RANIERI
(Raineri, Rainieri). – Dinastia di orologiai originaria di Parma. Erroneamente chiamati Rinaldi da Francesco Sansovino (1581) e da Tommaso Garzoni (1585, 1996), furono per la prima volta correttamente documentati da Nicola Tacoli (1769, p. 666), e successivamente Girolamo Tiraboschi (1786, p. 518) precisò il loro cognome, che tuttavia è reso in modo diverso secondo i luoghi e i tempi in cui operarono.
Bartolomeo, detto degli Orologi, figlio del fabbro Giovanni detto dei Ferrari, fratello di Antonio, Francesco (orefice) e Taddeo (orologiaio), e marito di Giovanna, fu verosimilmente allievo o collaboratore di Marchionne di Michele Toschi, orologiaio di Brescello al quale gli Anziani del comune di Parma, nel 1421, commissionarono il meccanismo e gli ornamenti (così come la manutenzione nel corso degli anni) della torre oraria del palazzo comunale (Pezzana, 1852, pp. 206 s., 484 s.; Scarabelli Zunti, sec. XIX, 1911, pp. 63, 68-70; Scarabelli Zunti, Documenti e memorie…, sec. XIX, cc. 198r-199v). Il 20 febbraio 1443 Bartolomeo risulta associato col cognato Antonio da Ramiano, anch’egli orologiaio, assieme al quale ottenne dal duca Filippo Maria Visconti (che li considerava «dillectos cives»; Scarabelli Zunti, sec. XIX, 1911, p. 63) le più ampie esenzioni su proprietà, tassazioni e dipendenti per i propri famigliari e discendenti, in ogni parte del dominio ducale e della comunità di Parma. Il 6 aprile 1458 Bartolomeo ricevette 6 lire per la paga mensile relativa alla manutenzione dell’orologio parmigiano, ossia quanto era in precedenza nei compiti di Marchionne Toschi. Sempre nel 1458 Bartolomeo ricevette compenso del lavoro per preparare polvere da sparo per i fucilieri incaricati della difesa del ponte di Cantone (sul fiume Enza) contro i reggiani (Pezzana, 1852; Scarabelli Zunti, sec. XIX, 1911, p. 63).
L’esperienza maturata con l’orologio di Parma, che nel 1444 era stato dotato da Toschi di un automa raffigurante un Angelo tubicine, fu alla base della fortunata carriera dei discendenti di Bartolomeo, che tra gli ultimi decenni del Quattrocento e gli ultimi del Cinquecento realizzarono in diverse città italiane tra i più complessi e celebri orologi astronomici con figure semoventi (Pezzana, 1852, p. 343; Campori, 1877, p. 6). Fin dalla metà del Quattrocento i Ranieri vissero in condizioni agiate, tanto da poter concedere prestiti, come nel caso di Taddeo, che, nel 1450, diede a Giovanni Giacomo Guidotti detto delle Sedie la cifra di 29 ducati d’oro, in virtù delle ricchezze «propriis et per ipsum aquisitis ex industria persone sue in diversis mondis [sic] partibus in faciendo arte horologiorum et similium» (Scarabelli Zunti, sec. XIX, 1911, p. 63).
Giovanni Paolo, figlio di Bartolomeo, divenuto col padre cittadino di Reggio nell’Emilia (possedettero anche terreni a Gattatico: cfr. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie…, sec. XIX, c. 198r), nel 1481 si offrì di costruire un nuovo orologio, esplicitamente ispirato a quello del palazzo pubblico di Bologna, per la torre comunale della città, in sostituzione di quello non più funzionante realizzato nel 1416 dall’orologiaio parmigiano Rolando Rogolli (Siliprandi, 1915, pp. 11-14; Nironi, 1990, p. 78).
Il contratto, stipulato il 25 agosto 1481, stabilì che Giovanni Paolo (detto «Zampaolo de Horologiis») dovesse realizzarlo a proprie spese e che esso non si limitasse a segnare le ore, ma fosse capace di mostrare le fasi della luna (nascente, crescente e calante) così come un complesso sistema di automi (realizzati o progettati dallo stesso orologiaio): a ogni ora, tre figure semoventi raffiguranti i Re magi dovevano uscire da una porta sulla facciata della torre e inchinarsi di fronte a una statua della Madonna col Bambino, per poi rientrare da un’altra apertura; l’uscita dei Magi era annunciata da un angelo tubicine, mentre le ore erano battute su una campana dal martello di un’effigie statuaria di un uomo colossale; un martello più piccolo sarebbe servito per segnare «condemmationes et consilium Dominorum Antianorum» (Siliprandi, 1915, p. 15). Giovanni Paolo ebbe il diritto di riutilizzare le parti del vecchio orologio, mentre la comunità si accollò l’onere dei lavori strutturali interpellando numerose maestranze. Durante il periodo di costruzione, l’orologiaio ricevette 40 soldi al mese e nel 1483, a lavoro terminato, assieme ai propri figli divenne regolatore del meccanismo, percependo una paga di 4 lire mensili (Siliprandi, 1915, pp. 14 s., 18; Malaguzzi Valeri, 1926, pp. 74 s.).
La fama e la posizione che Giovanni Paolo acquisì dopo la costruzione dell’orologio sono testimoniate da due decreti estensi, rispettivamente del 14 novembre 1491 e dell’8 aprile 1499, con i quali si concedeva a Giovanni Paolo «horologiorum artifex optimus» e ai suoi eredi l’esenzione dalle gabelle per tutti i suoi beni presenti e futuri sul territorio reggiano (Campori, 1877, pp. 6 s.)
A cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, Giovanni Paolo e i suoi figli dovettero realizzare l’orologio della torre comunale di Modena (p. 5) così come rinnovare quello di Parma (Scarabelli Zunti, Materiali per una guida…, sec. XIX sec., c. 71r) sulla base del modello reggiano con la processione dei Magi. Tuttavia, entrambi non durarono molto: nel 1518, il primo fu sostituito da uno nuovo; nel 1606, il secondo andò distrutto nel crollo della torre.
Giovanni Carlo, figlio di Giovanni Paolo e fratello di Giovanni Ludovico e Leonello, crebbe a Reggio collaborando alla manutenzione dell’orologio pubblico costruito dal padre. Il 21 ottobre 1493 la Repubblica di Venezia gli commissionò un orologio «da esser posto sopra la piaza de San Marcho» (Peratoner, 2000, p. 11) al posto dei caseggiati all’ingresso delle Mercerie, che assumesse la funzione di quello di S. Alipio, situato sull’angolo del corpo nord-occidentale della basilica marciana (Erizzo, 1866, p. 32; Peratoner, 2000, p. 11). L’accordo fu stipulato prima che fosse edificata la torre destinata a ospitarlo, la quale fu avviata alla fine del 1495, quando il meccanismo e i suoi decori erano in lavorazione e quasi ultimati a Reggio. Come si può ricavare dalla corrispondenza tra il doge Agostino Barbarigo e Giovanni Carlo, l’opera fu consegnata poco dopo il 16 giugno 1496 (Erizzo, 1866, pp. 24 s.). L’orologio, che nel fregio dell’architrave del portico verso piazza S. Marco reca la firma di Giovanni Carlo e del padre («IO. PAVL. ET. IO. CAROL. FIL. REGIEN. OP. MID»), fu inaugurato il 1° febbraio 1499, e al suo disvelamento Marin Sanudo così si espresse: «fo aperto et scoperto la prima volta lo horologio [...] fato cum gran inzegno et belissimo» (1496, 1879, col. 396).
La torre ripropose le caratteristiche e le funzioni principali dello strumento reggiano, tuttavia con aggiunte e migliorie: il sistema d’automi lignei, con la processione dei Re magi che si inchinavano di fronte alla Madonna col Bambino, era preceduto da un Angelo tubicine che era in grado di suonare per mezzo di un mantice (Erizzo, 1866, pp. 152, 165; Peratoner, 2000, pp. 19 s.); a Venezia furono installati due colossi batticampana (di bronzo) invece di uno, oggi celebri col nome di Mori, così come due quadranti, ossia uno di tipo astronomico affacciato sulla piazza e uno per segnare solamente le ore sulle Mercerie. Ogni fase del progetto e della costruzione della torre dovette essere attentamente seguita dai Ranieri, ma allo stesso tempo furono interpellate diverse maestranze esperte in compiti specifici, dalla progettazione architettonica alla realizzazione delle parti bronzee: l’architettura è attribuibile a Mauro Codussi; la campana fu eseguita da maestro Simone; i Mori furono fusi da Ambrogio delle Ancore su modello di uno scultore esperto nella modellazione di figure monumentali (la critica ha proposto i nomi di Antonio Rizzo, Alessandro Leopardi e Paolo Savin); i quadranti smaltati furono eseguiti dal fiorentino Giovanni (Peratoner, 2000, pp. 14, 16-18). Il quadrante sulla piazza, impostato per il conteggio delle ventiquattro ore a partire dal tramonto, era diviso all’interno in otto cerchi concentrici (oggi ridotti a tre) che presentavano il moto differenziato dei pianeti Saturno, Giove, Marte, Venere e Mercurio, così come il globo delle fasi lunari e la posizione del Sole nello zodiaco (oggi ancora in funzione). Agli angoli, all’interno di aperture circolari incorniciate da motivi a treccia, il quadrante ospitava quattro astrolabi (oggi perduti) (Erizzo, 1866, pp. 49, 54 s., 151; Peratoner, 2000, p. 14).
Il 20 novembre 1500 Giovanni Carlo e la sua famiglia, dopo aver rinunciato spontaneamente al compenso stabilito di 1728 ducati in cambio della cittadinanza veneziana e di uno stipendio, ricevettero dal governo veneziano il diritto a dimorare nella torre con l’incarico di mantenere in funzione l’orologio: «tamen desideroso de viver et morir in questa cità [...] obligandose, havendo el modo da poder mantenirse et substentarse con la famegia sua, de non voler soldo alcuno de rason de dicto credito, et governar et attender lui, et sui heredi et discendenti, dicto horelogio, el qual ha bisogno de grande diligentia et studio, oltra ch’el se convien tenir a tal effecto doi famegli per el meno, et far molte altre spese, per lo amontar ogni anno de ducati 40 et più, che tute se obliga far del suo» (Erizzo, pp. 64 s.). Il compenso annuo fu ricavato dalla rendita di due ‘fontegarie’ (magazzini) a Rialto, e venne corrisposto alla famiglia, seppur in maniera ridotta, fino alla morte di Girolamo, figlio di Giovanni Carlo (Peratoner, 2000, p. 25).
Pur con la grande opera veneziana e l’insediamento nella città lagunare i Ranieri non lasciarono Reggio. Il duca Alfonso I di Ferrara nutrì per loro grande stima, tanto che il 13 giugno 1505 confermò i decreti del 1491 e 1499 emanati a loro favore per l’esenzione in perpetuo dalle gabelle. Il Duca si dichiarò indotto a ciò dalla virtù e dall’ingegno dimostrati nell’orologio di Venezia: «cum opus quoddam notabile et famosum horologii suo ingenio, industria et labore fecerit et errexerit in urbe Venetiarum, quo magnam laudem et commendationem est assecutus» (Campori, 1877, p. 6). Incoraggiato da quella conferma, nel 1506 Giovanni Carlo, assieme al fratello Giovanni Ludovico, richiese ad Alfonso la licenza di aprire «uno hospitio ovvero hosteria» in una casetta situata fuori dalla porta di Santo Stefano a Reggio, con esenzione dai dazi e la possibilità per sé e per i propri eredi di vendere all’ingrosso e al minuto. La richiesta fu confermata con decreto ducale del 5 maggio 1506, ribadendo le lodi ai Ranieri, che «omnes alios magistros eiusdem artis antecellunt» (Campori, 1877, pp. 6 s.; Siliprandi, 1915, pp. 18 s.).
Nel 1507 Giovanni Carlo si occupò del restauro dell’orologio reggiano, che si era guastato soprattutto a causa del notevole afflusso di visitatori, anche stranieri, i quali accorrevano per ammirarlo e studiarlo, e del va e vieni degli abitanti della torre. L’orologiaio apportò anche delle modifiche, come il moto del sole e della luna nello zodiaco, che lo trasformarono in orologio astronomico, in accordo con le innovazioni introdotte dall’opera veneziana (Siliprandi, 1915, p. 20).
La qualità e la fama del lavoro veneziano di Giovanni Carlo sono attestate da una relazione scritta nel 1550 dall’orologiaio padovano Bernardino degli Orologi: «il che certo è cosa bellissima, piena di scientia dell’arte de astronomia, che a voler dirvi el tutto saria longhissima naratione, et certo quel M. Zuan Carlo fu eccellente maestro, et ha dimostrado belissimo artificio» (Peratoner, 2000, pp. 15 s.).
Giovanni Carlo morì a Venezia nel 1517.
Girolamo fu figlio di Giovanni Carlo. Stando a quanto riferito da Bernardino Cardo, assistente e amico dei Ranieri, alla morte di Giovanni Carlo, data la giovane età del figlio, la manutenzione della macchina veneziana fu espletata da «uno todesco che la governava sinistramente». (Peratoner, 2000, p. 25). Dal 1518 al 1528 Bernardino ne assunse la cura per conto di Girolamo, fino a quando si cominciò a diffondere l’opinione che la macchina fosse mal governata, il che nel 1531 portò il Consiglio dei dieci a sollevare Girolamo e Bernardino dall’incarico, affidandola al padovano Raffaele Pencino. Di conseguenza Girolamo si trasferì per otto anni a lavorare tra Reggio e Modena con gli zii Giovanni Ludovico e Leonello, impegnati nel restauro dell’orologio reggiano e nella realizzazione di quello della Torre di Rigobello a Ferrara, finché nel 1539 egli riuscì a essere reintegrato nelle sue funzioni a Venezia. Ciononostante si manifestarono nuovi problemi, in parte per la reiterata assenza di Girolamo, che si trasferì nuovamente a Modena per circa un decennio, affidando la regolazione a una persona accusata di essere inesperta e responsabile del trafugamento e della vendita delle parti meccaniche dell’orologio, in parte per le pressioni di Raffaele Pencino, che, forte dell’appoggio del procuratore Alvise Pasqualigo, ambiva a essere reinserito nel ruolo. A seguito di questi eventi, nel 1550 fu avviato un procedimento per il ripristino dell’orologio, che portò alla destituzione di Girolamo, il quale morì nel 1551.
A sua moglie Fiammetta venne concessa una quota di 10 ducati «pro elemosina, et hoc pro toto tempore vitae suae tantum, et non ultra» (Peratoner, 2000, p. 25). I conflitti veneziani dei Ranieri continuarono con Carlo, figlio di Girolamo, come risulta da una lite che nel 1566 egli ebbe con i procuratori di S. Marco, avviata per il recupero della rendita cessata con la morte della madre nel 1566, e che gli fu accordata fino al 1569 (Erizzo, 1866, pp. 26-28, 89).
Giovanni Ludovico e Leonello, figli di Giovanni Paolo e fratelli di Giovanni Carlo, crebbero a Reggio collaborando alla manutenzione dell’orologio pubblico costruito dal padre, provvedendo anche (assieme al nipote Girolamo) al suo rifacimento a partire dal 1536, quando risultava nuovamente «vetustate depravatus […] saepissime non recte monstret horas» (Siliprandi, 1915, pp. 21 s.). I lavori procedettero lentamente poiché nel contempo Leonello era impegnato, in società col parmigiano Cristoforo da Ponte, nella realizzazione dell’orologio della Torre di Rigobello a Ferrara. L’opera ferrarese confermava la stima del Ducato estense nei confronti dei Ranieri e ripeté l’ormai consolidata tradizione famigliare degli orologi con automi raffiguranti la processione dei Magi con effetti sonori, secondo i precedenti di Reggio e Venezia: «che avanti bata le hore, soni un boto de una campanella, et poi descenda uno angello che sonarà la tromba, et cum quello verrà fora li tre Magi, li quali faciano la riverentia alla Verzene Maria e, passati che saranno, lo angello ascenda al suo loco; overo quelo che più piazerà alla excellentia del signor Duca de Ferrara che se li habia a porre, perché bata le hore de sei hore in sei hore» (Cittadella, 1864, p. 451). L’orologio fu completato intorno al 1541, contemporanemaente alla conclusione dei lavori reggiani (Cittadella, 1864, pp. 451-453; Siliprandi, 1915, pp. 21 s.). Gli orologi di Ferrara e Reggio non sono giunti ai nostri tempi: il primo andò distrutto nel 1553 a causa del crollo della Torre di Rigobello (Cittadella, 1864, p. 453); il secondo, di cui rimangono gli automi conservati nei Musei Civici di Reggio, fu dismesso nel 1846 per inefficienza e sostituito con uno nuovo (Siliprandi, 1915, p. 30).
Giulio, Ippolito e Lorenzo Maria, figli di Giovanni Ludovico, crebbero a Reggio, collaborando alla manutenzione dell’orologio ricostruito, tra il 1536 e il 1541, dal padre e dallo zio Leonello.
Il 29 dicembre 1568 Giulio strinse un patto per la realizzazione dell’orologio della Torre Civica di Macerata, per il quale ricevette un acconto di venti scudi. Il 5 gennaio 1569 i tre fratelli stipularono il contratto per la realizzazione dell’opera, ricalcando la struttura e le funzioni dell’orologio astronomico reggiano, con la processione dei Magi introdotta dall’Angelo tubicine, ai quali fu aggiunto un uccello di rame, chiamato Cesare, che a ogni ora suonava col becco una piccola campana. Come per i precedenti orologi della famiglia, la torre vide la collaborazione di varie maestranze specializzate nei lavori di muratura, decorazione, fusione. L’ingente costo obbligò il governo di Macerata a riscuotere imposte straordinarie nei confronti dei cittadini che abbandonavano la città. L’8 febbraio 1569 agli orologiai furono commissionate le statue e le lamine per i segni zodiacali, che furono realizzate a Reggio assieme alla macchina. Tra il 1570 e il 1571 l’orologio fu collocato nella torre, a mezza altezza dalla base, e collaudato da un perito. Nel 1576 fu danneggiato da un fulmine, rimanendo inattivo fino al 1588, anno in cui Lorenzo Maria lo aggiustò, occupandosi allo stesso tempo di insegnare ai figli di Vincenzo Spadari come temperare il meccanismo.
Negli anni Settanta del Cinquecento i fratelli realizzarono anche l’orologio della collegiata di S. Salvatore a Macerata e quello della chiesa di S. Francesco a Corridonia (Le statue dell’orologio..., 2005, pp. 19-28).
Fonti e Bibl.: Parma, Biblioteca della Soprintendenza ai beni artistici e storici [BSBASPa], ms. E. Scarabelli Zunti, Documenti e memorie di Belle arti parmigiane (1451-1500), XIX sec., II, cc. 48r-63v; [BSBASPa], ms. E. Scarabelli Zunti, Materiali per una guida artistica e storica di Parma, XIX sec., III, cc. 97r-206v.
M. Sanudo, I diari [1496], II, Venezia 1879, col. 396; F. Sansovino, Venetia città nobilissima, Venezia 1581, c. 117r; T. Garzoni, La piazza universale di tutte le professioni del mondo [1585], a cura di P. Cherchi - B. Collina, Torino 1996, p. 999; N. Tacoli, Memorie storiche di Reggio, III, Carpi 1769, pp. 666-668; G. Tiraboschi, Biblioteca Modenese, VI, Modena 1786, pp. 518-520; A. Pezzana, Storia di Parma, II, Parma 1852, pp. 484 s.; E. Scarabelli Zunti, Memorie e documenti di Belle arti parmigiane (1050-1450) [ms. XIX sec.], a cura di S. Lottici, Parma 1911, pp. 61-64; F. De Boni, Biografia degli artisti, Venezia 18522, p. 839; L.N. Cittadella, Notizie relative a Ferrara, Ferrara 1864, pp. 450-453; N. Erizzo, Relazione storico-artistica della Torre dell’orologio di S. Marco in Venezia, Venezia 18662, passim; G. Campori, Gli orologieri degli Estensi, Modena 1877; O. Siliprandi, Notizie su gli orologi pubblici di Reggio (sec. XIV-XIX), Reggio Emilia 1915, pp. 15-25; F. Malaguzzi Valeri, Arte gaia, Bologna 1926, pp. 71-84; E. Morpurgo, Dizionario degli orologiai italiani, Milano 1974, pp. 26 s.; P. Tomasi, La scuola parmense di orologeria, in Gazzetta di Parma, 15 giugno 1981, p. 3; G. Brusa, L’arte dell’orologeria in Europa, Busto Arsizio 19822, pp. 40 s.; V. Nironi, Il Palazzo del Monte di Reggio Emilia (otto secoli di storia), Reggio Emilia 1990, pp. 75-84, 99-104; A. Peratoner, L’Orologio della Torre di S. Marco in Venezia,Venezia 2000; La misura del tempo. L’antico splendore dell’orologeria italiana dal XV al XVIII secolo (catal.), a cura di G. Brusa, Trento 2005, pp. 100 s., 134; Le statue dell’orologio della Torre Civica di Macerata, a cura di P. Mariani - M. Topa, Macerata 2005; E. Camporeale, Sugli orologi pubblici in Italia: presenze e rappresentazioni, in Atti e memorie dell’Accademia Toscana di Scienze letterarie La Colombaria, n.s., LXI (2010), pp. 215-266; Ead. Orologi pubblici in Italia: dalle torri alle tarsie, in Forme del legno. Intagli e tarsie fra Gotico e Rinascimento. Atti del Convegno... Pisa 2009, a cura di G. Donati - V.E. Genovese, Pisa 2013, pp. 333-354 (p. 346 nota 11).