RANUCCIO II Farnese, duca di Parma e Piacenza
Essendo appena sedicenne, alla morte del padre Odoardo (1646), "l'heroe d'Italia", fu sotto la reggenza dello zio cardinale Francesco Maria e della madre, Margherita de' Medici, figlia di Cosimo II, granduca di Toscana, fino a diciott'anni.
Pur destreggiandosi abilmente tra Francia e Spagna, ebbe a subire specialmente l'influenza del cardinale Mazzarino, che aveva a Parma un suo fedele nel ministro G. Gaufrido, salito da modeste origini a grande potenza, già sotto il duca Odoardo.
La questione di Castro, rifattasi viva dopo l'uccisione del vescovo di Castro, Cristoforo Giarda, dall'opinione pubblica imputata a Ranuccio e al suo ministro Gaufrido, fu la preoccupazione maggiore del suo regno. La lunga guerra che ne derivò, finì con la distruzione della città di Castro (v. castro, ducato di) e con l'arresto, la condanna a morte e la confisca dei beni del già onnipotente Gaufrido. La sentenza capitale fu eseguita l'8 gennaio 1650. Ranuccio II dovette cedere alla Santa Sede - dietro una forte somma di denaro - i suoi diritti su Castro, con la clausola che avrebbe potuto ricuperare lo stato, restituendo detta somma "in una sol volta" entro il termine di otto anni. Ma verso la fine del 1657, alla scadenza degli otto anni, il duca non disponeva della somma necessaria al ricupero. Con la pace dei Pirenei (1659) Francia e Spagna s'impegnavano ad ottenere dal pontefice una proroga del riscatto di Castro: ma nel 1661, in pieno concistoro, Alessandro VII dichiarava Castro dominio della Camera Apostolica.
Con la pace di Pisa (12 febbraio 1664) la Francia otteneva però da Alessandro VII che Castro fosse disincamerata, e Ranuccio potesse ricuperarla entro otto anni, sborsando, anche in due rate, più di un milione e 620.000 scudi. Ma tutti gli sforzi diplomatici e finanziarî non valsero a riscattare il ducato di Castro, che rimase definitivamente alla Chiesa. Compenso alla perdita di Castro fu l'acquisto di Bardi e Compiano.
Nonostante questo disastro, il duca mandò, a varie riprese, varî aiuti ai Veneziani, coi quali era in ottimi rapporti, contro i Turchi, nella lunga guerra di Candia. E il senato veneto, nominato arbitro in una controversia di confini tra il ducato e la Toscana, l'11 luglio 1689 pronunciava sentenza favorevole al duca di Parma.
Se la sua politica estera fu determinata dalla volontà di ricuperare il ducato di Castro, la sua politica interna è caratterizzata da alcuni provvedimenti a favore dell'economia pubblica e da molte cure verso la pubblica istruzione. Si deve a lui l'istituzione, in Parma e Piacenza, degli archivî pubblici (1678). Ebbe grandi cure per l'università e pel Collegio dei nobili; ai grandi spettacoli teatrali soprattutto musicali, sacrificò enormi spese. L'erario farnesiano, già oberato da numerosi passaggi e acquartieramenti di truppe imperiali, ne fu compromesso, anche perché moltissimi terreni erano di proprietà ecclesiastica, e quindi godevano del privilegio d'immunità. Ma la sua magnificenza, accompagnata da grande generosità, piaceva ai sudditi, dai quali fu molto amato. Per le molte opere pubbliche, per la lotta a fondo contro il brigantaggio, per la vigilanza sanitaria, in tempi di epidemia, e per i provvedimenti in favore dei poveri, in tempo di carestia, fu molto compianto quando venne a morte (11 dicembre 1694).
Dalle sue tre mogli, Margherita Violante di Savoia, Isabella d'Este e Maria d'Este, che aveva sposate successivamente nel 1660, nel 1663 e nel 1684, aveva avuto dieci figli; dei quali meritano di essere ricordati Odoardo, padre della Elisabetta Farnese, che andò sposa a Filippo V, re di Spagna, Francesco Maria, che gli succedette nel trono e Antonio, che fu l'ultimo duca Famese.
Bibl.: V. Soncini, Il p. Paolo Seregni (1626-1694) nella storia dei Farnese, Torino 1924; L. Balestrieri, Feste e spettacoli alla corte dei Farnesi (Contributo alla storia del melodramma), Parma 1909; Bazzi-Benassi, Storia di Parma, ivi 1908; A. Valeri, I Farnese, Firenze 1935. Per le pubblicazioni anteriori, cfr. la Bibliografia generale parmense del Lottici-Sitti (Parma 1904).