Rapporti tra riesame e appello in tema di cautelari reali
Le Sezioni Unite definiscono i rapporti tra il riesame e la revoca delle misure cautelari reali nel segno della continuità con la giurisprudenza in tema di cautele personali.
La Sezione Terza della Cassazione 15.3.2018, n. 11935, Edel Noemi Group srl rimette alle Sezioni Unite della Cassazione la questione di diritto per la quale la mancata tempestiva proposizione da parte dell’interessato, della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale legittimi il tribunale del riesame a dichiarare inammissibile il successivo appello cautelare non fondato su elementi nuovi ma su argomenti tendenti a dimostrare, sulla base di elementi già esistenti, la mancanza delle condizioni di applicabilità delle misure. Deve subito dirsi che di questa richiesta di intervento delle Sezioni Unite si avvertiva la necessità sotto il profilo del merito, apparendo la questione abbondantemente arata e l’opinione dissenziente pretestuosa. Invero, si afferma nella motivazione della decisione della Terza Sezione di rimettere la questione, il contrasto è stato segnalato dall’Ufficio del Massimario. Sotto questo profilo, sarebbe tornata utile la modifica dell’art. 618, co.1 bis, introdotta dalla l. 23.6.2017, n. 103. Invero, non solo la questione relativa al sequestro preventivo era già stata risolta dalle Sezioni Unite Romagnoli del 2004, ma la relativa soluzione risultava in linea – in relazione alle misure cautelari personali – con la famosissima sentenza delle Sezioni Unite Buffa e le altre intervenute sul punto, ancora a Sezioni Unite.
Invero, con la sentenza Cass. pen., S.U., 24.5.2004, n. 29952, in CED rv. n. 228117, Romagnoli, la Cassazione aveva affermato che la mancata tempestiva proposizione da parte dell’interessato della richiesta di riesame avverso il provvedimento applicativo di una misura cautelare reale non preclude la revoca per mancanza delle condizioni di applicabilità anche in assenza di fatti sopravvenuti, attesa la formulazione testuale dell’art. 32, co. 3, e il rilievo che la preclusione processuale nelle misure cautelari assume inefficacia più ristretta in quanto incluse soltanto le questioni dedotte (implicitamente o esplicitamente) e non quelle deducibili ad opera allo stato degli atti. Ancorché risalente nel tempo, la decisione era stata reiteratamente confermata, pur evidenziandosi sporadici opinioni dissenzienti. Negli stessi termini si era pronunciata – come detto – anche la decisione Cass. pen., S.U., 8.2.1994, n. 11, in CED rv. n. 198211, Buffa, ove, con riferimento alla stessa materia del rapporto tra riesame e revoca di misure cautelari personali si era affermato che una preclusione processuale è suscettibile di formarsi a seguito delle pronunce emesse all’esito del procedimento incidentale di impugnazione, della Suprema Corte ovvero dal tribunale in sede di riesame o di appello avverso le ordinanze in tema di misure cautelari, ma essa ha una portata più modesta rispetto a quella determinata dalla cosa giudicata sia perché limitata allo stato degli atti sia perché non copre anche le questioni deducibili, ma soltanto le questioni addotte, implicitamente o esplicitamente nei procedimenti di impugnazione avverso ordinanze in materia di misure cautelari personali, intendendosi queste ultime come le questioni che quantunque non enunciate in modo specifico, integrano il presupposto logico di quelle espressamente dedotte.
Ne consegue, ovviamente, che il mancato espletamento dei gravami non può avere effetti preclusivi.
La conclusione del Supremo Collegio era risultata pienamente condivisa dalla giurisprudenza in materia, come detto, ancora a Sezioni Unite.
Invero, la massima provvisoria del Collegio riunito sembra aver confermato i due arresti precedenti del Collegio riunito e non c’era motivo, come detto, per una decisione di segno diverso. Invero, deve ritenersi acquisito che la mancanza della domanda di riesame, non fa assumere alla carenza di iniziativa l’autorità del giudicato “negativo” o implicito. A parte la considerazione che il ne bis in idem in materia cautelare si configura in termini diversi rispetto al procedimento di cognizione. Inoltre, è la stessa formulazione della disciplina della revoca a giustificare la conclusione del punto di diritto, ove si fa riferimento che la domanda può essere proposta anche per fatti sopravvenuti, ergo anche per quelli preesistenti e non valutati. Un giudicato, come evidenziato dalle Sezioni Unite, con divieto di riproporle in sede di revoca si determina solo nel caso in cui le questioni siano state sollevate e decise nella procedura di controllo (riesame e ricorso), con definitività delle pronunce relative.
In altri termini, nell’articolato sistema giurisprudenziale di controllo dei provvedimenti cautelari va riconosciuto che a seguito della mancata tempestiva sperimentazione di tutti i mezzi di impugnazione o all’esito negativo di questi, si forma una sorta di giudicato allo stato degli atti, con la conseguenza che non sono più proponibili ove la nuova istanza non sia sorretta ma ulteriori acquisizioni probatorie che modifichino sostanzialmente il quadro valutativo. Peraltro, per evitare la tagliola della inammissibilità, dell’opinione minoritaria, la difesa – nel caso di specie – aveva “spostato” il focus dell’appello sulle modalità esecutive e non sulla genesi del provvedimento cautelare.
La vicenda consente una riflessione ancora. Intanto che si è attivato il percorso delineato, la società ha visto sequestrata una urgente somma di danaro. Com’è noto la materia cautelare è governata dalla mancanza di contraddittorio anticipato, dall’immediata esecutività del provvedimento, dalla mancanza di effetti sospensivi dei gravami. Si consideri poi che in materia di misure cautelari reali i presupposti delle ordinanze sono meno stringenti come se le cose fossero sotto il profilo della libertà figlie di un dio minore. Resta da confidare che si sia trattato di provvedimenti legittimi e fondati nel merito.