RAPPRESENTANZA politica (XXVIII, p. 842)
La letteratura dottrinale sulla rappresentanza politica (o "rappresentazione", secondo la terminologia da taluno ritenuta tecnicamente più propria, ma che comunque non ha avuto fortuna) ha continuato ad accrescersi considerevolmente negli ultimi tempi, tentando qualche nuovo indirizzo, specialmente in Italia, con la delineazione di un concetto di rappresentanza istituzionale, inteso in senso ora molto lato ed ora relativamente ristretto. In quest'ultimo senso si tratterebbe della rappresentanza della naziorie, ma rimarrebbe da precisare come possa la nazione configurarsi quale ente istituzionale distinto, da un punto di vista giuridico, dallo stato. In senso lato l'istituzione sarebbe nell'interno dell'organizzazione giuridica e tutti gli organi sarebbero rappresentativi, sicché il concetto di rappresentanza finirebbe per dissolversi in quello generico di organicità e non avrebbe più ragion d'essere come elemento di differenziazione tra organi rappresentativi e non rappresentativi.
In effetti (salvo sviluppi, anche assai notevoli, di dettaglio) non sembra che possano ritenersi sostanzialmente superate le antitetiche posizioni precedenti, secondo una delle quali il concetto di rappresentanza nel diritto pubblico avrebbe una rilevanza esclusivamente politica (o di fatto), mentre secondo un'altra avrebbe anche una rilevanza giuridica (sia pure profondamente diversa da quella del diritto privato), con l'instaurazione di un rapporto tra organo primario (corpo elettorale) ed organo secondario (assemblea elettiva), rapporto il cui contenuto non può però determinarsi se non in relazione ai singoli diritti positivi, assai varî nel tempo e nello spazio. È da rilevare, d'altro canto, che se, in linea astratta, può ritenersi ammissibile, anche nel diritto pubblico, una vera e propria rappresentanza legale, indipendememente dall'elettività del rappresentante, in realtà il concetto di rappresentanza politica assume importanza, sul terreno storico-politico, se ed in quanto si abbia l'elettività di uno o più degli organi costituzionali, allo scopo di determinare la formazione della volonta degli organi stessi (giuridicamente riferita allo stato), in guisa da corrispondere il meglio ed il più possibile alle ideologie ed agli interessi del corpo elettorale, "rappresentato" appunto in quanto esso procura così, attraverso la scelta dei componenti di tali organi, di far valere, almeno di fatto, quelle ideologie e quegli interessi portati sul piano nazionale, in modo più o meno vasto ed intenso, a seconda dell'estensione del diritto dell'elettorato attivo (in passato ristretto a date categorie, ad es. per titolo di coltura o di censo, ed ora generalmente universale ed eguale); dell'obbligatorietà o meno del relativo esercizio; dell'ampiezza della facoltà di proporre candidature e, soprattutto, a seconda dei procedimenti elettivi sia in ordine ai collegi (uninominali o plurinominali, rappresentanza delle minoranze o varî sistemi proporzionalistici), sia in ordine al modo diretto o immediato (come di solito almeno per una delle camere) o invece indiretto o di secondo grado (come, in tutto o in parte, in varî paesi, per l'altra camera).
Per ciò stesso che la legge disciplina la materia, un rapporto giuridico si instaura tra gli aventi diritto all'elettorato e lo stato, che pertanto si qualifica comunemente rappresentativo, quale specie del genere stato democratico (ricomprendente anche la forma a democrazia diretta), con una speciale relazione o situazione giuridica tra lo stato, i suoi organi rappresentativi ed i componenti singoli di questi. Più difficile può riuscire il determinare se e come si instauri un rapporto giuridico tra l'elettore o il corpo elettorale e l'eletto. La risposta non può essere data (già si è accennato) che in base ai varî diritti positivi.
Se (come è tendenza prevalente) gli eletti non hanno nessun vincolo od obbligo giuridico verso gli elettori, tra loro non può configurarsi alcun rapporto giuridico - permanente oltre l'atto elettivo - il quale pertanto si esaurisce con la scelta delle persone; ma siccome questa è fatta in relazione al programma politico da esse propugnato, può configurarsi la possibilità dì un ulteriore rapporto, diretto a far sì che quel programma sia osservato dall'eletto nella sua attività parlamentare. Di qui il cosiddetto "mandato imperativo", con la conseguenza della sindacabilità e della responsabilità politica dell'eletto e dell'eventuale revoca del mandato stesso. Può anche aversi un'anticipata sostituzione (recall), in virtù del principio del più idoneo (good business principle) o una convocazione generale dei comizî, anticipata sul termine ordinario, per iniziativa popolare, quando (come nella Svizzera con l'istituto dell'Abberufungsrecht) non sia demandata al capo dello stato la decisione discrezionale dello scioglimento straordinario degli organi elettivi. In difetto di disposizioni legali al riguardo, operano, più o meno efficacemente, le norme di correttezza da parte degli eletti e la pressione del corpo elettorale soprattutto attraverso i partiti politici, sia con vincoli e sanzioni statutarie, sia con atti cautelativi, quali dichiarazioni di dimissioni in bianco.
Travolto il regime fascista (che uel suo ultimo periodo aveva soppresso ogni ordinamento elettivo), la repubblica italiana, come tutti i moderni stati democratici, si è organizzata costituzionalmente sulla base della rappresentanza politica elettiva, con una propria combinazione di democrazia diretta (v. italia: Ordinamento politico; camera dei deputati; senato; consulta, in questa App.). Come già lo statuto albertino, anche la nuova carta costituzionale proclama (art. 67) che "ogni membro del Parlamento (deputato o senatore) rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato" (il principio è da intendere operante, analogamente, per i membri dei Consigli regionali). Pertanto, giuridicamente, i parlamentari non sono dei puri "nunzî" (o portavoce) della volontà dei loro elettori, ma liberamente formano la propria volontà e liberamente la manifestano, con la correlativa insindacabilità ed irresponsabilità (essi infatti, per disposizione esplicita, art. 68, "non possono esser perseguiti per le opinioni espresse e per i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni") esercitate in virtù direttamente della legge e non per delegazione di poteri da parte del corpo elettorale.
Apparentemente più logiche si presentano quelle costituzioni che configurano il rapporto di rappresentanza come una specie di "affidamento commissorio del potere" (di sovranità), con conseguente possibilità di revoca. Ma un ordinamento del genere può esser causa di gravi perturbazioni nello svolgimento dei lavori e nella vita stessa delle camere, per i pericoli di fluttuazioni non ponderate sufficientemente dell'"opinione pubblica", con frequenti rielezioni e sostituzioni. È da notare che un tale sistema è adottato in regimi totalitarî o a partito unico. Così, secondo la costituzione russa del 1936 "ogni deputato è tenuto a rendere conto davanti agli elettori delle proprie attività e dell'attività del soviet dei deputati dei lavoratori e può essere revocato in ogni momento su decisione della maggioranza degli elettori, secondo le norme stabilite dalla legge" (cfr. pure la costituzione iugoslava del 1945, dove non è ammessa un'opposizione alla "linea" della politica "ufficiale" e dove in pratica non risulta che l'istituto trovi occasione di applicazione, essendo sufficiente la pressione preventiva dell'"apparato" organizzativo).
Nel nostro ordinamento la pluralità ed eguaglianza giuridica dei partiti è costituzionalmente garantita in quanto essi concorrano "con metodo democratico a determinare la politica nazionale" (art. 49), abbiano cioè una formazione volontaria, una struttura interna con organi elettivi sotto il controllo dei soci, e intenti di collaborazione civica. In tale tipo di ordinamento essi assumono un rilievo più spiccato in confronto a quello in cui la costituzione tace e più intenso si fa il rapporto tra gli eletti e le loro organizzazioni, anche se giuridicamente sia sempre da escludere un mandato imperativo qualsiasi. E se pure, sotto la pressione dei partiti (con la minaccia assai efficace di espulsione dal partito stesso e di non ripresentazione della candidatura in future elezioni), il deputato o il senatore dà le sue dimissioni, rimane nel potere sovrano di ognuna delle due camere l'accettazione o meno delle dimissioni dei proprî membri.
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