RAPPRESAGLIE (fr. droit de marque, représailles; ted. Repressalien)
Storia del diritto. - Le difficoltà gravissime, che lo straniero incontra durante l'alto Medioevo per farsi rendere giustizia dai magistrati del paese che lo ospita, generano la tendenza verso le rappresaglie, cioè la tendenza da parte del danneggiato a rivalersi, una volta ritornato in patria, dei torti ricevuti in terra straniera, sui beni dei cittadini del paese dove egli non ha potuto ottenere giustizia, quando questi vengano nella sua terra. Questa tendenza dà origine a un vero e proprio istituto giuridico. Sembra già adombrato un tale diritto nei patti stretti nell'836 dal principe beneventano Sicardo con Giovanni vescovo e duca di Napoli. Si dice in essi che, se il iudex loci si rifiuterà di far giustizia, potrà il danneggiato prendere dei pegni de loco ubi causa quaeritur. Più chiara è la menzione delle rappresaglie nel trattato conchiuso nell'anno 888 fra l'imperatore Berengario I e il doge di Venezia Pietro Tribuno, dove, con parole molto simili a quelle dei patti sopra ricordati, si ammette che, nel caso di denegata giustizia, possa il creditore farsi autorizzare dal giudice del suo paese d'origine a levar pegni da una persona che appartenesse al paese dove l'azione era stata invano intentata. Col procedere del tempo le menzioni di questi diritti di rappresaglia divengono sempre più numerose ed esplicite negli statuti locali. Nel breve dei consoli di Pisa del 1164, ad esempio, si prevede il caso in cui a un cittadino di Pisa fossero stati, in paese straniero, tolti ingiustamente dei beni; qualora, inviate lettere o messi ai rettori di quel paese, il Pisano non avesse potuto ricuperare il suo, i consoli dichiarano che non gl'impediranno di recolligere suum, cioè di rivalersi contro i concittadini del debitore recalcitrante.
Col moltiplicarsi delle rappresaglie, queste vennero regolate dal diritto pubblico del tempo in tutti i loro particolari. Esse si potevano esercitare dai privati cittadini soltanto per concessione avutane dal comune; si ottenevano, cioè, dal comune lettere di rappresaglia (lausum negli statuti di Pisa, in Francia lettres de marque), che venivano concesse soltanto dopo un'inchiesta fatta dal comune, al quale apparteneva il danneggiato; esso prima inviava lettere all'altro comune per chiedere che venisse fatta giustizia e, ove ciò non servisse, inviava un messo per accertare il fatto e la denegata giustizia. Qualora venisse stabilito che il caso comportasse le rappresaglie, queste venivano concesse contro il comune che aveva denegato giustizia, e contro qualunque cittadino o abitante del contado della stessa città. La rappresaglia si poteva esercitare sui beni, ma in certi casi era concesso anche di imprigionare colui che veniva colpito; il procedimento però non era arbitrario, giacché il danneggiato doveva notificare i beni sequestrati al proprio comune, che li faceva descrivere in un apposito registro. Se, entro un certo tempo, non interveniva da parte dell'altro comune, o di chi aveva recato il torto, il risarcimento, il podestà faceva vendere i beni all'incanto e col ricavato risarciva il proprio concittadino danneggiato. Nell'un caso come nell'altro, le rappresaglie venivano cancellate dal libro apposito del comune, nel quale era annotata la concessione delle lettere e poi venivano ricordati i fatti a essa conseguenti.
In alcuni comuni più importanti c'era un magistrato apposito che presiedeva alla concessione delle rappresaglie e ne sorvegliava lo svolgimento; così a Venezia nei secoli XIV e XV v'era un collegio delle rappresaglie presieduto dal doge; lo stesso avveniva a Bologna e a Firenze. In qualche stato a forma parlamentare, nel quale i comuni e i signori feudali obbedivano a un principe, le rappresaglie contro sudditi d'altre signorie o comuni erano concesse dal principe con l'assenso del parlamento: il diritto di concedere le rappresaglie spettava, infatti, soltanto a chi esercitava nel paese il potere sovrano. Così avviene che il parlamento friulano, nei secoli XIV e XV, quando giunge al massimo della potenza, deliberi sulla concessione delle rappresaglie da parte del duca-patriarca d'Aquileia.
Il fondamento giuridico del diritto di rappresaglia è oggetto di discussione, giacché molti riconoscono in esso una conseguenza della concezione medievale che non distingueva esattamente la personalità giuridica dell'ente (nel caso nostro, del comune o della signoria) da quella dei singoli cittadini o sudditi: da ciò la possibilità di colpire con la rappresaglia un suddito qualsiasi del comune o della signoria che aveva denegato giustizia. Non bisogna dimenticare, però, che nel Medioevo era quasi impossibile distinguere nettamente lo stato di pace dallo stato di guerra, data la mancanza di regole internazionali bene stabilite; la giustizia, negata da un comune al suddito dell'altro, che ne lo aveva richiesto, faceva sorgere uno stato d'ostilità fra i due comuni; da ciò appariva giustificato il colpire con la rappresaglia qualsiasi appartenente al comune che aveva compiuto, così, un atto d'inimicizia verso il comune al quale il danneggiato apparteneva. Le rappresaglie proteggevano chi per ragioni di commercio o per altri motivi si trovava in paesi stranieri, dagli arbitrî, dalle spoliazioni, dalle violenze così frequenti nel Medioevo. Tuttavia si comprende come esse finissero col rendere estremamente difficili gli scambî internazionali. Da ciò, provvedimenti che cercarono di limitarne l'uso; così, sin dal sec. IX, alcuni trattati eccettuarono da esse i mercanti; più tardi, nella celebre autentica Habita, l'imperatore Federico Barbarossa esentò dalle rappresaglie, nel 1158, gli studenti dell'università di Bologna, privilegio che poi venne esteso a tutte le università. Altri privilegi consimili salvaguardavano i pellegrini che si recavano nei Luoghi Santi e, dai tempi più antichi, sono pure esclusi dalle rappresaglie gli ambasciatori. Alcuni principi esentarono anche i sudditî stranieri residenti da molto tempo nelle loro terre. Altri provvedimenti colpivano coloro che le esercitassero arbitrariamente.
Verso la fine del Trecento e nel Quattrocento comincia a delinearsi una reazione contro l'uso delle rappresaglie. Ne troviamo le prove nel moltiplicarsi dei trattati, nei quali esse vengono escluse per i sudditi degli stati contraenti. Per di più qualche comune, come, ad esempio, Firenze, faceva divieto ai proprî sudditi di recarsi a commerciare nei paesi ove le rappresaglie venivano concesse. Nei secoli XVI e XVII, un po' per volta, i varî stati formatisi in Italia sopprimono le rappresaglie e si obbligano a rendere giustizia ai sudditi stranieri come ai proprî cittadini.
Bibl.: A. Del Vecchio-E. Casanova, Le rappresaglie nei comuni medievali, Bologna 1894; A. Solmi, Storia del diritto ital., Milano 1930, par. 56; M. Roberti, Svolgimento storico del dir. privato in Italia, ivi, s. d., 110 seg.
Diritto internazionale.
Le rappresaglie sono mezzi coercitivi, con cui uno stato reagisce ad atti illeciti commessi contro di lui da un altro stato, e hanno lo scopo di premere sulla volontà di quest'ultimo, richiamandolo al rispetto del diritto e obbligandolo, ove ne sia il caso, a dare adeguata soddisfazione e risarcimento per il torto recato. Differiscono pertanto dalla ritorsione, la quale non presuppone, né dall'una né dall'altra parte, alcuna violazione di diritto internazionale. La ritorsione consiste nell'adozione di misure ostili, scortesi, dannose, ma legittime, con cui si risponde all'applicazione di misure analoghe da parte di un altro stato (guerra di tariffe e dazî doganali, trattamento svantaggioso ai sudditi di uno dei due stati nel territorio dell'altro, ecc.). Invece nelle rappresaglie lo stato reagisce ad atti antigiuridici con atti parimenti antigiuridici, ma che il diritto internazionale considera eccezionalmente come legittimi e autorizzati, in quanto giustificati dalla violazione di diritto, commessa precedentemente a di lui danno dallo stato avversario.
L'esercizio delle rappresaglie è soggetto a certe limitazioni, le quali rispondono però a principî di umanità, di equità, di ragione, piuttosto che a vere e proprie norme riconosciute dal diritto positivo. Vi deve essere una certa proporzione tra l'atto di rappresaglia e la gravità dell'atto illecito contro cui la rappresaglia è diretta. Prima di ricorrervi, si deve intimare allo stato colpevole di cessare dalla sua condotta e di accordare le riparazioni richiestegli.
L'atto di rappresaglia deve essere, per quanto è possibile, diretto contro tale stato, rispettando i diritti degl'individui e dei terzi stati; mirare unicamente a quel dato scopo e cessare appena sia ottenuta una riparazione ragionevole.
Ogni mezzo coercitivo che sia contrario ai principî di umanità, dev'essere naturalmente escluso.
La dottrina fa varie distinzioni delle rappresaglie. Notevole è la distinzione di esse in positive e negative. Mentre le prime consistono nella realizzazione effettiva di atti di coercizione materiale, le seconde si riassumerebbero in una semplice condotta di astensione (rifiuto di eseguire ulteriormente gli obblighi di un trattato, denuncia unilaterale di esso, rifiuto di accordare ulteriormente ai sudditi dello stato colpevole il trattamento voluto dal diritto internazionale, ecc.). Fondamentale è la distinzione tra rappresaglie armate e rappresaglie non armate. L'esercizio di queste ultime non altera le condizioni essenziali dello stato di pace, non contiene pericolo di guerra (misure di boicottaggio contro le merci dello stato colpevole, espulsione collettiva dei suoi sudditi, sequestro dei loro beni, interruzione delle relazioni diplomatiche e consolari, embargo delle navi da guerra o mercantili di tale stato che si trovino nei suoi porti, ecc.). La legittimità di tale specie di rappresaglie non è contestata dalla dottrina, purché il loro esercizio sia contenuto nei limiti già accennati. Assai più controversa è la liceità delle rappresaglie armate, cioè di quelle che si manifestano mercé vere e proprie operazioni militari, che vulnerano sia pure transitoriamente l'integrità territoriale dello stato avversario (sequestro dei suoi uffici doganali o di altri stabilimenti pubblici, bombardamento dei suoi porti o piazze marittime, invio di spedizioni punitive, blocco delle sue coste, ecc.). Nella storia specialmente del sec. XIX molti sono gli esempî di tali rappresaglie armate, esercitate prevalentemente da potenze europee verso stati dell'America Centrale e Meridionale per imporre il soddisfacimento di crediti o la riparazione di dinieghi di giustizia a danno di loro cittadini. Questi mezzi coercitivi hanno una profonda affinità con gli atti di guerra veri e proprî, si possono definire come una specie di guerra limitata o parziale, e ove lo stato contro cui sono diretti, anziché subirli passivamente, reagisca a sua volta violentemente, possono senz'altro determinare tra i due stati la costituzione dello stato di guerra. Perciò la loro legittimità è contestata da molti. Essa non può tuttavia essere dubbia finché rimanga integro il diritto di ricorrere all'autotutela, di farsi giustizia da sé, anche, sia pure in casi estremi, mercé l'impiego della forza armata e della guerra. È logico che l'esistenza di questo diritto autorizzi anche il minus rappresentato dal ricorso alle rappresaglie armate che può evitare il male più grave della guerra vera e propria.
Bibl.: S. Lafargue, Les représailles en temps de paix, Parigi 1898; M. Ducrocq, Représailles en temps de paix, Parigi 1901; G. B. Guarini, Le rappresaglie in tempo di pace, Roma 1910; F. Ebers, Repressalie, in Staatswörterbuch, 1911, p. 634 segg.; D. Anzilotti, Corso di diritto internazionale, III, Roma 1913; A. Cavaglieri, Note critiche sulla teoria dei mezzi coercitivi al difuori della guerra, in Riv. di dir. intern., 1915; K. Strupp, Das Repressalienrecht, in Wörterbuch des Völkerrechts, II, p. 348 seg.; J. de la Brière, L'évolution de la doctrine et de la pratique en matière de représailles, in Rec. des Cours de l'Acad. de La Haye, 1928.