D'ELCI, Raniero
Della famiglia dei marchesi di Monticiano, conti d'Elci, uno dei rami dei Pannocchieschi di Siena, nacque a Firenze il 7 marzo 1670 da Filippo, marchese di Monticiano e conte d'Elci, e da Francesca Torrigiani; suoi zii erano il cardinale Scipione D'Elci e l'arcivescovo di Pisa Scipione D'Elci.
Studiò al collegio "Tolomei" di Siena e sempre a Siena si laureò in utroque il 2 ag. 1695, esercitando per qualche tempo l'avvocatura. Ordinato sacerdote il 21 dic. 1699, grazie all'appoggio dello zio arcivescovo, nel 1700 fu accolto da Innocenzo XII nel numero dei prelati domestici e nello stesso anno, il 27 maggio, venne creato referendario delle due Segnature; l'anno successivo Clemente XI lo invio vicelegato in Romagna, nel momento in cui tra Francia e Impero si era aperto un gravissimo conflitto in merito alla successione al trono di Spagna e al riconoscimento di Filippo V da parte delle principali potenze e del papa. Il D. giunse a Bologna il 29 giugno 1701 e vi restò per quattro anni. Tornato a Roma, fu creato ponente nella Congregazione della Consulta; il 22 genn. 1707 venne nominato governatore di Fano e il 27 giugno 1709 governatore di Loreto. Il 1º genn. 1708 entrò nella Congregazione dell'Immunità e divenne conservatore degli archivi ecclesiastici. L'attività del D. ebbe maggiore rilievo a partire dal 24 febbr. 1711, quando fu inviato dal papa come inquisitore a Malta, e si trovò a far da tramite fra la S. Sede e l'Ordine di Malta.
Questo, governato in quegli anni da Ramon Perellos y Roccaful, aveva riacceso antiche polemiche con il tribunale dell'Inquisizione, rivendicando presso il D. l'antico diritto di partecipare ai processi dell'Inquisizione. Il D. trasmise tali richieste a Roma, ove il S. Uffizio esaminò a lungo e a fondo la questione, che passò anche al vaglio dello stesso Clemente XI. Il papa riconobbe come legittima la richiesta dei cavalieri, in quanto corrispondeva a un diritto da lungo tempo goduto; ciononostante restrinse la partecipazione ai processi dell'Inquisizione a tre soli dignitari dell'Ordine. Le decisioni pontificie non soddisfecero i cavalieri, i quali, come comunicò il D. alla Segreteria di Stato, diedero corpo alla loro protesta astenendosi dal partecipare ai processi dell'Inquisizione.
La vertenza non si era ancora risolta quando nel 1715 il D. fu richiamato a Roma, dove il 2 maggio 1716 fu creato chierico della Camera apostolica. Il 12 ag. 1719 fu nominato vicelegato di Avignone e del Contado Venassino, carica che ricoprì sino al 7 marzo 1731.
L'unico avvenimento di rilievo in questo periodo fu l'infuriare della peste negli anni 1720-21: in questa occasione il comportamento del D., fedele a un'intransigente difesa di posizioni di principio, non fu dei più felici. Infatti, lungi dall'accettare le offerte che gli faceva, a nome della corte francese, il conte di Medavi, comandante militare del Delfinato, non volle mai acconsentire a che le truppe francesi si portassero nel territorio della vicelegazione per formarvi un cordone sanitario. Il D. preferì costituire un corpo di guardia composto da gente del luogo, che venne a costare una cifra molto elevata (100.000 scudi) e non poté assolvere al suo compito, così che la peste si propagò a tal punto che il Medavi fu costretto a rivolgersi direttamente a Roma per ottenere di inviare truppe nel Contado Venassino. Il primo contingente di truppe francesi giunse a Carpentras, suscitando il disappunto del D., nel luglio del 1722 e l'anno successivo poté ripartire, essendo stato il morbo finalmente debellato. In seguito il D. partecipò al lavori del concilio provinciale convocato dall'arcivescovo di Avignone, Francesco Maurizio Gonteri, che si apri il 25 ott. 1725.
Tornato a Roma, il D. fu creato arcivescovo di Rodi il 22 nov. 1730 e il 2 genn. 1731 nominato nunzio apostolico presso il re di Francia.
Erano gli anni in cui la questione polacca degenerò in guerra generale, in quanto sia l'Impero sia la Francia caldeggiavano una propria candidatura su quel trono che aveva dimostrato con Giovanni Sobieski e col suo fattivo contributo alla vittoria di Vienna di essere un importante baluardo contro i Turchi. I dispacci da Parigi del D. sono fitti di informazioni circa la politica del card. Fleury, il potente ministro di Luigi XV. Nel 1733 infatti, morto il re di Polonia Augusto II, si apriva la lotta tra l'Impero, che voleva portare sul trono polacco il figlio del defunto re, Federico Augusto II elettore di Sassonia e la Francia, che sosteneva Stanislao Leszczynski. Presto la guerra di successione polacca appari per quello che in realtà era: un pretestoalla volontà d'espansione non solo dell'Austria e della Francia, ma anche della Russia, alleata della prima, della Spagna e della Savoia, alleate della seconda. E il D. infatti scriveva nel febbr. 1734: "Mi porterò domattina [a Versailles] sperando di poter aver l'onore d'inchinare Sua Maestà, e di presentarle il Breve di Nostro Signore con tutti que' motivi che saprà suggerirmi la mia debolezza per ispirargli sentimenti di pace, sebbene si pensa sempre qui a prepararsi per la guerra" (Segr. diStato, Francia, 259, f. 40). Infatti, come scriveva il D., il cardinal Fleury non faceva nessuno sforzo per impedire che l'elettore di Sassonia, ora re di Polonia col nome di Augusto III cacciasse il suo rivale dalla Polonia, mentre invece si adoperava attivamente per scalzare gli Austriaci dall'Italia.
Oltre la situazione internazionale, i dispacci del D. da Parigi riflettono la politica interna di quel paese: la lotta contro i giansenisti e i gallicani continuava, anche dopo che la bolla Unigenitus era stata accettata dal cardinale di Noailles e trasformata il 24 marzo 1730 in legge del regno: ma il problema più grave era costituito dai rapporti tra il re e il Parlamento di Parigi, che rivendicava autonomia anche in materia di politica ecclesiastica, e quindi intralciava con ogni mezzo la costituzione Unigenitus, mentre la monarchia si dimostrava sempre più debole ed incapace a far valere la propria autorità. Ma quello che i dispacci dei D. mettono ancor più chiaramente in luce è quanto avesse perso in prestigio e quanto poco fosse considerato il ruolo dello Stato della Chiesa da quella corte. Scriveva infatti il 25 maggio 1733 al card. Banchieri: "Dico bensì che il male è grande, che quello potesse mai fare da se sola Sua Santità per estringerlo non produrrebbe alcun effetto, perché qui non sarebbe eseguito" (Segr. di Stato, Francia, 258, f. 288).
Creato cardinale da Clemente XII il 20 dic. 1737, rimase però in pectore fino al 23 giugno dell'anno successivo. Frattanto il papa gli aveva offerto ai primi del 1738 l'arcivescovato di Ferrara, rinunciato dal card. T. Ruffo. Il D. accettò: la nomina giunse il 5 maggio e quindi si accomiatò dalla corte a Versailles. Giunse a Ferrara nel settembre, e il 15 fece la sua solenne entrata in cattedrale. L'anno successivo intraprese la visita della diocesi, durante la quale esortò il clero, soprattutto i preti più giovani, ad intensificare la pratica della predicazione; nell'ottobre ebbe inizio un lungo dissidio per questioni giurisdizionali con l'arcivescovo di Ravenna. Il D., infatti, dichiarò nulla una citazione e monitorio di scomunica inviato dall'arcivescovo di Ravenna ai ministri delle gabelle ferraresi.
Alla morte di Clemente XII (1740), il D. entrò nel lungo conclave, che durò circa sei mesi, in quanto la lunga malattia del pontefice aveva consentito alle potenze europee di prepararsi ad esercitare tutta la loro ingerenza.
Il cardinal N. Corsini guidò e orientò il gruppo dei cardinali creati da Clemente XII, tra cui era il D., che fu presentato come candidato. Il Valesio riferiva: "Si sente che sia stato scoperto un segreto negoziato per promuovere il card. d'Elci". Il 26 maggio il D. ottenne ben 26 voti: ne mancavano solo nove; e alla data del 31 maggio il Valesio scriveva: "Si era quasi stretto il trattato per il cardinal d'Elce, fiorentino ma d'origine senese, il che mise in somma apprensione il camerlengo... Tra i facchini del conclave vi fu contrasto, la maggior parte disapprovando la elezione per essere fiorentino e dicendo che ad un papa cieco volevano far succeder un zoppo. Ad una colonna della porta di S. Pietro fu ritrovato un cartello in cui era scritto: Se si farà papa d'Elci, ripigliaremo i selci. Insomma il conclave è per andare in lungo". E ancora il 9 luglio: "Non cessano i negoziati per il cardinal d'Elci promossi dal cardinal Corsini, ma il cardinal Acquaviva dice voler aspettare le risposte della corte di Spagna".
Caduta la propria candidatura ed eletto papa Benedetto XIV, il D. rinunciò all'arcivescovato di Ferrara il 15 sett. 1740, non avendo le possibilità finanziarie per far fronte alle spese legate a tale incarico. Benedetto XIV creò allora Bonaventura Barberini arcivescovo e il D. legato a Ferrara, ove questi tornò nella nuova veste nel novembre dello stesso anno. Egli ordinò la pulizia e la risistemazione delle strade di Ferrara: si preoccupò inoltre dell'approvvigionamento di granaglie, istituendo la Pubblica Abbondanza al fine di rendere più solida la situazione annonaria della città; creò una scuola pia per i fanciulli bisognosi; curò lo Studio di Ferrara, a cui aggiunse le cattedre di teologia e di anatomia promulgando nel 1742 le Nuove costituzioni, che avrebbero dovuto far fronte alla decadenza in cui versava lo Studio, ma che, in effetti, più che una riforma costituirono soltanto un insieme di provvedimenti tendenti a disciplinare l'attività dei lettori, il programma dei corsi e il calendario delle lezioni. Ma in particolar modo il suo interesse si appuntò sui lavori idraulici intrapresi nel Ferrarese dal cardinal Alberoni per riportare il torrente Idice nel suo alveo e condurlo a sboccare nel Po di Primaro, lavori complessi e costosi che, tra l'altro, stavano molto a cuore al bolognese Benedetto XIV. Infatti il territorio interessato da tali lavori riguardava tanto la legazione di Bologna quanto quella di Ferrara e i confini con la Repubblica di Venezia e con Modena. Il costo dei lavori complicava la scelta del progetto da scegliere.
Ai primi del 1741 la Segreteria di Stato inviò un dispaccio al D. perché desse tutto l'appoggio necessario alla realizzazione dei lavori; il 3 giugno il pontefice ebbe a lamentarsi perché il D. non aveva ancora risposto alla lettera. In realtà il D. sapeva che il progetto prescelto era contrario al parere dell'esperto ingegnere idraulico ferrarese Romualdo Bertaglia, che già aveva lavorato al prosciugamento delle paludi pontine sotto Benedetto XIII, e finalmente il 14 giugno scrisse al papa dichiarandosi contrario all'esecuzione del progetto prescelto dalla commissione cardinalizia ed inviando un memoriale del Bertaglia stesso con una differente soluzione in un solo canale, detto Cavo Benedettino, le acque del Reno e, unite a quelle dei torrenti Idice e Savena, indirizzarle a Primaro in località Morgone. I Ferraresi erano contrari a tale risoluzione in considerazione della non sufficiente declività del suolo e della poca consistenza del terreno paludoso su cui dovevano essere costruiti gli argini. Ma il papa, già irritato per gli indugi del D., lo minacciò di deporlo dall'incarico di legato con una lettera durissima. Pertanto il D. dovette rassegnarsi a far iniziare i lavori nel senso voluto dal pontefice, stanziando 100.000 scudi d'argento. Scrive il Frizzi: "Non vi fu legato in Ferrara che tante e cosi sincere lodi meritasse e riscuotesse, quanto il cardinal d'Elci. Ad una mente acuta egli univa cuor retto, prudenza, disinteresse, ardore del pubblico bene, rigor di giustizia, fermezza nelle risoluzioni, e speditezza negli affari" (p. 204). Senonché il D. fu coinvolto in seguito nei trafficì di Fortunato Cervelli, abile uomo d'affari ferrarese, che commerciava soprattutto con l'Impero. Vienna, infatti, lo incaricò di incrementare i commerci con Napoli, di sviluppare il porto di Trieste, di vitale importanza per i commerci dell'Impero, a scapito di Venezia, di favorire la navigazione sul Po. Il Cervelli, creato provveditore delle armate austriache, era addetto al rifornimento di grano delle truppe e in questi traffici venne coinvolto anche il D'Elci. Il Frizzi sostiene che il legato si oppose fermamente all'invio di grani fuori di Ferrara, in quanto avrebbe depauperato le riserve annonarie della città, e che di conseguenza la corte imperiale, per togliere di mezzo questo ostacolo, lo facesse richiamare a Roma.
Comunque siano andate le cose il D. il 30 genn. 1744 partì da Ferrara alla volta di Roma. Qui venne nominato vescovo di Sabina il 10 apr. 1747 e vescovo di Porto e Rufina il 9 apr. 1753; il suo nome è legato al restauro della collegiata di S. Antonino a Castelnuovo di Porto. Decano del Sacro Collegio, nel conclave seguito alla morte di Benedetto XIV il D. entrò senza alcuna speranza di essere eletto a causa dell'età avanzata. Lo Choiseul ci dà di lui questo ritratto: "Ce cardinal est connu en France où il a été nonce dix ans. C'est un saint homme qui méne une vie respectable mais qui est si vieux, si bornè, et si peu au, fait des affairs de France quoiqu'il y a été nonce que, si janiais on pensait à lui il serait bon de l'éloigner. Je ferais à propos du cardinal Delci, la réflexion qu'il serait désavantageux d'avoir un pape aussi âgé, qui ne produirait rien de bien et ne ferait que multiplier pendant son pontificat les embarras et les intrigues".
Nominato vescovo di Ostia e Velletri il 17 genn. 1756, il D. morì a Roma il 22 giugno 1761.
Fonti e Bibl.: Oltre ai documenti esistenti nell'Arch. Segr. Vaticano, Segret. di Stato, Francia, 258, 259, 474, cfr.: F. Valesio, Diario di Roma, a cura di G. Scano, IV-VI, Milano 1978-79, ad Indices; Choiseul à Rome, a cura di M. Bountry, Paris 1895, pp. 62, 238, 266; L. Barotti, Serie de' vescovi ed arcivescovi di Ferrara, Ferrara 1781, pp. 143 s.; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, IV, Venezia 1846, p. 177; A. Frizzi, Mem. per la storia di Ferrara, V, Ferrara 1848, pp. 193-96, 204; E.-A. Granget, Histoire du diocèse d'Avignon, II, Avignon 1862, pp. 381 s.; H. Reynard-Lespinasse, Armorial histor. du diocèse et de l'Etat d'Avignon, Paris s. d., p. 225; F. Petruccelli della Gattina, Histoire diplomatique des conclaves, IV, Bruxelles 1866, p. 111; P. Castagnoli, Il cardinal G. Alberoni, Piacenza-Roma 1932, pp. 189-93; L. P. Raybaud, Papauté et pouvoir temporel sous le pontificat de Clément XII et Benoît XIV, Paris 1963, pp. 19, 47; A. Bonnici, Evoluzione storico-giuridica dei poteri dell'inquisitore nei processi in materia di fede contro i cavalieri del Sovrano Ordine di Malta, Roma 1970, p. 22; Storia dell'Emilia-Romagna, a cura di A. Berselli, II, Bologna 1977, p. 457.