FARNESE, Ranuccio
Figlio di Gabriele Francesco di Ranuccio e di Isabella di Aldobrandino Orsini, nacque presumibilmente nel quinto decennio del XV secolo. Apparteneva al ramo familiare che nella prima metà del secolo aveva esteso e consolidato il proprio predominio signorile territoriale nell'alto Lazio attraverso un'attenta politica di fedeltà e servizio militare alla restaurata sovranità pontificia e di alleanze matrimoniali con le principali e più forti stirpi dell'area romana. Erede solo in parte di questa strategia familiare, il F. si distinse, più che per la cura e il governo dei propri possedimenti, soprattutto per le capacità militari che pose al servizio non più solo della Chiesa ma dei principali Stati italiani dell'epoca, creandosi una più ampia rete di rapporti personali e politici svincolata dai meri ancoraggi romani.
Il padre Gabriele Francesco si era soprattutto preoccupato di incrementare le fortune faIniliari e di sviluppare la rete di rapporti e di alleanze attraverso un'attenta politica di qualificazione matrimoniale e dotale che per la prima volta travalicò gli ambiti locali e romani. Maritata nel 1462 la figlia del defunto fratello Angelo, Francesca, al conte Guido di Buoso Attendolo Sforza, con una dote di 3.000 fiorini, proseguì nell'acquisizione di parentele padane, destinandovi anche il F., che sposò Ippolita di Federico Pallavicino.
Gli eccellenti rapporti che la famiglia intratteneva sin dai tempi di Ranuccio di Pietro con quella fiorentina dei Medici - cementati dall'investimento farnesiano di oltre 11.000 fiorini nei titoli del debito pubblico del Monte - consentirono inoltre a Gabriele Francesco di raccomandare a Lorenzo il Magnifico il giovane figlio quando questi, ricalcando le tracce di una plurisecolare tradizione familiare, si avviò a sua volta alla carriera militare. Sin dalla metà degli anni Settanta, il F. poté così godere di una considerazione di riguardo da parte del Magnifico, che contribuì a fornirgli equipaggiamenti e corazze, accreditò stabilmente al suo servizio un proprio cancelliere e gli procurò le prime condotte di un certo rilievo.
Tra il giugno 1482 e il maggio 1483 il F. fu infatti impegnato su istanza fiorentina nei movimenti bellici che tra Ferrara, Urbino e l'Appennino umbro e toscano videro coinvolte le forze fiorentine e napoletane contro quelle pontificie di .Sisto IV, in occasione della cosiddetta guerra di Ferrara. Agli ordini di Niccolò da Castello, capitano dell'esercito del duca di Calabria e di Firenze, il F. operò dapprima al comando della cavalleria nella zona di Cortona e Camucia e nell'assedio di Città di Castello, e poi, alla testa di una propria compagnia assoldata nel Montefeltro, nel teatro di guerra romagnolo.
In continuo contatto epistolare con Lorenzo de' Medici, il F. si giovò del suo appoggio per vedersi garantita dal duca di Urbino la propria condotta di 500 ducati e, nell'aprile 1483, la provvigione di altri 4.500 ducati per il comando di 40 nuovi uomini d'arme provenienti dal Napoletano; ma, soprattutto, gli manifestò il disagio di dover combattere - per la prima volta nella storia della sua famiglia - contro lo Stato della Chiesa e gli si raccomandò con tutta la sua famiglia e i possessi signorili.
Apertosi l'anno successivo un nuovo fronte di guerra per Firenze in Lunigiana contro le incursioni genovesi verso Massa, il F. - che si fregiava ora del titolo di governatore del duca di Urbino e guidava stabilmente una compagnia di armati per lo più montefeltreschi - fu nuovamente assoldato dai Fiorentini come capitano di Guerra insieme col conte Antonio di Marciano e con lo zio, per parte di madre, Nicola Orsini, conte di Pitigliano. Con quest'ultimo, egli garantì alla Repubblica anche alcuni rifornimenti di derrate granarie provenienti dalle proprie terre laziali, durante la carestia che infuriò nell'inverno del 1484, ma soprattutto si distinse nelle operazioni di guerra dei mesi successivi, rimanendo anche ferito a una coscia. Dopo un'estate trascorsa tra incursioni navali nemiche sulle coste e l'infuriare di una fortissima ondata di malaria che colpì a morte il conte di Marciano, il campo fiorentino fu innervato di forze fresche che consentirono di concludere vittoriosamente, protagonista anche il F., l'8 novembre il lungo assedio posto al castello di Pietrasanta in mano ai Genovesi.
Nell'inverno e nella primavera successivi, tra il 1484 e il 1485, il F. restò impegnato in azioni militari minori nella zona tra Pisa, Livorno e la Versilia, dove spese il proprio prestigio personale anche per raccomandare ad incarichi e uffici presso i governi toscani i propri amici e parenti (come Cesare dei Malvicini da Viterbo, che suggerì a Lucca come podestà), per intercedere, presso gli stessi, a favore di membri e soldati della propria compagnia macchiatisi di crimini, danni o violenze (come è attestato in più occasioni nel carteggio con gli Anziani lucchesi e come probabilmente avvenne anche ai danni delle saline fiorentine in Lunigiana, che il F. si dichiarò disposto a rifondere) e per acquisire nuove condotte. Molestata dalle scorrerie e dal ricetto offerto ai fuorusciti e banditi da Giulio Orsini, conte di Sovana, Siena ingaggiò infatti il F. per un anno a cominciare dal 1º luglio 1485, con 80 corazze e lo stipendio di 9.200 fiorini: impegnato con la propria compagnia di balestrieri a cavallo soprattutto nella zona dei castelli di Sovana, Saturnia, Manciano, Monte Merano e Capalbio, si guadagnò sul campo il rinnovo per altri dieci mesi della condotta.
Le dimostrate capacità militari e l'affidabilità politica indussero il Magnifico a condurre il F. più stabilmente ai propri stipendi. Fu così che alla ripresa delle ostilità con Genova per le questioni lunensi, il F. tornò a combattere per le insegne fiorentine, nuovamente con Nicola Orsini, nell'impresa che, tra l'aprile e il maggio 1487, li vide vittoriosamente impegnati nella difesa di Sarzana e del castello di Sarzanello, conteso a lungo dai Genovesi. Pochi mesi dopo fu inviato a Faenza, in subbuglio per l'uccisione del suo signore Galeotto Manfredi, alleato fiorentino, a coadiuvare militarmente una reggenza che prevenisse colpi di mano bentivoglieschi o veneziani. E all'inizio del 1489 era nuovamente in Umbria nell'esercito, guidato dal conte di Pitigliano, che Firenze inviò di sostegno ai Baglioni di Perugia per domare il bellicoso fuoruscitismo degli Oddi: richiesta e ottenuta da Firenze una bombarda, il F. fu tra i protagonisti dell'assedio al castello di Pianciano, dove si erano arroccati i ribelli, conclusosi il 30 marzo con la resa degli insorti. Qualche mese dopo, ritiratosi nelle sue terre di Valentano, si rimetteva ai buoni uffici di Lorenzo de' Medici perché gli fossero pagati gli arretrati per quest'ultimo servizio di guerra.
Del F. non si hanno notizie per i primi anni Novanta del XV secolo, salvo un'iscrizione tracciata nel 1490 su una parete del cimitero cristiano di S. Callisto a Roma che attesta una sua visita e che ha lasciato ipotizzare l'appartenenza del F., per altro non sostenuta da altre evidenze, all'ambiente umanistico degli accademici romani facenti capo a Pomponio Leto e al Platina, frequentato assiduamente dal cugino Alessandro di Pierluigi, futuro Paolo III. È probabile che la morte del Magnifico abbia sottratto per qualche anno al F. il principale referente politico delle sue condotte annate, che poi i mutati scenari dovuti alla discesa in Italia di Carlo VIII gli consentirono presto di rinnovare presso nuovi committenti.
Il F. fu infatti assoldato da Venezia in occasione della mobilitazione avviata nei primi mesi del 1495 contro l'esercito francese. Radunatosi, col proprio contingente di cavalieri, sull'Oglio nel giugno insieme col grosso dell'esercito e dei condottieri della Lega degli Stati italiani, formato per tre quarti da contingenti stipendiati dai Veneziani, partecipò della decisione presa dai capitani generali - Francesco e Rodolfo Gonzaga e Melchiorre Trevisano - di porsi risolutamente all'inseguimento dell'armata di Carlo VIII. Passato il Po e giunti sulle rive del Taro, i due eserciti vennero a battaglia il 6 luglio 1495 presso Fornovo: schierato nella cavalleria guidata dallo stesso Francesco Gonzaga e da Bernardino Fortebraccio, il F. partecipò al primo decisissimo assalto che, sgominando lo squadrone francese, giunse quasi a catturare il re, ma vi perse la vita insieme con numerosi altri capitani.
Per quanto gloriosa, la morte in battaglia spezzava una carriera di condottiero che era rimasta sempre per certi aspetti in sottordine a personaggi di livello diverso. E ciò, nonostante che il F., tra i membri della sua famiglia, fosse stato quello che in tutto l'arco del XV secolo si era dedicato col maggior successo e quasi esclusivamente al mestiere delle armi, trascurando lo sviluppo del proprio potere signorile e patrimoniale. Al figlio Federico lasciò infatti senza sostanziali accrescimenti i beni e i feudi nella Tuscia - Canino, Gradoli e altri luoghi - che aveva ereditato dal padre Gabriele Francesco.
Il rango ormai raggiunto dalla famiglia e le relazioni perseguite personalmente nella sua itineranza per gli Stati italiani gli avevano consentito, viceversa, di stringere qualificati matrimoni per i figli: Isabella andò sposa nell'aprile 1493 a Giulio Orsini, con una dote di 4.000 ducati; Camilla sposò Giacomo Savelli dei Palombara, anch'egli un condottiero nelle armi fiorentine; a Federico diede in moglie Ippolita di Federico Sforza conte di Santa Fiora, dalla quale non ebbe eredi maschi. Del quarto figlio, Ranuccio, non si conoscono i destini matrimoniali, ma solo alcune notizie riguardanti la sua attività di condottiero: capitano fiorentino nella guerra contro Pisa ribelle, acquisì il merito della riconquista del castello di Palaia nel contado pisano nell'agosto 1495, ma fu poi sconfitto nel 1498 a San Regolo e sostituito da Paolo Vitelli nella carica di capitano. Tutti e quattro i figli ricevettero anche compensi e remunerazioni dalla Repubblica di Venezia alla morte del padre: ai maschi fu rimessa la condotta di cavalli comandata dal genitore, mentre le femmine godettero di un lascito di 400 ducati ciascuna all'anno.
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