. Agli inizi del nuovo secolo, dato l'alto costo delle tecnologie necessarie al suo sviluppo, la realtà virtuale viene utilizzata soltanto in pochi laboratori; ma allorché, come è inevitabile, diventerà economicamente più accessibile, è facile poter prevedere una sua larga diffusione, come d'altro canto è accaduto con i personal computer. Quando ciò accadrà è evidente che si registrerà una svolta nel campo della r. v., ponendo chi si occupa della rappresentazione dello spazio architettonico di fronte a inquietanti problemi, di ordine sia morale sia sociale, ma anche di fronte a nuove e stimolanti prospettive. L'orizzonte delle possibilità offerte dalla realtà virtuale comincia a essere indagato, nel tentativo di cogliere tutte le implicazioni e i riflessi che l'adozione di questa metodologia avrà sul nostro modo di conoscere e interpretare la realtà che ci circonda e di rappresentare il progetto e l'ambiente. Se i rischi più prevedibili sono quelli di un uso improprio dell'effetto illusionistico che essa consente, al fine di distogliere l'attenzione dalla realtà sostituendola con un mondo onirico fatto di immagini virtuali (del resto anche mezzi meno raffinati, come la televisione e i videogiochi, già creano questo stato di condizionamento), per contro, enormi sono i vantaggi di questa nuova forma di r. v. che, permettendoci di verificare la funzionalità e la risposta ai requisiti richiesti di un progetto nonché il suo impatto sul contesto sia territoriale sia urbano, può evitare la realizzazione di opere destinate a clamorosi fallimenti. Al tempo stesso la realtà virtuale consentirà anche di conoscere e di esplorare monumenti e luoghi lontani senza la necessità di doversi spostare.
Dal punto di vista della progettazione architettonica, poi, la totale interattività della realtà virtuale apre dei nuovi e interessanti scenari: è evidente che la possibilità di esplorare lo spazio tridimensionale di un progetto e di intervenire direttamente su questa configurazione per sperimentare differenti alternative, apportare modifiche e anche affinare soluzioni, permette di operare con un metodo completamente diverso rispetto a quello attuale. Nel prossimo futuro, quindi, è probabile che un progettista operi direttamente nello spazio virtuale fino a raggiungere la compiutezza formale della propria opera, per poi lasciare al computer il compito di stendere i grafici di progetto. Il passaggio dall'immagine virtuale tridimensionale al progetto su supporto bidimensionale viene già attuato mediante programmi che permettono di rilevare il modello realizzato, creando le rappresentazioni in pianta, prospetto e sezione secondo il metodo tradizionale.
Il prossimo estendersi dell'uso della realtà virtuale alla progettazione architettonica, dunque, con ogni probabilità segnerà un'innovazione di grande portata, che può essere paragonabile, forse, a quella registrata quando gli architetti hanno cominciato a tracciare i propri progetti su un supporto bidimensionale.
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