RANUCCIO II Farnese, duca di Parma e Piacenza
RANUCCIO II Farnese, duca di Parma e Piacenza. – Nacque il 17 settembre 1630 a Cortemaggiore (Piacenza), primogenito di Odoardo Farnese e di Margherita de’ Medici. Suoi fratelli minori furono Maria Maddalena, Alessandro, Orazio, Caterina e Pietro. Ricevette la tipica formazione riservata ai principi dell’epoca, affidato alle cure di precettori gesuiti, che a Parma reggevano sia il Collegio dei Nobili sia l’Università, ma non espresse mai vivo interesse per attività puramente intellettuali.
Venne presto introdotto alle funzioni di governo: nel 1642 ebbe il titolo di «castellano» di Parma e Piacenza e nel 1646, alla morte del padre, ne divenne il successore come duca di Parma, Piacenza e Castro. La reggenza, in quanto era ancora minorenne, fu affidata a uno zio paterno, il cardinale Francesco Maria Farnese, e alla madre, che lasciarono ampio potere al ministro provenzale Jacopo Gaufrido, intenzionato a promuovere l’alleanza del ducato con la Francia di Luigi XIV. Sempre nel 1646 furono avviati i primi approcci della diplomazia francese, con l’invio a Parma di Bernard Du Plessis Besançon e con la richiesta al governo ducale di negare il passaggio alle truppe spagnole sul proprio territorio, nell’ambito delle operazioni belliche legate al conflitto in corso fra Spagna e Francia. A questa si erano alleati gli Estensi, mentre lo Stato farnesiano rimase neutrale, al pari di Mantova e Firenze. Tuttavia, fra il 1647 e il 1648 nel territorio parmense e piacentino transitarono gli eserciti di entrambi gli schieramenti, provocando distruzione e povertà. Nuove inutili manovre diplomatiche francesi furono attuate nel 1647, quando Mazzarino inviò ancora Du Plessis a Parma. Neanche il residente parmense a Parigi Leonardo Villeré riuscì a ottenere l’adesione farnesiana, mentre il duca di Modena Francesco I d’Este aderì e firmò un patto d’alleanza nella campagna militare contro gli spagnoli in Lombardia.
Alla morte del cardinale Francesco Maria Farnese, il 12 luglio 1647, la reggente Margherita de’ Medici confermò come primo ministro Gaufrido, nuovamente approvato nel 1648 da Ranuccio ormai diciottenne ed entrato in possesso delle piene facoltà di governo. In segno di fiducia, egli insignì Gaufrido anche del titolo di marchese e gli conferì il feudo di Felino, nei pressi di Parma.
Dal 1648 Ranuccio, come aveva fatto il padre Odoardo negli anni 1641-44, riprese le ostilità con il papa per la difesa dei feudi farnesiani laziali di Castro e Ronciglione, posti all’interno dello Stato pontificio. Innocenzo X perseguì lo stesso obiettivo del suo predecessore Urbano VIII di impossessarsi di entrambi i feudi. Il pretesto fu offerto nel giugno di quell’anno dalla nomina, da parte del papa, di Cristoforo Giarda come vescovo di Castro, persona non gradita ai Farnese. Nel marzo del 1649, mentre il prelato si recava a prendere possesso della propria diocesi, venne assalito da due sconosciuti, che in seguito furono identificati come sicari inviati da Gaufrido. Il pontefice incolpò dell’omicidio Ranuccio e preparò un esercito, con il quale in luglio fece assediare Castro. L’esercito farnesiano di 3000 cavalieri fu affidato a Gaufrido e questi, a sua volta, cedette il comando al capitano Giambattista Baiardi, poi sconfitto a San Pietro in Casale, nei pressi di Bologna. In settembre la città di Castro venne conquistata dalle truppe pontificie e rasa al suolo. Dopo il successo bellico, il pontefice dichiarò di voler acquistare il feudo farnesiano per 1.629.730 scudi da 10 giuli, ma in realtà la somma non venne mai pagata, perché sui Farnese gravava un ingente debito che la famiglia aveva contratto in precedenza con i banchieri romani e con lo stesso papa, mediante l’istituzione dei cosiddetti Monti Farnesiani. I cardinali Francesco e Antonio Barberini, nipoti di Urbano VIII, infatti, già dal tempo della prima guerra di Castro avevano insinuato il dubbio che i Farnese non avrebbero mai saldato i loro debiti e ciò aveva provocato l’inizio del conflitto. Nel 1650, conclusa la seconda guerra, Ranuccio, posto di fronte alla «facoltà di poter redimere» i feudi in otto anni, «col denaro però tutto contante, e da sborsarsi tutto in una sol volta» (Archivio di Stato di Parma, Comune, Minute delle ordinazioni, b. 334), vi rinunciò, anche perché sarebbero rimasti accollati alla Camera apostolica pure i Monti Farnesiani, ovvero tutti i debiti. La speranza di riappropriarsi di Castro e Ronciglione scomparve del tutto quando nel 1661 il papa Alessandro VII dichiarò in Concistoro che questi domini sarebbero stati per sempre riuniti alla Camera apostolica.
La responsabilità della sconfitta dell’esercito parmense venne interamente addossata a Gaufrido che, nell’agosto del 1649, appena tornato a Parma, venne catturato per volontà di Ranuccio, condotto nelle prigioni di Piacenza e quindi fatto giustiziare nel gennaio del 1650 nella stessa città alla presenza di una grande folla. A giudizio di alcuni contemporanei, questa morte fu incoraggiata dal conte Francesco Serafini, che aspirava a ricoprire l’incarico di ministro e che era favorito da Margherita de’ Medici.
La fine del conflitto assicurò allo Stato un lungo periodo di pace, che permise all’economia locale, fondata sull’agricoltura, l’allevamento e la lavorazione della seta, di riprendersi lentamente nell’arco della seconda metà del secolo. Anche altri aspetti della vita sociale, religiosa e culturale trovarono maggiore slancio, pur ruotando sempre di più attorno al potere tendenzialmente assoluto del sovrano. Per esempio, l’organizzazione ecclesiastica assunse la fisionomia di una Chiesa di Stato, le istituzioni comunali furono progressivamente esautorate, collegi professionali e università totalmente subordinati e le famiglie più legate alla corte vennero infeudate con l’assegnazione di titoli nobiliari e possedimenti terrieri, sottratti a casate decadute. La dinastia ducale, che dimorava alternativamente a Piacenza, Parma, Cortemaggiore e nel grande palazzo di Colorno allora in costruzione, fu affiancata da una nutrita serie di servitori italiani, francesi e tedeschi assunti come «stipendiati», con una grande varietà di emolumenti e di ruoli, dai più umili ai più prestigiosi.
Una figura che, pur di umili origini, ottenne ampia fiducia fu il cantante Giuseppe Calvi, la cui presenza accanto al duca è registrata dai cronisti, specialmente nei frequenti momenti di svago, come le gite in carrozza o con il ‘bucintoro’ sul fiume Po, le battute di caccia e la partecipazione a esibizioni teatrali. Ma il vero regista della vita di corte fu il marchese Guido Rangoni, membro della potente famiglia modenese e tra i principali consiglieri del sovrano in materia di spettacoli e festeggiamenti ufficiali, allietati da ‘fuochi d’allegrezza’ e apparati effimeri.
Nel 1659 Ranuccio sposò Margherita Violante di Savoia, figlia del duca Vittorio Amedeo I, la quale però morì nel 1663, senza lasciare figli che raggiungessero l’età adulta. Il secondo matrimonio venne celebrato nel 1664, quando sposò la cugina Isabella d’Este, figlia di Francesco I, da cui nacquero Margherita (1664), Teresa (1665) e Odoardo (1666). Anche la seconda moglie morì, tuttavia, pochi giorni dopo il terzo parto. L’ultimo matrimonio risale al 1666 con la cugina Maria d’Este, sorella di Isabella, che divenne madre di Isabella (1668), Francesco (1678) e Antonio (1679), oltre ad altri figli deceduti in fasce o in età infantile. Dalle tre mogli ebbe in tutto sedici figli, dei quali divennero adulti soltanto Margherita, nel 1692 sposa del duca Francesco II d’Este; Teresa, monaca benedettina; Odoardo, che, prematuramente scomparso nel 1693, non poté succedere al padre; Isabella, che morì nel 1718 nubile; Francesco e Antonio, che diventarono gli ultimi duchi della dinastia rispettivamente nel 1694 e nel 1727.
Il nome di battesimo del figlio Francesco era un omaggio al duca di Modena Francesco I d’Este, suocero di Ranuccio, ma la due casate in passato si erano legate con ulteriori nodi parentali: Ranuccio I Farnese aveva dato in spose le proprie figlie Maria (1631) e Vittoria (1648) allo stesso Francesco I. Anche grazie a queste strategie, i due ducati mantennero sempre buone relazioni, attestate da frequenti viaggi per compiere visite di cortesia in occasione di eventi lieti o tristi, ma anche per partecipare al Carnevale, oppure alle cerimonie e alle fiere allestite presso la basilica della Madonna della Ghiara a Reggio Emilia (cronache citate in bibliografia).
Nella fase matura della sua ducea, intensificò le relazioni internazionali, anche in vista del futuro matrimonio del figlio Odoardo. Nel 1682 acquistò i vicini feudi di Bardi e Compiano (sull’Appennino parmense) dalla nobile famiglia genovese dei Doria, a sua volta erede dei piacentini Landi. In seguito a questa acquisizione, venne riconosciuto da Leopoldo I d’Asburgo come vassallo del Sacro Romano Impero. Nel 1653 e 1656, in occasione della guerra di Candia contro i turchi, il Farnese spedì in soccorso di Venezia piccoli contingenti di truppe guidati rispettivamente dal fratello Orazio e dal fratello Alessandro.
Abbondanti sono le attestazioni di pratiche devozionali e di sostegno alle istituzioni ecclesiastiche: sono documentati pellegrinaggi al santuario mariano di Loreto nel 1666, 1669, 1670 e 1674; l’intenzione di introdurre nello Stato i barnabiti, che vennero accolti a Parma nel 1667; la costruzione del monastero delle carmelitane scalze di Piacenza nel 1673; la ‘protezione’ ducale di compagnie laicali; la frequente partecipazione a liturgie, prediche, processioni e festeggiamenti in occasione di canonizzazioni (per esempio, per S. Pietro d’Alcantara e Maria Maddalena de’ Pazzi nel 1669); l’udienza privata concessa a religiosi provenienti da Stati italiani ed europei e la funzione di padrino svolta con la consorte nei battesimi di numerosi giovani turchi ed ebrei convertiti. Queste manifestazioni si intensificarono nella cosiddetta epoca innocenziana, cioè negli anni del pontificato di Innocenzo XI (1676-89): nel 1677 Ranuccio promosse la fondazione del monastero benedettino femminile della Concezione a Piacenza; nel 1682 approvò le regole dell’Ospizio delle mendicanti a Parma; nel 1686 destinò una chiesa alle cappuccine della stessa città, nella quale fece anche ampliare, nel 1688, i conventi delle ‘riconosciute’ e delle oblate. Nel 1691 fece imprimere dalla stamperia ducale la vita di una delle sue sorelle: Caterina, carmelitana scalza, morta nel 1684 con il nome di suor Teresa Margherita. La biografia era stata composta dal carmelitano padre Massimo della Purificazione, che nel 1687 si fece ricevere da Ranuccio per presentargliela (cronaca di Bevilacqua, 16 febbraio 1687). Un altro ecclesiastico molto legato al duca fu il cappuccino Francesco Tonarelli da Bagnone (1610-1692), al quale venne attribuita nel 1676 la perfetta guarigione della duchessa «da un inveterato morbo di capo», avvenimento festeggiato con una messa solenne cantata dal vescovo in cattedrale, a cui partecipò il Capitolo. Ottimi furono i rapporti con i vescovi delle diocesi presenti nel territorio del ducato (a Parma Girolamo Corio, Carlo Nembrini e Tomaso Saladini; a Piacenza Giuseppe Zandemaria – in precedenza consigliere del duca – e Giorgio Barni; a Bobbio Alessandro Porro e Bartolomeo Capra; a Borgo San Donnino Filippo Casoni, Alessandro Pallavicini, Gaetano Garimberti e Nicolò Caranza).
Un’occasione irrinunciabile per esibire il potere ducale e il buongoverno farnesiano era rappresentata dalla fiera ‘dei cambi’ di Piacenza, in cui giungevano ambasciatori stranieri da numerosi Stati. Questi venivano intrattenuti con spettacoli teatrali, di cui sono documentati i titoli e i libretti, molti dei quali su temi storici o mitologici (fra gli altri Hierone tiranno, Ciro in Siracusa, Ercole trionfante). Sia a Parma sia a Piacenza vennero costruiti nuovi teatri o rinnovati quelli già esistenti presso le dimore della famiglia ducale, così come vennero sistemate le piazze e le strade principali.
Nel 1690 stipulò il contratto per il matrimonio del figlio Odoardo con Dorotea Sofia di Neuburg, figlia dell’elettore palatino Filippo Guglielmo e cognata dell’imperatore Leopoldo I. Il matrimonio fu celebrato nell’aprile dello stesso anno, con grande magnificenza. Schiere di pittori (Sebastiano Ricci), poeti (Aurelio Aureli), scenografi (Domenico Mauro), architetti (Stefano Lolli, Ferdinando Bibiena), musicisti (Bernardo Sabadini), coreografi (Federico Crivelli), tipografi (Galeazzo Rosati), illustratori (Francesco Maria Francia), cuochi e sarti furono arruolate dalla corte. Per sostenere le spese, la popolazione, benché impoverita, fu obbligata a partecipare alle ‘allegrezze’ offrendo un ‘donativo’ agli sposi. La principessa giunse a Parma accompagnata da una corte costituita da numerosi servitori, tra i quali il libraio Theodor Helm.
Ranuccio si dedicò costantemente alla sistemazione delle raccolte artistiche e librarie della famiglia, concentrando a Parma i beni fino ad allora conservati fra i palazzi di Roma, Caprarola, Piacenza e la basilica di S. Nilo a Grottaferrata, e accogliendo nelle collezioni ducali i nuovi pezzi acquisiti per successione ereditaria dalla madre Margherita de’ Medici (1679) e dalla sorella Maria Maddalena (1693). Per collocare degnamente il patrimonio che andava riunendo, compì lavori strutturali nel palazzo della Pilotta, sopraelevandone una parte. Gli spostamenti e gli incrementi possono essere ricostruiti attraverso inventari redatti dal 1641 al 1693, lettere inviate ai custodi delle collezioni stesse e pubblicazioni a stampa patrocinate dal duca stesso, che avevano lo scopo di elencare in modo completo e sistematico il patrimonio di famiglia, ma anche di far conoscere la ricchezza e l’elevato livello culturale dei Farnese alle persone colte e in particolare ai viaggiatori stranieri che percorrevano l’Italia. Ranuccio si avvalse, come bibliotecario di corte, dell’erudito Gaudenzio Roberti e dal 1689 al 1698 fece pubblicare dal gesuita Benedetto Lusignani, altro bibliotecario di corte, il catalogo in 16 volumi dei libri della raccolta ducale (15 per materie e un indice per autori), mentre il figlio di Ranuccio, il duca Francesco, si sarebbe occupato in seguito (1694-1721) di far imprimere in otto volumi il catalogo delle medaglie della sezione numismatica riunita dal padre: I Cesari in oro raccolti nel Farnese Museo. Ranuccio progettò inoltre un museo delle epigrafi (che però non fu realizzato, in quanto le pietre andarono perdute), la galleria delle rarità, la stanza delle antichità e l’armeria segreta.
Promosse la cultura anche con il sostegno all’editoria locale (a Parma i tipografi Galeazzo Rosati, Pietro Del Frate, Mario Vigna, Giuseppe Rossetti, Bartolomeo Viarchi, Giuseppe Dall’Oglio, Paolo Monti, Alberto Pazzoni; a Piacenza Giovanni Bazachi, che ottenne il titolo di stampatore camerale; Tomaso Zambelli, Stefano Sirena) e alle accademie (a Parma quella degli Elevati nel monastero cassinense di S. Giovanni Evangelista, in cui fiorì Benedetto Bacchini, e quella degli Scelti presso il Collegio dei Nobili; a Piacenza quella degli Spiritosi). Le opere a stampa edite nello Stato o al di fuori di esso con dedica a Ranuccio furono molto numerose, come anche quelle non direttamente a lui dedicate, ma volte a celebrare un evento che lo aveva visto protagonista.
Dopo le pressioni fiscali esercitate sui sudditi per i festeggiamenti nuziali del 1690, già l’anno seguente si abbatté sullo Stato una nuova difficoltà economica: l’alloggiamento coatto sul territorio ducale di 4000 soldati imperiali, con la conseguenza che la popolazione ebbe il gravoso compito del loro mantenimento. Si trattava delle truppe imperiali impegnate nella guerra della Lega di Augusta (Asburgo, Olanda e Inghilterra) contro la Francia. Ranuccio protestò per questa sorta di occupazione, ma gli venne risposto che l’onere era dovuto al fatto che egli era feudatario imperiale. Gli eserciti rimasero sul territorio fino al 1695.
Nel 1691 e nel 1692 nacquero i figli di Odoardo e di Dorotea Sofia: Alessandro Ignazio ed Elisabetta, ma il primo morì nel 1693, lo stesso anno del decesso di Odoardo, a cui era destinata la successione. La bambina invece sopravvisse e consentì alla dinastia di non estinguersi, ma di fondersi con la casa dei Borbone, sposando il re Filippo V di Spagna nel 1714.
L’11 dicembre 1694 Ranuccio morì a Parma per podagra e obesità e, come gli altri membri della famiglia Farnese, venne sepolto nella cripta dei cappuccini di Parma, dopo solenni funerali nella basilica di S. Maria della Steccata. Gli successe il figlio Francesco diciassettenne, che il 7 settembre 1696 sposò la cognata Dorotea Sofia (più anziana di lui di 18 anni) per mantenere saldi i vincoli con la casa d’Austria e l’Impero.
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